24 -《Deku》-

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Credo di aver visto qualcosa di sconosciuto in me stesso in un giorno piovoso di ottobre, uno dei tanti che ho vissuto. Ho sentito la brezza autunnalle affievolirsi sulla mia pelle e la mia mente viaggiare nei ricordi alla ricerca di quel particolare, quella persona, che rappresentava il punto di svolta che tanto avevo attesso.
Una ricerca nella mia testa, durata pochi secondi, portò il tuo nome a galla e lo scrosciare dell'acqua sull"asfalto sembrò volermi trasportare via come le foglie secche che stavo osservando senza vedere realmente. Udii il suono di qualcosa rompersi e abbattersi con insensata delicatezza a terra, ma realizzai che ciò fosse frutto della mia sola immaginazione. Era una di quelle barriere che mi divideva da te, Deku, e mi sono sbagliato, non si era infranta crollando improvvisamente, bensì sgretolata sotto il mio tocco incerto.
《Scusami...sono stato affrettato.》
Il suo tono era tranquillo, come se il mio modo di reagire fosse prevedibile; mi chiesi se lo avesse fatto apposta, se mi avesse voluto mettere alle strette o se le sue intenzioni l'avessero portato ad una fine plausibile, ma con una percentuale infinitesimale di probabilità.
Kirishima, pensai, ne sarebbe stato in grado per un qualche obbiettivo che lui avesse ritenuto davvero giusto.
《Non volevo che tu stessi male, come amico mi sembrava il minimo, no?》
Io...stavo male? Era questo ciò che l'aveva spinto?
Fino a quel momento non avrei mai creduto di poter provare una cosa simile: confusione e chiarezza al contempo. Era una cosa tanto piacevole quanto spaventosa.
Mi sembrava di star finalmente affogando dopo una lunga attesa.
《Bakugou.》 "Capelli strambi", ancora a due passi da me, si mise la mano libera, che non sorreggeva l'ombrello, in tasca e rivolse un'occhiata sognante verso un punto indefinito davanti a sè.
《Mi sbagliavo, non sei diverso: questo è proprio da te.》
Concluse facendo scomparire l'accenno del sorriso che era rimasto sul suo volto.
《Sono felice di esser stato io ad aiutarti per una volta.》
Detto ciò il suo discorso mi parve inconcluso, c'era qualcosa che mancava, ma...sai? Forse quella volta io conoscevo il continuo che doveva avere la storia.
Kirishima mi fece un cenno di saluto e scomparve dalla mia visuale, la pioggia inghiottì il rumore dei suoi passi e dopo pochi secondi di lui non vi fu nessuna traccia, un'ultima scia delle sue parole sfumò nell'aria fredda.
《Deku...》 un sussurro sfuggito alle mie labbra.
Era stato così tutto il tempo? Davvero era questo il peso che mi sentivo addosso?
Io non credevo di poter provare terrore per una cosa così banale ed ero del tutto impreparato.
Credo che certe volte capiti alle persone di veder le cose con chiarezza all'improvviso. Una breve illuminazione e tutto viene compreso. Credo anche che il mio sia uno dei casi più stupidi proprio per il fatto che io, ciò che cercavo di capire, l'avevo già compreso.
Lo so, è strano, come è stato detto all'inizio, il mio comportamento, ma in fondo gli esseri umani sono capaci di certi stravolgimenti nelle proprie vite ed io sentivo che quello che stavo per affrontare, per quanto banale, fosse stato inevitabile fin dal principio.
Visto dall'esterno, ero un normale liceale alle prese con i propri sentimenti e mi consolai nel pensare di non essere stato il primo in una situazione del genere.
Ripresi a camminare sull'asfalto, che allora sembrava inconsistente sotto i miei piedi e, con il cuore in gola, non alzai gli occhi quando mi passasti accanto fra la folla di persone ammassate vicino al treno. Non ti eri fermato...che non mi avessi notato?
No, la considerai un'opzione impossibile. Era tutt'altra cosa: tu avevi fatto finta di non vedermi.
Non avevo prove, me lo diceva solo il mio istinto.
La cosa non mi infastidì, ero così assorto nei miei pensieri che persino quando scesi dal treno non ti fermai quando vidi il tuo cespuglio verde spuntare a poca distanza da me. Ti guardai andare via e sentii le mie mani formicolare...forse volevo che anche tu posassi i tuoi occhi su di me, ma non ebbi la forza di urlare il tuo nome. Deglutii a vuoto e, stringendo il manico dell'ombrello, mi incamminai verso casa.
Il vialetto di quell'abitazione non mi era mai parso tanto sconosciuto come quel giorno. Avevo la sensazione di star galleggiando verso l'entrata e fu un sollievo poter appoggiare la mano sulla maniglia, stringerla ed abbassarla per aprirla e mettere infine piede nell'ingresso.
Mi chiusi la porta alle spalle e scrollai la testa nel tentativo di rinsavire perchè forse questa è una cosa che molto spesso si omette: capire certe volte porta solo più confusione.
Mia madre non era in casa, nemmeno mio padre, lui sarebbe tornato per cena; il fatto di essere solo alleviò il senso di nausea che mi aveva seguito nel tragitto stazione-casa.
Sfilai le scarpe, appoggiai l'ombrello e appesi la giacca in automatico, tuttavia una volta raggiunta camera mia mi ritrovai senza qualcosa da fare per tenere la mia mente occupata e distante da te.
Mi tolsi la divisa scolastica ed afferrai i primi pantaloni neri che trovai, misi una maglia grigia e stavo giusto per indossare una delle tante felpe nel mio armadio quando notai un ammasso di stoffa rosso acceso sulla sedia vicino alla scrivania. Stava appoggiato delicatamente sullo schienale, una manica penzolante verso il pavimento ed una strana presenza fuoriposto.
Era tua.
Con la fretta che avevo avuto prima di andare a scuola non mi ero accorto che fosse stata dimenticata lì dal giorno prima. Pensai che tu l'avessi posata lì distrattamente, una disattenzione involontaria è qualcosa che può capitare a tutti.
Mi avvicinai lentamente, obbligando le mie gambe a muoversi, studiando con sguardo perso quel capo d'abbigliamento e non appena fui abbastanza vicino lo afferrai con inattesa rabbia, che tuttavia abbandonò presto i miei muscoli tesi, i quali si rilassarono e le mie dita allentarono la presa su quel tessuto morbido.
La sua consistenza...mi ricordava i tuoi capelli.
Un ormai famigliare sensazione d'imbarazzo mi inondò e avvertii il calore propagarsi sulla pelle delle mie guance. Eppure mi piaceva quello che stavo provando, mi piaceva pur essendo una conseguenza delle contraddizioni che avevo affrontato. Cose come: "Oggi sei fastidioso nerd" e "Oggi non riesco a trovarti fastidioso", "Odio il tuo sorriso" e "Sorridi ancora" oppure "Non guardarmi, idiota" e "Guardami, ti prego", erano stati tutti pensieri che si erano scontrati senza che io potessi far qualcosa per evitarlo.
Istintivamente piegai il collo e mi avvicinai sempre più a quell'oggetto ed inspirai.
Profumava di te, lo sai?
Portai lo sguardo sulla porta di camera mia e, pensando di nuovo di essere l'unica persona in casa, sorrisi come un ebete prima di fare qualcosa che di certo sarebbe stato più da te che da me.
Tesi il tessuto e, silenziosamente, lo feci scivolare sulle mie braccia, fin quando la tua felpa non mi avvolse con il suo tepore ed io potei darmi due schiaffi mentalmente per aver appena fatto qualcosa del genere.
Diedi un'occhiata all'orologio appeso sulla parete.
Si era trattato sì e no di un minuto, uno solo, di pura pazzia.
In quei sessanta secondi mi ero stretto in quella felpa leggermente larga persino a me.
Mi arrivava fino a metà coscia e mi chiesi stupidamente come ti fosse venuto in mente di comprare un taglia in più del dovuto, particolare su cui non stetti a riflettere.
Quel pomeriggio, fino alle cinque, stetti chiuso nella mia stanza a rigirarmi sul letto, il tuo odore nelle narici ogni volta che mi muovevo un minimo. Fu dopo le prime due ore che mi ci abituai e per una quarantina di minuti i miei occhi stettero chiusi e rilassati mentre la mia mente riposava, credo di aver sonnecchiato con un'espressione rilassata.
Come dicevo, fino a quando la sveglia sul mio comodino non segnò le 17, non mi mossi da quella camera.
Alle 17.01 le mie palpebre avevano deciso di sollevarsi e di non volersi più richiudere e così, scocciato, mi dovetti sollevare con il busto e mettermi a sedere sul bordo del letto, tristemente conscio del fatto che non mi sarei riaddormentato con facilità.
Stetti quei soliti due, tre minuti a cercare di riprendermi dalla sonnolenza e, nella luce fioca lì presente, mi alzai muovendomi verso la finestra.
Le giornate si erano ormai accorciate e quel 7 ottobre l'ombra della sera era già presente, si trascinava dietro l'ultima ora di luce, portando le sfumature dell'oscurità della notte con sè. Mi avvolsi nelle mie stesse braccia, una stretta attorno al mio busto che mi ricordava stupidamente quel tuo abbraccio di pochi giorni prima. Non era la stessa cosa da solo.
All'improvviso, un sonoro rumore metallico si diffuse per la casa ed io sussultai tranquillizzandomi subito dopo quando sentii una voce di femminile pronunciare frasi non molto educate verso una pentola che quasi sicuramente era scivolata a terra.
Decisi di dirigermi al piano di sotto, scesi le scale con passo pesante e mi affacciai alla cucina.
Una donna dai capelli biondi e ribelli come i miei stava china vicino al mobile delle pentole con due o tre di queste sulle ginocchia.
Restai divertito ad osservare la scena mentre mia madre finiva la ramanzina a quei contenitori metallici bofonchiando qualche parola di rimprovero.
《Ben svegliato bell'addormentato.》 Le sentii dire ed io rimasi alquanto scioccato e infastidito dal suo commento che mi aveva rivolto ancora girata di schiena.
《Non chiamarmi bel-》
《Perchè? Per me ti si addice, avevi un'aria così calma mentre dormivi. Quando sono arrivata a casa non si sentiva alcun rumore e ti ho scoperto raggomitolato sul letto...a pensarci bene sembravi un gatto.》
Non poteva essere seria.
《Non paragonarmi ad una cazzo palla di pelo! Io non sono...》 le mie parole, inizialmente decise e dure si abbassarono di tono quando mia madre si voltò sorridente e mi ammiccò prima di alzarsi e posare una padella sui fornelli.
《Aaaah! Lasciamo stare, fai sempre così tu!》 Conclusi infastidito e la sentii ridacchiare.
Mi appoggiai alla parete e feci vagare lo sguardo sul corridoio d'ingresso, fermandomi sulla porta. I miei occhi ricominciarono a perdersi nel fissare i particolari di qualcosa a cui non prestavo molta attenzione in realtà ed una bizzarra ed impulsiva idea mi venne in mente.
《Mamma, io esco. Torno prima di cena.》 La informai e prima che potesse anche solo appoggiare alcuni utensili da cucina che aveva in mano e rivolgermi un saluto io ero corso a mettermi le scarpe ed ero già oltre la soglia di casa.
La brezza gelida mi colpì in pieno quando svoltai l'angolo e misi le mani in tasca convinto di sentire meno freddo.
L'odore della pioggia era ancora presente, ma ormai quasi scomparso visto che aveva smesso di piovere intorno alle due e mezza e, con la comparsa del sole, l'asfalto si era ormai asciugato.
Continuai a svoltare in numerose vie scalciando sassolini e controllando l'ora sul cellulare di tanto in tanto; credevo di non avere una meta precisa, ma mi sbagliavo ed infatti i miei passi si arrestarono in automatico dopo una mezz'oretta di cammino.
Indugiai alcuni secondi nel guardare quei pezzi di legno di fronte a me e, senza stare a pensarci troppo, mi sedetti sulla panchina.
I miei occhi girarono per l'ambiente circostante mentre mi mettevo comodo comodo con le gambe incrociate; tirai fuori il telefono dalla tasca dei pantaloni.
Scorsi le varie applicazioni con disinteresse e, come una coincidenza alquanto strana, aprii la rubrica per sbaglio.
Proseguendo quel gesto involontario iniziai a scorrere i vari nomi in ordine alfabetico. Quella sera non andai più avanti della "D".
Il tuo era nel ventunesimo posto a partire dall'alto, il primo con quell'iniziale; l'avevo salvato cone tutti i numeri dei nostri compagni esclusivamente per non far confusione sul gruppo della classe.
Non so cosa pensai in quel momento, ma le mie dita premettero su quelle quattro lettere e la schermata divenne nera in pochi attimi.
Avvicinai il cellulare al mio orecchio.
Un primo squillo: il mio respiro si fermò.
Un secondo: pensai e sperai che non rispondessi.
Un terzo: un suono strano, come di un fruscio, e sentii la tua voce.
《Pro-pronto? Scusa, avevo il telefono distante.》
Avevi corso per rispondere?
Non chiedermi come, ma avevo notato il tuo quasi inudibile ansimare quando avevi risposto alla chiamata.
《Kacchan, ci sei?》
Sbattei le palpebre quando mi chiamasti e per una volta lasciai che a parlare fossero i miei pensieri, senza alcun filtro.
《Deku, puoi venire al parco, alla panchina dell'altro giorno?》


Sorvolando il fatto che abbia rilletto il tutto all'una e mezza di notte, sono felice di essere arrivata a questo capitolo😄
Ho dovuto dividerlo in due parti, altrimenti sarebbe venuto un poema lunghissimo, tuttavia trovo che sia meglio aver fatto in questi modo; mi ha entusiasmato scrivere questa e la prossima parte e spero che sia lo stesso per voi leggendo.

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