Nero come inchiostro

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Rimasi forse per mezz'ora nella stessa posizione. Mi recai verso il bagno per rinfrescare il viso, posando la borsa sull'enorme mobile laccato di rosso. Mi sentii poco bene, ma decisi comunque di iniziare.
Non sapendo bene cosa fare, iniziai a svolgere il mio lavoro, mettendo a posto. Anche se lì, tutto era al proprio posto.

Passai davanti la porta nera, mi soffermai ad osservarla. Mi domandai cosa ci fosse lì dentro che non mi era consesso vedere.

«Josephine, non lo farei se fossi in te.» sobbalzai appena sentii la sua voce, ma questa volta più roca. Mi si gelò il cuore in petto e con timore mi voltai verso di lui. Non l'avevo sentito arrivare. E poi, mi resi conto che aveva impiegato pochissimo tempo nel fare ciò che doveva fare, visto che già era rientrato.

«Mi chiamo Jil.» sibilai allontanandomi dalla porta, riuscendo a sostenere il suo sguardo su di me. Lui scosse la testa prima di apprestarsi a dire qualcosa.

«No, tu hai detto di chiamarti Jillian Josephine Moore. Quindi io ti chiamerò come voglio, Josephine.» E lui sorrise ancora prepotente. E come se non avesse rispetto per ciò che io gli avessi detto poc'anzi.
Sentii la rabbia crescere al mio interno, ma non potevo fare niente, poiché avrei rischiato di perdere il lavoro.

«E se ora non ti dispiace, tornatene da dove sei venuta. Ho cose importanti da sbrigare e non voglio una come te in mezzo ai piedi.» avrei voluto tanto replicare, perché era passata poco più di mezz'ora da quando ero arrivata. Ma decisi di dar retta a quel ragazzo dall'anima gelida. I suoi occhi verde-acqua non trasmettevano niente. Metteva quasi paura.

Senza rispondere avanzai verso la porta, ma lui era già andato in una delle camere.

Prima di uscire mi resi conto di aver dimenticato la borsa lì, da qualche parte, e appena mi incamminai verso il lungo divano per poi attraversare il lungo corridoio, scorsi la figura di Evan. La porta era stata lasciata socchiusa. Era camera sua, pensai, in preda ad un'agitazione che saliva sempre di più.

Iniziai a vedere il modo in cui si levava la giacca, gettandola in malo modo sul letto. Non riuscivo a muovermi, sembrava che i miei occhi fossero diventati come una calamita attratti da lui. Con movimenti decisi iniziò a levarsi il maglioncino a dolce vita che gli fasciava perfettamente il busto, e in quel momento potevo chiaramente vedere che il suo corpo era marchiato di inchiostro in ogni centimetro di pelle. Non avevo mai visto nulla del genere.

Il suo viso sembrò rilassarsi, e mi risultò facile vedere le sue spalle larghe, e poi le sue mani. Quelle mani che non era facile vederne di simili. Gli addominali si contraevano ad ogni suo movimento ed io lì, immobile, ad osservarlo come si guarda un quadro ad una mostra.

Ma poi sentii lo stomaco contorcersi e i suoi occhi bruciare su di me. Mi irrigidì di colpo, appena notai i suoi passi avanzare verso di me. Sentii il cuore martellarmi prepotentemente, e lui si fermò.

«Non trovavo la borsa.» Mi limitai a dire nascondendo l'imbarazzo. Nascondendo tutto quello che non volevo trasparisse da me.

«E avevi intenzione di trovarla in camera mia? Mentre mi stavo spogliando, Jil?» strizzai gli occhi per ciò che aveva appena detto. Sentii l'imbarazzo posarsi su di me come fosse colla. E in quel momento esatto elaborai che per la prima volta mi aveva chiamata come avrei voluto sin dall'inizio. E forse anche lui se ne era reso conto, ma era un tipo troppo orgoglioso, troppo duro per dirti che per una volta aveva sbagliato. Quella era l'impressione che aveva avuto su di me, conoscendolo solo da pochissimo tempo.

«Finalmente avete capito come dovete chiamarmi. E poi un'altra cosa, io sono qui per organizzare i vostri impegni di lavoro.» dissi quasi con tono di superiorità, ma io lì, non avevo nulla di superiore. Mi resi conto che se avessi continuato con tono saccente, l'avrei perso veramente quel lavoro. E la paga era davvero con i fiocchi. Io dovevo stare buona e aspettare.

«Come ho già detto, ora dovresti levarti di mezzo, Josephine.» E bastò un attimo per farlo infuriare, tant'è vero che mi chiuse la porta in faccia, sbattendola talmente forte che alcune ciocche dei miei capelli si erano mosse di poco.

Sistemai gli occhiali, e questa volta presi la borsa per uscire da quel posto che mi trasmetteva un senso di paura. E come se dovessi starne alla larga. Come quando dicono che un film è vietato per i minori di diciotto anni, ed io di minorenne non avevo niente.
Ma allo stesso tempo sentivo che per me era vietato stare in quel posto. Quel tizio, Evan, metteva davvero soggezione.

Ma io sapevo che il giorno dopo mi sarei recata nuovamente lì.

Concentrata nei miei pensieri, non mi resi conto che già ero di fronte la scuola di canto di Ben. Entrai e sorrisi.

«Mi sembrava strano che oggi non fossi venuta. Ah, comunque ancora auguri per il tuo compleanno.» Ben mi lanciò addosso una maglietta nera, la scritta Nirvana mi mandò il cervello in estasi come una delle più potenti delle droghe. E nonostante fossero passate due settimane dal mio compleanno, lui, si era ricordato di farmi un regalo.

«Guarda che ho sudato per trovarla, per questo ho ritardato nel dartela. È limited edition.» continuò a parlare Ben, ma io ormai non lo stavo più ascoltando. Perfino l'avevo indossata sopra il vestito e ne andavo fiera. E poi avanzai verso Ben per ringraziarlo.

«Jil, certo che non hai gusto nel vestirti. Il mio cane lo vesto meglio. E comunque non c'è di che.» Non mi ritenevo affatto offesa, sapevo che non avevo un buon gusto nel scegliere i vestiti. Diciamo che ho sempre amato ciò che agli altri non sarebbe piaciuto. Ho sempre voluto distinguermi. Niente trucco. Niente di niente. Ero solo io. E anche se gli altri mi deridevano per i miei abbigliamenti strambi, io ne andavo fiera. Perché potevo definirmi davvero unica.

Sfoggiai un enorme sorriso a Ben, prima di entrare nella saletta. E perdermi.

Io e la musica. Solo noi due e il mondo fuori.

Ciao cricetine🐹
Come state?😍
Cosa ne pensate di questo nuovo capitolo? Fatemi sapere nei commenti tutto e lasciate una stellina🙈
A presto

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