Capitolo 33

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Cody

Emily mi apre la porta. «Sono corso appena ho sentito al telefono Emma.» Lei annuisce mentre pulisce le lacrime con un fazzoletto.

«Non si è mossa né anche di un centimetro.» La seguo e l'immagine di Emma, con le ginocchia raccolte al petto e con lo sguardo fisso di fronte a sé, è straziante. Oscilla avanti e indietro, seduta sul pavimento, con un vestito bianco addosso.

Seguo verso dove guardano i suoi occhi e il cuore mi si ferma nel petto: sua madre è sdraiata sul letto, priva di vita ma che se sembra un angelo, coperta dal lenzuolo bianco puro.

Tutta questa scena mi ricorda ciò che ho vissuto io: un bambino, inconsapevole di ciò che era accaduto che cercava di svegliare sua madre, senza successo mentre la sorellina piangeva per la fame. Ancora, quell'immagine è così vivida nei miei pensieri che mi sembra di poter toccare il corpo di mia madre, immerso nella pozza di sangue.

Non sono mai riuscito ad elaborare la sua morte: ho sempre creduto di esserne il responsabile finché Serena, un giorno non mi ha perdonato. Allora, ho capito che volevo solo che qualcuno mi liberasse dalla colpa che gravava il mio corpo.

Io ho avuto Serena accanto a me e adesso tocca a me a stare accanto ad Emma.

Mi avvicino e mi siedo di fronte a lei. Continua a guardare nel vuoto.

«È colpa mia,» dice con voce lontana. I suoi occhi sono persi nel vuoto mentre pronuncia continuamente le stesse parole.

Sembra una bambola di vetro che potrebbe frantumarsi da un secondo all'altro. Lentamente, alzo la mano per accarezzarle il volto, è fredda. «Emma, guardami.» Non risponde, non reagisce. Continua a muoversi avanti e indietro ritmicamente e ripete sempre la stessa cosa: si dà la colpa.

La vista mi si offusca, di fronte alla sua vulnerabilità ma soffoco le lacrime perché devo essere forte, per lei.

«Emma, ritorna da me. Guardami.» Le prendo il volto nelle mie mani e cerco di portarla da me, lontano da dove si trova con la sua mente. «Piccola, guardami.»

Gira gli occhi verso di me e io sospiro di sollievo ma il sentimento sparisce appena lei comincia a parlare: «Azzurro... Musica... funerale...» Si alza dal pavimento e guarda intorno come se stia cercando qualcosa ma non sa cosa.

«Emma, possiamo pensarci dopo.» La seguo mentre si siede al pianoforte. Apre il suo quaderno con tutti i brani su un brano particolare. Comincia a suonare, mettere insieme note senza armonia, le mani le tremano ma non si fermi. Non guarda le note sul quaderno, sembra seguire il caos che è nella sua mente e rifletterlo nella musica. Si ferma e ricomincia, continua per alcune note e poi si ferma di nuovo. Riparte e si ferma di nuovo. Si porta le mani tremanti nei capelli, tirandoli dietro con forza.

Non riesco a guardarla così, sembra un pellegrino che non sa la sua meta.

Le prendo la mano tremante nella mia. So cosa può placarla.

«La speranza è quella cosa piumata che si viene a posare sull'anima. Canta melodie senza parole e non smette mai.»

Finalmente, ritorna con la sua mente da me e negli occhi vedo paura, terrore. Mi guarda diritto negli occhi quasi stia rielaborando qualcosa.

«No,» sussurra, lasciandomi un po' confuso. Si alza d'un tratto liberando la sua mano dalla mia, senza però distogliere gli occhi dai miei. «No!» urla. «Non c'è nessuna speranza!» dice arrabbiata. «Era tutta una bugia. Non c'è nessuna speranza!»

«Emma, calmati.» Cerco di avvicinarmi a lei ma lei indietreggia.

«No! Non c'è nessuna speranza!» ripete.

Guarda il pavimento, con occhi grandi, potandosi entrambe le mani alla testa. «Il vestito.»

Cammina avanti e indietro sotto gli occhi di Heidi e Emily che piangono.

«Il vestito,» ripete.

Mi avvicino per fermarla. «Emma, ascoltami.» Sembra che la mia voce non la raggiunga perché continua a camminare da un punto all'altro e ripetere sempre la stessa parola.

Allungo la mia mano e la fermo. «Basta,» dico. Non mi guarda anche se siamo a distanza di pochi centimetri.

«Il vestito.»

Mi distrugge l'anima vederla così. «Emma, basta. Guardami.» Non lo fa. La scuoto con forza. «Guardami,» dico serio e finalmente ottengo la reazione che volevo. Si ferma e mi guarda. Prendo il su volto nelle mie mani e sento il freddo del suo corpo opporsi al caldo del mio. «Penseremo dopo a tutto quello che vuoi ma adesso devi venire con me.» Annuisce lentamente con occhi spenti.

La porto nella stanza dove giace sua madre. Stiamo in piedi, in fondo al letto e gli occhi di Emma si fermano sul viso di sua madre. Voglio che il senso di frustrazione e rabbia che si sono impossessati della sua mente spariscano lasciando lo spazio alla consapevolezza che sua madre non c'è più.

«Se n'è andata.» La sua voce è piena di agonia. «Se n'è andata.» Una lacrima silenziosa scorre sulla sua guancia. I suoi occhi si girano verso di me e sussurra: «Sono sola.» Le sue labbra tremano mentre gli occhi si riempiono di lacrime. La abbraccio, accarezzo i suoi capelli e lei nasconde la faccia contro il mio corpo. Singhiozza.

«Non sei sola. Io ci sarò sempre per te.» Il suo corpo trema tra le mie braccia come un foglia mossa dal vento autunnale.

Continua a singhiozzare mentre la tengo tra le mie braccia. «Volevo che mi vedesse in questo vestito,» dice tra un singhiozzo e l'altro.

«Lo so e sai cosa avrebbe detto?» si stringe forte al mio corpo. «Ti avrebbe detto che sembri un angelo sceso dal cielo.» Continua a piangere.

Si allontana da me, con il viso rigato dalle lacrime e i capelli scompigliati. Pulisce le lacrime «Devo organizzare il funerale,» dice con voce decisa.

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