43 -La chiamata del vuoto comparve in un giorno distante nel futuro-

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Ragazzi, questo capitolo è un breve racconto ambientato nel futuro, sei anni dopo i fatti di cui Kacchan stava narrando. È una parte importante, ma vi avviso che sarà spiegata per bene tra un po'. Il prossimo aggiornamento riprenderà dalla scena dell'ospedale.
Spero vi piaccia❤

31 Marzo, a te tra sei anni.

Indefinita, mi ritrovai a riconoscerla: la chiamata del vuoto.
Lo so, è un nome strano, forse un po' malinconico, ma non farti ingannare, il suo volto è contorto quanto il suo significato. Più volte ho cercato di levarmi questo brutto pensiero dalla testa, ma tutt'ora mi pare impossibile, perchè è questo il problema: una volta che vieni a conoscenza di qualcosa non puoi semplicemente metterla da parte, cancellarla o premere il tasto di reset. Rimarrà lì con te, come un segreto condannato alla prigionia nella tua mente.
Vorrei spiegarti quello che so, per quanto possibile.
Una via di mezzo ci doveva essere, qualcosa che sarebbe riuscita a distrarci dagli affanni, e, sai? Io l'avevo trovata dopo anni di domande malcelate alla tua attenzione, nel mese di marzo, a sei anni di distanza dal nostro primo bacio.

Rammento di un giorno lontano, umido e che mi appare ormai sconosciuto. L'immagine delle mie scarpe sporche di fango è la prima cosa che riesco a figurare; la seconda settimana di quella primavera aveva piovuto tanto...tanto che quell'acqua fredda mi aveva sommerso. Ed ero affondato nella terra molle senza rendermene conto, in silenzio, camminando per quel sentiero. L'erba bagnata dalla rugiada mi circondava e le foglie pendevano stanche, provate dall'impeto della pioggia, dai rami: era un panorama fermo, ancora nitido nella mia testa, sapeva di te perché tutto portava un tuo ricordo a galla. Quel giorno non ti avevo detto "buongiorno", mi chiesi se ne potessi essere rammaricato, ma presto scacciai quel pensiero e mi dissi che, una volta ogni tanto, era giusto che prendessi un po' di tempo per me stesso.
Dovevo staccare dalla vita caotica che ci circondava, me ne ero convinto, quella era un'affermazione che via via stava prendendo sempre più consistenza.
Mi ero avviato da solo per la strada, di mattina presto, senza rivolgerti un pensiero, avevo deciso di lasciarti dormire in quel letto vuoto senza rimpianti, il clima era tiepido nella sua freddezza, scarno, lasciava che la natura si mostrasse priva di timore ai miei occhi.
Ero già stato lì, con te, all'epoca della nostra infanzia. Eravamo così minuti, piccoli, ma possedevamo abbastanza forza nelle gambe da raggiungere un posto del genere.
Situato a nord-ovest dalla città, due ore in macchina e poi un'altra per salire e arrivare al primo cartello, ad una cinquantina di metri più in alto si stagliava quel vecchio bivacco di legno robusto, ancora in piedi dopo tanto tempo. Come dicevo, da ragazzini, durante un'estate particolarmente afosa, avevamo trascorso due giorni isolati in questi luoghi. Quando mia madre mi aveva detto che saremmo andati in vacanza con te e la tua famiglia, non sapevo se dovermene rallegrare o meno, dopo tutto molti dei miei amici mi avevano detto che sarebbero andati al mare nella stessa settimana e di sicuro avrebbero avuto tanto da raccontare. Perciò avevo protestato inizialmente, accecato dall'idea di essere etichettato come quello che aveva fatto una vacanza noiosa, anche se breve, insieme ad un mezzo sfigato, perchè...mi fa male ammetterlo solo adesso, anche quando non si sapeva che tu fossi un senza-quirk, eri considerato un debole. Dentro di me, tuttavia, cercavo di smentire quelle voci anche se di volta in volta mi univo al loro gruppo lasciandoti in disparte. Ero troppo giovane per comprendere il tuo punto di vista e spesso non mi rendevo conto dei miei comportamenti sbagliati.
Eravamo solo dei bambini e, come tali, non potemmo opporci al volere dei nostri genitori; ci ritrovammo così a dover condividere il nostro tempo durante il weekend.
Inko e mia madre passarono il pomeriggio fra chiacchere e cucina, i nostri padri erano stati incaricati di sorvegliarci, ma, come si poteva immaginare, finirono presto per addormentarsi sulle sdraio che ci eravamo portati dietro.
Strano a dirsi, dopo la prima ora riuscii a mettere da parte il mio orgoglio e, un po' spinto da mia madre, decisi di dover interagire con te. Al pensiero di come ci investimmo del nome di "esploratori" mi viene da ridere: non ci allontanammo di molto, ma i dintorni di quel rifugio diventarono il nostro regno. Imparammo presto ad orientarci, distinguevamo gli alberi l'uno dagli altri, investigavamo sulle impronte in cui ci imbattevamo, chiudevamo gli occhi a causa del sole quando uscivamo furtivi dall'ombra della boscaglia, ci nascondemmo per poi ritrovarci alla sera per cena.
Il tavolo di legno era proprio lì davanti all'entrata, e ricordo persino lo scricchiolio del pavimento sotto i nostri piedi prima di andare a dormire. Camminammo in punta di piedi quella notte, diretti verso la piccola finestra rotonda del piano di sopra, dove ci avevano detto di non andare perchè troppo impolverato, ma lo sapevamo entrambi: non potevamo rinunciarvi, la curiosità era troppa e la vista delle montagne avvolte dall'oscurità sotto le stelle, attraverso quel vetro polveroso che mi affrettai a ripulire con la manica del pigiama, fu il compenso per aver trascorso quella giornata con te. L'indomani, prima di sera, avremmo dato l'addio o sussurrato un arrivederci a quel luogo, di certo non pensavo che vi sarei tornato da solo ad anni di distanza.
Finalmente ero arrivato.
Lo spiazzo davanti non era cambiato di molto, nemmeno il minuto edificio presentava troppe differenze, forse avevano sostituito i vetri, dato una mano di vernice, ma a guardarlo pareva lo stesso che avevo conosciuto da bambino. Solo la staccionata che si affacciava sul mare di terra e boschi lì di fronte non era la stessa, probabilmente l'avevano sostituita e la cosa mi dispiacque poichè un pezzo della mia memoria era in qualche modo andato via.
Vi appoggiai i gomiti ed il tessuto della giacca tecnica che indossavo si piegò sfregando rumorosamente.
Sbuffai osservando le mie mani prima di alzare lo sguardo.
Come speravo, ciò che vidi mi tolse le parole di bocca e portò in me agitazione. Avevo percorso un lungo sentiero e mi trovavo così in alto, così distante da tutto, ma non da te poichè, come sempre, eri in un angolo nascosto della mia mente, silenzioso attendevi che mi distraessi anche solo per un istante. Volevi sopraffarmi ancora e ancora senza sapere la verità: ci eri già riuscito così tante volte che ormai avevo perso il conto.
Persino quand'eri lontano apparivi incontrollabile e mi costringevi ad un'impotenza involontaria.
Rabbrividii mentre l'ombra che mi aveva accompagnato lasciava spazio, arretrando spaventata, alla luce. Il sole era comparso, cogliendomi di sorpresa, ancora.
Buttai fuori l'aria espirando con una delicatezza che, prima di te, non avevo mai saputo di possedere.
Sai? C'è differenza tra il prendere ed il portare via.
Era una tua frase o un mio pensiero? Forse entrambe le cose.
Me lo avevi insegnato tu che, con leggerezza nel sorriso, ti eri permesso di mettere mano dentro di me, mettendo a soqquadro l'ordine dei miei pensieri, curiosando nel mio cuore e arrivando a sentirne il tepore fra le tue dita, lo avevi stretto, celandolo agli occhi, nascondendolo ad entrambi.
Ciò mi è sempre parso illogicamente giusto.
Perchè tu lo avevi allontanato da me senza trovare impedimenti, senza chiedermi nulla di più, senza lasciar trapelare alcun segno di vulnerabilità ed io mi ero fidato tanto...tanto da darti il consenso di maneggiare con qualcosa di così pericoloso e fragile, ma che solo con il tuo tocco riusciva ad essere stabile. Avevo visto le tue mani affondare nel mio petto e mi ero perso in me stesso ignorando il formicolio fastidioso che scatenavi, erano questi i fatti.
Non avevi agito con forza e qui sta la differenza: ho vissuto con un piede volto indietro per tanto tempo, con gli occhi mai stanchi di meravigliarsi per quelle piccole cose poco importanti, con idee che non ho saputo riconoscere come mie, con sentimenti affilati dentro al mio cuore, con troppe paure coraggiose nella mente, pronte a mostrarsi fra le mie debolezze e tu...tu mi hai rubato un istante; devo perdonarmi per il consenso che ti avevo dato, perché era stato volontario, ma incompreso. Lo avevo interpretato con così tanti pregiudizi. Non devo avere dubbi, ma mi sento impotente e i brividi sulla pelle non mi piacciono, sono gelidi dalla vita in su, mi fanno male a volte, altre ancora mi sento contorcere in me stesso per rifugiarmi da essi, ma senza quei tocchi gelidi non mi rimane altro e se avrò solo questo allora li desidererò fino a consumarli, non fermarmi, posso farlo.
Frasi mute risiedono ancora dormienti, ma se un giorno le sveglierò te lo giuro: non lo farò per te, lo farò per me stesso e per tutte quelle occasioni che ho sprecato senza stare a riflettere.
Mi hai preso inerme, indifeso forse, sei stato capace di ghermirmi in una sera di settembre e non posso tornare sui miei passi, nè prometterti che non ci tenterò. Quindi aspettami, arriverà il giorno in cui i tuoi occhi non tremeranno alla mia vista e in cui fuggirai dal mio abbraccio. Credimi, ti prego, devi sapere che questa vita, per quanto ci appartenga, è stata una spettatrice crudele della nostra storia e adesso...mi appare così stranamente gentile.
Ho desiderato cadere, fare un solo passo di più e darmi la spinta giusta, perchè quell'idea mi ha attirato senza alcuna spiegazione, perchè mi sono sentito così distante da me stesso, perchè qualcosa mi ha chiamato, qualcosa che mi ha ricordato tanto la tua voce.

EVEN IF (Bakudeku / Katsudeku)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora