77 -Kairos*-

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Ho ammesso di amarti con grande rimorso perchè persino a quel tempo avevo la strana sensazione che l'amore fosse un continuo senso di colpa verso se stessi per essere così fragili, incerti, assurdamente coraggiosi e volubili. Si viene plasmati dall'ideale del sentimento puro, incontaminato, quasi che l'affetto più profondo non sia altro che un'innocente e disperata utopia.
Trascorrere le notti immersi nel costante dubbio della conoscenza dei propri desideri, accompagnati dall'innata certezza che unicamente la solitudine ci possa insegnare ciò che è sempre stato insito in noi, potrebbe essere questo il senso delle emozioni: una piccola debolezza, sincere domande che non necessitano di risposte.
Sospiri nel buio, strette contorte del lenzuolo attorno al corpo, il soffoco di non sentirsi più la stessa persona che si è stata alla luce del sole quando si apprende che, in verità, è nei sogni che meglio ci dovremmo riconoscere; ricordo il groviglio di frasi che tenevo in gola quando mi addormentavo al tuo fianco, come se la mia forza di volontà venisse meno al pensiero di doverti esporre le mie idee sempre più comprensibili e contorte. Giungevo ad un chiarimento e ricadevo nel dubbio con tanta facilità. Era una corsa interrotta di continuo, mandata avanti ad inerzia fino all'ultimo e ripresa senza aver raccolto abbastanza fiato; un breve scatto e mi fermavo, se solo avessi alzato lo sguardo, ora ne sono certo, ti avrei visto stare a pochi passi da me, osservatore in attesa, misteriosa meta che mi tendeva una mano incerta. Come me, nutrivi la speranza che le nostre dita avessero continuato a sfiorarsi senza mai giungere ad un vero delicato tocco, poiché il sentirsi sospesi, l'incertezza, l'attesa ci avevano ammaliato, tentato e convinto che le loro illusioni fossero più sicure di ogni altra promessa. E forse non eravamo in torto nel crederlo, potevamo essere così felici senza uno sguardo, un abbraccio, un bacio, solo dedicandoci un pensiero; tuttavia, come potevamo rinnegare la sensazione dei brividi sulla pelle? Una piacevole condanna a cui non potevamo rinunciare, innocente, forte come il vento che ci accompagnò a casa un giorno, gentile, ma terrorizzante nel silenzio che causava.
Tengo ancora a cuore ogni tua carezza pur non rammentandone il sentore.
Spiegami la ragione di questo, dimmi come io possa esserne ancora rapito, come tu sia penetrato finanche nelle vene, permeato in ogni angolo della mente.
Sono sveglio, ma non oso sollevare le palpebre da innumerevoli minuti, ho la convinzione di non riuscire a trovare il coraggio per destarmi completamente; desidero restare in questo dormiveglia per un po', cosa ne penseresti?
È la prima mattina da molto tempo che provo scomodità, paura al pensiero di dovermi svegliare. Solo perché mi trovo al tuo fianco, resisto alla tentazione di fare anche un unico misero tentativo.
Lasciami dormire, te ne prego, nell' illusione di averti con me per davvero e se così fosse, dovrei scacciare ogni vergogna per raccontarti di questi anni, degli alti e dei bassi, delle peggiori notti che abbia mai passato, degli sbagli, dell'accidia divenuta una tortura incontrastata, ma anche dei successi, dei felici rimpianti, della speranza che ogni mia continua ostentazione d'amore non sia stata vana, di quanto io ti abbia sentito lontano, tremendamente lontano.
Improvvisamente sorrido ad occhi chiusi, forse per il tuo ricordo, forse perché provo un'improvvisa calma. Era così, lo rammento, starti accanto, quando anche il silenzio poteva essere piacevole. Ed ora è diventato un angusto rifugio, sperduto fra le ombre della nostra stanza in una notte insapore.
Mi addormento sempre sul fianco destro e, inspiegabilmente, al risveglio mi ritrovo completamente rigirato, aggrovigliato fra le coperte, disilluso dai sogni che stento sempre più a ricordare, con il braccio disteso verso la tua parte, morbido, inconsapevole delle proprie azioni. Un'emozione infranta mi accompagna da molto tempo, mi divora, mi cura, urla, sussurra, mi tiene in piedi sulla strada su cui ci siamo incamminati. Attendo che la ferita venga sanata, se non dal tempo, dai ricordi; posso forzare il mio corpo a passare innumerevoli notti insonni, a portare le tue vesti, ad ignorare le proprie debolezze, non ho altro modo per mantenere il controllo e più volte mi sono sentito troppo vicino ad un limite invisibile che potrebbe solo sottrarmi quel che ancora cerco di tenere assieme del nostro passato, lasciando le mie labbra asciutte, private di ogni memorabile sensazione, le mani abbandonate a se stesse ed insoddisfatte dal solo proprio calore. Perché continuo a chiamarti? Ripetitivo, lo sono diventato in ogni mia azione, come se stessi solo cercando di arrancare al domani, alla prossima settimana, al prossimo mese, alla prossima vita. Liberami dal tuo incantesimo, scorri via fra le mie dita, fuggi a nasconderti prima che le mie convinzioni, il mio coraggio e le mie speranze crollino.
Prendo un profondo respiro mentre provo a scacciare questi tormenti, mi tendo e mi rilasso strofinando la guancia sul lenzuolo, vorrei poter dire di aver ancora sonno, ma le voci nel corridoio stanno iniziando a farsi sentire, il mormorio della città si fa strada dalle vie ingombre di macchine già di prima mattina, sale fino a questa stanza, la luce riscalda il mio viso e, attirato dalla piacevole sensazione, mi sporgo ancora ad occhi chiusi. Sfioro qualcosa di inaspettato, ha un tepore freddo, credo di conoscerlo: il mio naso si è imbattuto nella tua mano. Un gelo inaspettato mi coglie, trattengo il respiro, sollevo le palpebre veloci e mentre espiro pesantemente lascio che l'alba mi accechi.
Sollevandomi, resto meravigliato.
È lacerante la sensazione che sento accumularsi, così inarrestabile, irrequieta che temo di venirne sopraffatto senza aver solo tentato la resistenza. Che improvviso stupore e terrore suscita la vista delle nuvole. Sono rosee, poi fredde, di un candido azzurro, affogate nei raggi del sole, tenui, vuote e piene di bellezza, si diramano al di là del vetro in un manto avvolgitore di città; il silenzio le accompagna ed il risveglio le segue. Pochi minuti di un giorno potranno mai riavere un tale effetto agli occhi di qualcuno?
Non sono mai stato pronto a perderti ed inizio a comprendere il fatto che mai lo sarò. Innocenti sono queste parole, le poche frasi che affiorano spontanee e che trattengo, non desidero lasciare che passino in fretta come l'alba, eppure, non appena il sole scompare oscurato da uno degli innumerevoli, altissimi palazzi, mi abbandonano; scompare nell'affievolirsi, come quel che noi siamo.
Riconosco di aver insistito troppo, di essere stato incauto, ma oggi è mistero, permettimi di indagare, di zittire il mondo, perché mi sento più fragile di quanto non lo sia mai stato.
Spiegami, è forse questo quel che dovevo scoprire? Che al di sotto, oltre ogni sforzo, passo, sentimento non si giunge ad altro se non ad una consistenza pura, frangibile, percebile, tuttavia intoccabile? Se dovessi avere una risposta e questa mi desse solo conferma, non saprei se oserei alzare lo sguardo solo per rischiare di scoprire che finanche la luce più lieve è diventata in grado di ferirmi.
Sto bene, vorrei rassicurarti, nonostante questo.
Che sia un distorto ricordo o meno, vivo nella certezza che un giorno di molto tempo addietro tu abbia promesso di restare al mio fianco, perciò ti direi che nulla è stato infranto: resti con me in ogni istante, anche quando meno lo desidero e, seppur dettatore della mia condanna, non è rimasto nessuna traccia della rabbia che hai scatenato. Ti perdono e perdono me stesso, ne necessitiamo entrambi, non credi?, di una redenzione per essere caduti talmente in balia l'uno dell'altro.
Mi alzo, contraddicendo ad ogni mia volontà, non riesco a star fermo un secondo di più su questa sedia.
Sono preso dalla fretta mentre faccio per prendere la giacca, convinto di voler uscire velocemente da questa stanza, eppure rallento improvvisamente nell'azione e mi ritrovo solo a sfiorarne il tessuto, fissarlo ed allontanarmene. Non voglio andarmene.
Un po' stranito dal mio stesso cambio d'idea, esco dalla stanza, piano, senza far rumore non so bene per quale motivo e vengo subito travolto dal via vai ancora lento che c'è in corridoio. Trovo inaspettatamente piacevole quest'atmosfera d'imprecisa quiete.
Decido di dirigermi al bagno per darmi una rinfrescata, togliermi la spossatezza, quindi mi volto a sinistra e...metto a fuoco un'insolita scena: stessi capelli, stesso modo di abbandonare l'espressione tesa quando il sonno prende il sopravvento, una donna sta appoggiata su di una sedia, addormentata.
Più la guardo e più diventa secondario il domandarmi perché sia qui, in verità mi rende inspiegabilmente felice l'averla ritrovata proprio oltre questa porta.
Sorrido nell'accovacciarmi, le poso una mano sulla spalla e la scuoto lievemente.
《Hey, mamma, mamma sveglia.》
Mogugna qualcosa, pare lamentarsi in modo incomprensibile, cosa che abbiamo in comune, prima di aprire gli occhi.
《Oh, Katsuki, ancora cinque minuti...》biascica ancora mezza addormentata e ricade nuovamente molle sulla sedia.
Cerco di non ridere mentre la scuoto una seconda volta sperando di ottenere un risultato migliore.
Beh, diciamo di sì. Ora è sveglia, ora mi guarda male, ora sento di star per ricevere un pugno o qualcosa di simile.
Trattengo il respiro, ma alla fine scoppio in una risata di fronte alla sua espressione scocciata.
《Perché sei qui? 》chiedo.
Lei tira su le gambe e, come se si trovasse a casa, stringe le ginocchia a sé posando i sopra il mento, fissandomi con un sopracciglio alzato.
《Trovarti non è facile, sai? Ero solo in pensiero, non passi da casa da settimane, neanche una chiamata.》
Sbuffo.
《Perdonami, volevo stare da solo. 》
《No, non è vero: volevi stare con lui.》
Separo le labbra, ma quel che vorrei dire si dilegua come fiato nel vento e resto a corto di parole.
Un tocco gentile sfiora la mia guancia, mia madre mi rivolge una strana occhiata mentre mi accarezza. Ai suoi occhi sono ancora il ragazzo inesperto di un tempo, troppo insicuro, troppo impulsivo e non credo che si sbagli, almeno non in parte. Una parte di me desidera ardentemente fuggire da questa situazione, tornare a casa, rifugiarsi fra le coperte ed attendere che quest'inconsistente dolore cessi.
Questa è la mia ultima tentazione, ma non permetterò di esserne consumato.
《Bene, allora andrò a casa.》le sue dita scivolano via e prima che io mi sia potuto alzare e aver avuto il tempo di dir qualcosa, lei ha già addosso la giacca, le mani in tasca, un sorriso pronto a salutarmi.
《Questa sera passa per cena o un poco prima, preparo il tuo preferito ed al dolce...ci penserai tu. 》
Così si dilegua, procede dritta lungo il corridoio, veloce, ma senza fretta, scompare dietro l'angolo lasciandomi imbambolato.
I pochi minuti che impiego ad andare fino al bagno e a tornare indietro sembrano passare in qualche misero istante, sto ancora pensando alle sue parole. Sono state così naturali, pare strano che io abbia la certezza che siano state premeditate.
E come penso al fatto di non poter declinare l'invito, al dover mettere mano ai fornelli dopo settimane di cibi confezionati o di pasti obbligatori da Kirishima, mi torna in mente una sola cosa: uno sguardo felice, il tuo, prima di rivolgerti ai miei durante una noiosa cena di famiglia. Non so ben dire quando, il come o il perché, ma rammento quei pochi secondi di intimità come un concentrato di emozioni venuto a galla senza un apparente motivo. Era stato breve, intenso, senza alcun peso, raccontava e racchiudeva tutto del ragazzo che amavo in quel preciso momento.

"Bip", conosco questo suono, sta oltre la porta, si ripete sempre, monotono, ripetitivo, stancante fino al punto da diventare talmente abitudinario da non farci più caso, eppure ora lo sento, preciso, distinto. "Bip", è solo un cuore che batte, null'altro, un petto che vibra, respira, un corpo che vive ancora, spero non arrancando ogni giorno al domani.
Lo bramo con tutto me stesso, così tanto da tenere che qualcuno possa vedere la mia mente fremere al tuo solo pensiero, perché dovrebbe essere un segreto, perché nessuno dovrebbe aver la possibilità di averne compassione, perché se questo accadesse perderei il coraggio che mi resta per aprire nuovamente la porta che ho di fronte.
Abbasso la maniglia, proseguo, inspiro, lascio socchiuso di modo che il mondo là fuori resti presente, che mi tenga coi piedi per terra.
"Bip", "Bip", "Bip"... non è forse diverso? Ed i miei occhi non sono forse incapaci di indagare sul tuo viso se stanno fissi sul tremore del mio stesso corpo?
Quando l'infermiera mi passa di fianco urtandomi non ci faccio caso, quando si affretta a chiamare qualche suo collega la sua voce è distante, ovattata, quando la mia mente resta infine un passo indietro non riesco a muovere un muscolo.
Sei circondato ormai da persone che parlano, che ti guardano, che sussurrano, che cercano di attirare l'attenzione del tuo sguardo fisso, restio a volersi mostrare alla luce improvvisa. Il mio non riesce a guidarlo, ma segue la lenta ripresa del tuo.
Voci ti confondono, voci ti incitano, voci restano in attesa mentre la tua gola raschia, le tue labbra boccheggiano incapaci di proferir parola, disabituate alla più semplice risposta, ma resto il solo, in mezzo a questo caos, a sentirne il richiamo.
Sono sussulti, tremori incostanti che reclamano la mia attenzione e mi avvicino, muto, incredulo, tuttavia incredibilmente certo di non poter reggere un solo istante di troppo a questa distanza. Qualcosa si spezza mentre lascio indietro una sensazione malsana che va in frantumi nel momento in cui la tempesta che porto dentro inizia ad imperversare inarrestabile e piove, piove nella mia mente, dai miei occhi, tanto che, ne sono sicuro, affogherò in queste lacrime.
Non è una vittoria, credimi, non per me, non per te, non per i nostri cuori, è una sconfitta poiché sono stato sopraffatto del tutto.
Vi è confusione in questa piccola stanza, ammassi di pensieri accumulati, di sguardi incompresi che ora posso rivelare: nei tuoi occhi, curiosi, persi, ora fermi su di me, sto ritrovando me stesso.

Kairos: nell'antica Grecia significava "momento giusto o opportuno" o "momento supremo". Il tempo per gli antichi greci poteva essere espresso da due parole: χρονος (chronos) e καιρος (kairos). Chronos si riferisce al tempo cronologico e sequenziale ed ha una caratteristica quantitativa, mentre Kairos è qualitativo e significa "un tempo nel mezzo", un momento di un periodo di tempo indeterminato nel quale accade qualcosa di speciale per chi utilizza questa parola.

Ragazzi, eccoci alla fine. Mi ci è voluto molto per finire questo capitolo e devo ammettere che ciò è stato causato dai miei continui cambi d'idea riguardo alla conclusione. Da principio, lo ammetto, non avrei fatto risvegliare il nostro caro broccolo, Kacchan ha bisogno di staccarsi dal passato, non credete? Tuttavia, ho pensato che non avrebbe mai potuto reggere una tale perdita e sono giunta ad un nuovo punto di vista: riavere qualcuno al proprio fianco, per quanto difficile si prospetti quel che seguirà, qualcuno di così importante, che lui stesso ha imparato a conoscere in sua assenza, è quel che realmente occorre per porre un punto e a capo nella storia. Non volevo che il risveglio apparisse come qualcosa di premeditato, di ovvio, perciò ho cercato di renderlo il più casuale possibile.
Deku aveva ormai perso ogni ambizione, ogni motivazione e Katsuki aveva ragione nel ritenersi colpevole, almeno in parte, di quel che era accaduto; ora qualcosa di nuovo li attende, Kacchan è una persona diversa, matura, ma che porta ancora con sé il ragazzo inesperto che si è innamorato senza vie di fuga, e che proprio per questo motivo ora saprà amare nel giusto modo.

È un caso, davvero, che quest'aggiornamento capiti proprio a San Valentino, ho ripreso a scrivere appena aperti gli occhi e mi sono resa conto della data... Che dire? Non so davvero esprimere quel che significa per me questa fanfiction, per oltre un anno sono cresciuta scrivendola ed ora pare irreale essere giunti fin qua. Grazie di tutto e alla prossima storia❤️

EVEN IF (Bakudeku / Katsudeku)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora