Capitolo 75

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La madre di Nicolas iniziò a farmi delle domande, al quanto normali e questa fu la follia nel normale.

Incredula.
Ecco cosa sentivo dentro di me, accrescersi sempre di più.

La signora iniziava ad aprirsi e tranquillizzarsi.

Mi chiese di come ci fossimo conosciuti, quando avevamo intuito tutto e quanto fosse complicato vivere una testa calda come suo figlio.

"Si, quando si impunta su qualcosa non c'è niente da fare.
Per sua sfortuna, si è innamorato di me, una testa altrettanto dura"
Per la prima volta ridevo insieme a lei.

Mi sentivo soddisfatta, di tante cose ma soprattutto della mia teoria.

Avevo aspettato tanto, ma se questo era il risultato, credo che anche Nicolas ne sia contento.

Dopo tanto tempo e sacrifici, ci dobbiamo prendere almeno una piccola ricompensa.

Ci prese alla sprovvista il rumore di una porta sbattere.

Non sapevo cosa aspettarmi.

"Adesso io e te ce ne andiamo!"
Entro a passo veloce e spedito il mio fidanzato.

Molto arrabbiato ed infastidito, aveva le mani strette in pugni e rosse.

Le muoveva e tremavano dal nervoso.

Sua madre perse tutta la serenità presa in questi venti minuti, trascorsi insieme.

Riprese a piangere e si gettò fra le braccia del figlio, per chiedergli di restare perché ha bisogno di lui accanto a se.

Nicolas con delicatezza ed un leggero bacio sulla fronte, la salutò.

Io non capivo niente, allora per una questione di principio e voglia di vederli uniti come una vera famiglia.

"No!
Io resto qui"
Urlai contro di lui, sempre più vicino a me.

La madre mi guardò strana, avvisai Nicolas utilizzando la mia lingua madre.
Ovvio che non capisse.

"Giulia, non adesso.
Potresti evitare di fare la testa di cazzo proprio adesso"
Ribadì con rabbia, mi urlò contro, avvicinando il suo naso al mio.

Tuttavia, anche il suo tono duro e forte, era in netto contrasto con i suoi occhi leggermente lucidi.

"Mi spiace, ma io sono h24 una testa di cazzo"
E cosi, tornai a sedermi sul divano e far finta che non fosse successo nulla.

Nicolas iniziò a sbuffare e girovagare per la stanza, in modo tale da espellere quel nervoso, che scorre velocemente nelle sue vene.

"Tua madre è al corrente di tutto, quindi, puoi spiegarmi anche qui"
Imposi, incrociando le braccia.

Stavolta parlai in Norvegese, la signora mi strinse la mano, in segno di solidarietà e ringraziamento.

Scossi il viso, combattevamo per la stessa cosa.

L'amore.

"Mio papà, sta male, se non si cura subito non sanno quante speranze ha.
Ed ora, ci voleva una fottutissima diagnosi per chiedermi un po' di rapporto padre figlio?"
Vicino a se c'era un tavolino di legno chiaro, al di sopra vi era posto un posa chiavi.

In porcellana, che si ruppe in pezzi, grossi e piccoli, spargendosi per terra.

Era fuoribondo.

"Aveva bisogno di un ultimatum per accorgersi di tutta la merda passata?"
Ora capisco, ora ho le idee più chiare.

Lui voleva che fosse un'idea sua, intenzionale, questa la percepisce come una forzatura.

"Ringrazia la tua fortuna.
Hai ancora dei genitori da abbracciare"
Alcune volte penso di essere una piagnucolona su questo argomento.

Ma dico la verità.

Io i miei veri genitori non li ho mai visti, sono stata costretta a chiamare qualcuno per trovarli.
Coloro che mi hanno cresciuta, mi hanno abbandonata.

Lui ha una grande fortuna, invidiata da me, con tutto il mio corpo.

"Un po' di tempo con lui, anzi con loro, ti farà bene.
Ne avete bisogno"
Dissi, con dei toni calmi, sperando di contagiarlo.

"Chiamo Ingrid, anche lei ne ha bisogno"

Mi spostai, avvisai la proprietaria di casa della sicura, permanenza del figlio.

"Ti ringrazio"
Sussurrò, felice, abbracciandomi.

"Io e lei viviamo per lui"
Combattiamo dalla stessa parte.

L'unione fa la forza, ed ora, abbiamo bisogno di dargli molta forza.

Ci saranno molte cadute, incertezze, ma io sarò qui.
Per lui.

Per il mio amore.

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