46 -Fammi sentire solo-

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Il mio sguardo si sollevò per osservare quel piccolo e spaventoso pulsante. Mai un campanello mi aveva messo tanta ansia.
L'aria mi soffiava contro con prepotenza e, posso dirtelo, mi spingeva a pensare di essere nel posto sbagliato perchè mi trasmetteva la freddezza dell'inverno senza riguardo per le mie mani gelate, per i miei polmoni che, ancora e ancora, si stavano preparando ad accogliere il ghiaccio con ogni respiro.
Non avevo il tempo di pensare e tutto mi stava distraendo: la bellezza della città deserta, il grigio dell'asfalto che spuntava qui e là come piccole macchie sulla neve ormai compatta e non più morbida sotto ai passi, era diventata dura e scivolosa. Era mutata in poche ore insieme alle mie idee, tra le quali cercai di fare ordine con impazienza.
Sbuffai e, letto un'ultima volta il tuo cognome, premetti il polpastrello sul metallo freddo. Attesi e mi tormentai il labbro inferiore, ero teso, incerto.
Cosa provavo?
Non avrei dovuto, mi chiesi, essere in quel posto? Qualcosa mi sussurrò e mi parlò con calma: mi disse che avevo paura.
Le note di una canzone che mai avevo sentito prima di allora accompagnavano i miei gesti come se conoscessero le mie intenzioni, come se ogni ragione che ancora non avevo trovato stesse rinchiusa in esse e le sentii vibrare in me, incostanti, mutevoli e silenziose. Era forse il mio cuore? Dimmi, perchè sentivo di dover e, allo stesso tempo, di non dover essere lì? Separai le labbra e permisi all'autocontrollo di abbandonarmi per poi richiamarlo quasi subito; rabbrividii nel vento.
Mi mancava un tuo contatto e non ero certo di poterlo avere quel giorno.
Un brusio, fastidioso, un fruscio dall'altra parte, avevi risposto?
Raccolsi quanta più aria possibile, più di quella che necessitavo.
《Deku?...sono io.》dovevo dirti il mio nome? No, sicuramente sapevi chi fossi...allora cosa aspettavi a rispondermi? Stavi ascoltando, lo sapevo. Ero impaziente.
《Sono uscito oggi dall'ospedale. Volevo vederti...tu non sei passato a trovarmi.》
Un'altro brusio, tremante, pensai fosse il tuo respiro.
《Posso entrare? Qui...》Ridacchiai debolmente 《...diciamo che non fa proprio caldo.》
Non desideravo la tua voce, credo che lo avessi capito, volevo solo arrivare a quanto più possibile vicino a te.
《Scusami.》sussurrai sperando che non mi sentissi. Ti dedicai solo una richiesta di perdono per quello che stavo per dire.
《So che sei solo.》buttai fuori questa frase che, giuro, stavo cercando di trattenere. 《Lasciami entrare.》chiesi ancora pochi secondi dopo.
Nell'attesa di una tua reazione, mi guardai attorno e mi ritrovai completamente immerso in quel clima freddo, ma meraviglioso.
Ti prego, pensai e ripensai quelle parole tante di quelle volte che presto persero il loro significato. Magari, anche se non mi avessi aperto, sarei rimasto lì per...per cosa?
Trattenni il respiro nel comprendere le mie azioni. Avevo tanti interrogativi da porti, tante risposte da illustrarti, ma poche parole a cui poter dar forma. Avevi divorato la mia voce con i suoi suoni, perchè quando sentii lo scatto del blocco della porta la mia gola sembrava secca e incapace di proferire alcun rumore. In un istante, tutto era cambiato.
Avanzai lento all'interno e, diversamente da ciò che mi aspettavo, il calore dell'ambiente non mi diede sollievo. Le scale sotto di me parevano voler crollare ad ogni gradino che salivo, le mie scarpe affondavano nel pavimento del corridoio, qualcosa sembrava starmi divorando lentamente mentre mi avvicinavo alla quinta porta sulla destra, la tua.
Esitai, ma per poco e, convinto di non poter far retromarcia, afferrai la maniglia con forza prima di abbassarla.
Mi tolsi le scarpe e le lasciai cadere. Vi era buio oltre quel varco, un'ombra pesante e densa aveva invaso quell'ambiente e, anche se vedevo i miei piedi scalzi percorrere il parquet, la luce che filtrava dalle spesse tende del soggiorno era fievole. Respirai l'odore di chiuso, mi diresssi verso il tavolo e lì, posato sull'angolo di sinistra, stava una tazza mezza piena di un tè scuro e lasciato troppo in infusione, pur non avendone assaggiato un sorso seppi che il suo sapore doveva essere amaro...tanto amaro, forse imbevibile. Sfiorai la ceramica e ritrassi la mano di scatto: era gelida. Da quanto stava lì? I miei occhi vacillarono e si spalancarono quando, nel trattenere il respiro, ebbi la conferma della tua presenza.
《Sei entrato comunque.》Sussultai.
Mi voltai. Il tuo tono era stato così inaspettatamente gelido, gelido come i tuoi occhi: a pochi metri di distanza, due iridi verdi mi fissavano dalla penombra, accanto alla cucina, dalla porta che dava sul corridoio. Un corpo immobile poggiava allo stipite.
Fui spaventato dalla tua immagine.
Le braccia stavano abbandonate lungo i fianchi, dei pantaloni di tuta grigi fasciavano le tue gambe apparentemente instabili, una larga t-shirt bianca storta e tirata giù dal proprio peso mostrava la tua clavicola, esponendola al freddo della casa, lo avevo notato: il riscaldamento era spento. Infine, il tuo viso fu ciò che mi fece deglutire a vuoto. I capelli scompigliati e umidi contornavano un'espressione indecifrabile. Serietà? Tristezza? Non sapevo a che emozione ricondurla, era vuota e piena al contempo e mi ci persi per secondi infiniti.
Se fosse facile stare in silenzio non mi sarei sentito così pesante da credere di star precipitando e se fosse stato facile parlarti le parole non sarebbero state fuggevoli, non mi avrebbero abbandonato in una disperazione momentanea.
Così mi soffermai su quelle ciocche verdi, pesanti e leggere, mi attirarono e allora...allora presi coraggio e mi mossi deciso per arrivare da te, facendo il primo passo mi tolsi la sciarpa, la buttai sul tavolo assieme allo zaino e proseguii. Tu parvesti non reagire fin quando, lo immaginai, non oltrepassai un certo limite: pochi centimetri, chi può saperlo?, fatto sta che i miei muscoli si tesero per arrestare ogni movimento quando tu arretrasti, come spaventato, rischiando d'inciampare e con molta fretta, fino alla parete del corridoio che stava alle tue spalle. Il tuo busto vi rimbalzò contro, scosso dall'improvviso impatto e di te mi restò un profumo distante che si stava affievolendo. Dolce, non abbastanza, mi fece smettere di pensare, per pochi istanti, alla situazione in cui mi trovavo. Ecco il perchè dei tuoi capelli umidi: dovevi esserti appena fatto un bagno.

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