40-Omnia et nihil-

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Misi piede oltre la soglia e, addentrandomi nell'ingresso di casa mia, mi immersi nel buio. La mezzanotte era passata, i miei probabilmente dormivano e di certo non volevo rischiare di farmi scoprire ad essere rincasato così tardi, da solo. Avevo detto che qualcuno dei miei amici mi avrebbe dato un passaggio, questa era la versione che avevo dato.
Respirando il silenzio, mi tolsi la giacca e la appesi.
Il corridoio era scuro, le luci di casa erano spente a parte...quella in cucina?
I miei piedi percorsero la poca distanza fino alla porta socchiusa dalla quale filtrava un filo sottile e luminoso. Vi posai il palmo e spinsi.
Sbattei più volte le palpebre per abituarmi e, confuso, vagai con lo sguardo per la stanza.
Un ammasso di stoffa e capelli biondi come i miei stavano accasciati sull'isola della cucina, braccia incrociate, testa chinata, il computer ancora acceso lì davanti, dita abbandonate sul ripiano freddo, quelle della destra stavano vicine ad una tazza di ceramica bianca non più fumante. Avvicinandomi piano, potei constatare che il tè non fosse stato bevuto tutto e che quel liquido ambrato aveva ormai lasciato alcune macchie scure essendo stato lasciato lì per troppo tempo. Guardai mia madre.
Da quanto era lì?
Il suo viso rilassato, in quel momento, celava perfettamente il suo forte carattere.
Avrei dovuto...svegliarla? Non potevo lasciarla dormire in quella posizione così scomoda, ma mi sarebbe dispiaciuto destarla, pareva così rilassata. Da giorni era tesa perchè non trovava mai un momento di pausa tra il lavoro e le faccende di casa ed io, pur dandole una mano, ero troppo preso dai miei problemi per potermi sforzare un po' di più e dirle di calmarsi e prendersi un giorno di pausa. Ero stato troppo concentrato su me stesso, ma in fondo siamo tutti un po' egoisti e sono piccole cose come queste a farcelo capire e a farci posare i piedi a terra, ci fanno comprendere di essere solo delle persone come tante altre.
Afferrai la tazza e la portai al lavandino, aprii un'anta sopra di me e afferrai il manico di quello che, tastando alla ceca, mi parve un pentolino.
Cercai di far poco rumore, ma inevitabilmente, quando accesi il fornello, sentii un fruscio di stoffa alle mie spalle.
《Mmmh...oh, sei tornato.》la sua voce impastata mi raggiunse.
《Com'è andata?》domandò con un minimo d'interesse e trascinando le parole dietro ad uno sbadiglio.
Esitai a rispondere.
《Bene, è stato tutto perfetto.》ancora voltato, mi allungai per prendere la scatola delle tisane.
《Quale vuoi? C'è gelsomino o-》
《Menta.》mi interruppe prima che potessi finire ed io mi girai a guardarla stranito.
《Non devi far l'elenco ogni volta, ormai so che è la tua preferita.》
Si era tirata su, aveva ruotato lo sgabello su cui stava seduta e mi fissava con la testa posata ad una mano che ne sorreggeva il peso. La lunga vestaglia beige la avvolgeva, si vedeva il colletto del pigiama bordeaux spuntare da quel tessuto chiaro.
Sbuffai e presi due tazze pulite per poi posarle vicino al pentolino: l'acqua stava ormai per bollire.
《Allora...siete andati in un ristorante?》
Senza neanche pensare, cosa per cui mi maledii poco dopo, mentre versavo le foglie di menta nell'acqua, le risposi.
《Sì, un posto carino. Io e D-》mi bloccai 《C-cioè, gli altri hanno voluto andare in un pub, in centro, tutti assieme.》rabbrividii nel pronunciare parole senza senso. Mia madre mi aveva appena chiesto se eravamo andati in un ristorante... ed io le stavo dicendo di noi?! Impallidii e decisi di attendere due secondi prima di prendere il colino e versare la tisana nelle tazze con mano tremante.
《Mh-mh. Raccontami della serata.》
Inspirai.
《Ma n-no, è tardi.》
Mi voltai a testa bassa porgendole la bevanda calda, mi sentii in imbarazzo, quasi a disagio. Sperai che non volesse proseguire con il dialogo.
《Katsuki, smettila; lo so.》lei sapeva ...sapeva cosa?!
《È Izuku, non é così?》rilassata, lo domandò con naturalezza, quasi che l'argomento non fosse delicato quanto io lo ritenessi.
Prese la sua tazza dalle mie mani ed io sollevai il viso facendo scorrere lo sguardo per terra, fino a salire ai suoi occhi.
Sorrideva comprensiva.
Deglutii e socchiusi le labbra, le sentivo incapaci di proferir parola. Così, impreparato, fui in grado solamente di cercar rifugio nel semplice gesto di tormentare un lembo della maglia con nervosismo.
Cosa le potevo rispondere? Credo che stessi litigando con me stesso: la mia parte razionale si era divisa e voci contrastanti mi dicevano di sviare il discorso o di dire la verità. Non capivo molto dei loro sussurri, i miei pensieri si confusero e per pochi istanti permisi all'autocontrollo di svanire. Strinsi la stoffa che tenevo fra le dita, brividi privi di un freno si sparsero in me, presi aria velocemente, un solo respiro mozzato a metà mi fece sussultare e la mia pelle mi parve esposta prima al gelo, poi ad un caldo insopportabile.
Infine, tutto scomparve.
《Sì, è lui.》
La pressione che avevo sentito stringermi mi abbandonò e credetti di essere impallidito, incredulo di averlo detto.
Mi sentii ribollire dall'interno e le mie guance, ne ero sicuro, erano più che rosee, ma nonostante ciò trovai quasi piacevole quella sensazione.
Avevo lasciato prevalere la ragione o l'istinto? Non lo capii.
Poi un tepore familiare mi avvolse. Due esili, ma forti braccia mi stavano imprigionando. Non vidi il volto di mia madre, eppure seppi che, se l'avessi anche solo immaginato, avrebbe portato pace nell'intricato via vai dei miei pensieri, in me che prima di quelle settimane ero sempre stato restio a mostrarmi per ciò che ero.
Da quando mi ero iscritto alla U.A. ero cresciuto, maturato per certi versi, ero diventato diverso da quel che mi sarei aspettato, i miei obbiettivi erano rimasti invariati, ma in certe giornate li sentivo più distanti e in altre più vicini, ho affrontato un cambiamento che mi ha costantemente riportato al punto d'inizio fino a quando non l'ho capito: accecato dalla mia ingenuità ero solo andato avanti a tentoni. In un anno mi ero ritrovato ad essere completamente impotente contro me stesso e una piccola parte della colpa devo darla a te, Deku.
Le braccia mi circondarono stringendomi lievemente.
Era sicurezza quella che sentivo? No, era molto distante dall'esserlo, rassomigliava molto più ad un sussulto incontrollato del mio corpo, il quale aveva perso la capacità di reagire.
Allora...lo avevo fatto. Le avevo lasciato via libera per raggiungermi.
《Non ti riconoscevo più.》sospirò 《Nelle ultime settimane sei diventato così difficile da capire, sei stato un idiota! Farmi preoccupare in questo modo...》strofinò il naso fra i miei capelli ed io mi trattenni dal dirle che non ero più un bambino piccolo, che non doveva trattarmi in quel modo e che...in verità mi sentivo bene stretto nel suo abbraccio.
《Non cambia nulla per me, Katsuki, solo...cerca di stare attento, non ti chiederò altro.》

Salito in camera mia, una volta infilato di fretta il pigiama, la morbidezza delle coperte del mio letto non mi sembrò comparabile con il senso di calma che mi aveva trasmesso mia madre. Sapevano di pulito, perciò mi godetti il momento mentre mi avvolgevo con esse e attendevo che si scaldassero. Il buio della stanza accompagnò i miei occhi fino alla cecità, non distinsi più le mie dita che spuntavano, vicino al mio viso, fra le lenzuola e mi rilassai immaginando di essere ancora con te, su quel prato freddo. In pochi secondi ripercorsi la giornata appena trascorsa e desiderai tanto poterla rivivere. Era impossibile, lo sapevo, quindi fu sufficiente concentrarmi e lasciar andare poco a poco tutte le sensazioni che avevo in testa sotto forma di nitido ricordo. Le lasciai fuggire, ma esse si erano come insidiate in me e mi chiesi se sarebbero persistite a lungo o forse lo sperai, non era così strano, no?
Ero felice, ansioso di rivederti, per te era lo stesso?
Non mi era permesso saperlo, ma supposi che il modo in cui ti avevo stretto a me prima di salutarci abbia fatto tremare anche te.
Ti volli di nuovo accanto a me, nonostante fossi obbligato ad attendere fino alla mattina, mi concessi di desiderare anche questo.
Ti dedicai un ultimo pensiero prima che un altro, fastidioso, si presentasse.
Le parole che mi erano state rivolte neanche un'ora prima mi ritornarono alla memoria: mia madre mi aveva chiesto di far attenzione. Cosa intendeva?
Era stato per infondata preoccupazione o per sincera comprensione? Si riferiva al passato o al futuro?
Nelle settimane che erano trascorse avevo dovuto far fronte a molte cose, resistere a qualcosa d'ignoto come quella tua parte tanto spaventosa che mi si era mostrata aveva affaticato la mia mente; non so se sia mio diritto dirlo, ma credo che questo valga per chiunque: siamo inclini all'incomprensione più di quanto possiamo immaginare ed essa ci rende vulnerabili. Ciò non accade per debolezza, ma a causa della nostra inconsapevole indifferenza. Certe cose sono contorte, si mostrano così chiare in apparenza da riuscire a trarre tutti in inganno e così avevi fatto anche tu.
Se dovessi ammettere la verità, non so se io abbia mai davvero voluto conoscere me stesso. Mi sono perso nel silenzio che avevi portato una sera d'Ottobre e mi ero assopito con esso, perciò mi domandai se in qualche modo ci dovesse essere anche un risveglio. Con affanno, eravamo giunti a quella domenica di fine mese, eppure continuavano entrambi ad aspettarci qualcosa in più. Una curiosità primitiva, nella natura di ognuno, non la potevamo sopprimere e l'instabilità, l'incertezza, il timore, essi sono stati il nostro trascorso e nulla cambierà con il tempo, perchè esso ha lasciato un segno indelebile dentro di me e so che non potrà mai scomparire.
Prima che tutto iniziasse a correre, prima che si abbassassero ulteriormente le temperature, prima che anche i nostri cuori prendessero a battere sempre più veloci, fino a dolerci, prima di abbandonare l'illusione in cui vivevamo, avrei dovuto prometterti che sarei stato abbastanza forte da sopportare qualunque cosa, come avevo sempre dimostrato in qualità di eroe, avrei dovuto dirti che ciò che avevo affrontato fino ad allora era solo una banalità, che avevo esagerato nel lasciar tanto spazio ai miei sentimenti, ancora incapaci di stabilità, che mi sentivo pronto a proseguire e che questa volta non mi sarei voltato per dare un ultimo sguardo indietro. Avrei parlato, se non a parole, con semplici gesti, magari un sorriso ogni tanto, una presa attorno alla tua mano, una forte stretta che ti avrebbe avvolto e tu, lo sperai, avresti capito. Ero stato uno sciocco a lasciarmi trasportare dagli eventi senza provare a fare un vero tentativo per fermarmi, ma allo stesso tempo credetti che fosse stato meglio così, perchè alla fine mi ero reso conto di averti accettato in me completamente.
Il mio cellulare vibrò, ma non volli abbandonare il calore delle coperte e potei solo immaginare che quello fosse un tuo messaggio in cui mi davi la buona notte, il mattino seguente mi sarei svegliato e avrei scoperto quelle poche parole scritte da te:

《 Notte, Kacchan❤》

Dodici lettere che mi avrebbero spinto ad alzarmi di buon umore.
Così, ero arrivato persino a rivolgerti certi pensieri, tuttavia non li trovai fastidiosi, ma tremendamente piacevoli.

Mi chiesi se nell'istante precedente alla caduta nel sonno tu avessi pensato a me come io avevo pensato a te: una visione perfetta nelle sue imperfezioni, impossibile da dimenticare e di cui ci sarebbe rimasto tutto e nulla.


Ragazzi/e, so che è tardi per un avviso del genere e mi scuso per questo, ma vi devo chiedere di tornare due secondi di numero ai primi capitoli di questa storia. Rammentate quando Kacchan dice che dovrà tornare indietro a raccontare i fatti di due anni prima?
Se sì, bene, dovete perdonarmi, in realtà dovevo scrivere 7. Ho riletto ieri il tutto e qualcosa non quadrava con l'ordine cronologico che ho in mente per questa storia e, beh...si tratterà di una piccola modifica, ma ho ritenuto di dovervi avvisare.

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