Epilogo parte 2/2

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Buona sera mie Bad girl's, ci siamo! Questa è l'ultima parte dell' epilogo, nonché la fine di un cerchio. Non voglio rubarvi altro tempo, poiché i ringraziamenti li pubblicherò in seguito. Ora vi lascio una buona lettura! ❤️

🌻🌻🌻

Anfibi neri si muovono a passi lenti in questa notte gelida, l'involucro stretto e nero gli fascia perfettamente gli arti inferiori dove, appena sopra il cavallo dei pantaloni una maglietta bianca fa la sua entrata in scena, delinenando bene i muscoli scolpiti, facendo sì che il proibito si impossessi di me. La giacca di pelle a confermare ciò che lui è. Un selvaggio che nessuno potrà mai domare. E alzando infine gli occhi sul viso, la punta rossa della sigaretta incastrata nelle sue labbra carnose mi fanno pensare che forse non sia esistita mai alcuna distanza, ma se così fosse, perché su quelle labbra, io ci ho visto il mio ultimo orrizzonte due anni fa?
«Evan.» la voce esce come un soffio, quasi come se quel nome io lo stessi accarezzando. Come se mi fosse mancato in realtà pronunciarlo. Quella punta si infuoca di più tra le sue labbra e poi una densità grigiastra si piazza tra di noi. I suoi occhi scrutano insistentemente la mia esile figura come se non riuscisse a smettere di farlo. Poi qualcosa, un luccichio gli attraversa le pupille e ritorna a guardarmi in viso per poi iniziare a fare alcuni passi verso la mia direzione.
«Non avvicinarti.» dico di getto, forse per paura o per il semplice motivo che non mi aspettavo lui qui, dopo tanti anni.
«Hai paura di me, Jil?» una punta di acidità a calcare la parola paura gli si deposita sulla lingua.
«Come facevi a sapere che fossi qui?» chiedo indietreggiando. A questa mia domanda, una risata pungente si impossessa di lui.
«Quante volte ancora devo ricordartelo?» chiede lui.
«Cosa?»
«Quando si tratta di te sono sempre il primo a sapere tutto.» schiudo le labbra e ripenso a quell'ultimo giorno in cui siamo stati insieme. Mi ero meravigliata così tanto quando mi fece la domanda sulla Juilliard, sicura di non averne mai parlato con lui. E rispose allo stesso modo: quando si tratta di te sono sempre il primo a sapere tutto.
Mi stringo nelle spalle, non sapendo cosa dire, cercando di contenere le emozioni che cercano di sovrastare la mia apparente calma. E poi un lampo di genio a colpirmi.
«Travis. È stato lui, vero?» ed ecco che collego la conversazione origliata qualche ora prima con il fatto che Evan si trova qui davanti a me.
«Perspicace. Ma d'altronde lo sei sempre stata.» e avanza ancora mentre io continuo ad indietreggiare fino a che la mia schiena non viene a contatto con il muro freddo e ruvido.
«Non hai scampo.» lo dice come se da una parte fosse sollevato nel non avere una via di fuga da lui.
«Che cosa vuoi? Vendicarti per aver testimoniato a favore di quella ragazza a cui hai rubato la sua innocenza?» Evan assottiglia le labbra in una linea dritta, incassando il colpo appena arrivatogli.
Scuote il capo e gli occhi suoi percorrono la curva delle mie labbra.
«Mi è mancato tutto questo, sai?»
«A me no. Sono andata avanti. D'altronde me l'avevi augurato tu. Dovresti ricordartelo no?» gli copio l'ultima frase e sposto lo sguardo altrove.
«Ma se non erro ci eravamo lasciati in modo pacifico, cosa ti porta a parlarmi con così tanto astio?» non rispondo e non lo guardo.
«Guardami Jilian...» ah ora vuole darmi anche ordini, che gran figlio... «ti prego.» soffia in una ventata calda. Istintivamente faccio ciò che dice, si inumidisce le labbra e sospira. Un sospiro calmo, come se il mio essermi girata gli avesse restituito indietro, speranza?
«Quando sono venuta a conoscenza di quella storia, mi sono sentita, sporca. Come hai potuto?» e vedo subito una mano allungarsi verso il mio viso. Non riesco a scansarmi in tempo che le sue nocche percorrono piano porzioni del mio viso.
«E per questo tu mi odi così tanto? Ho fatto cose ben peggiori, lo sai. E se...» scende fino alla mandibola per poi catturare nuovamente il mio sguardo. Non posso non ascoltare il febbricitante spasmo che mi attraversa ogni volta che la sua mano si muove, vorrei poter dare la colpa alle temperature in netto calo, ma sarei solo una pessima bugiarda. In realtà questo tocco mi è mancato e l'ho bramato nello stesso istante in cui prima le mie orecchie hanno udito la sua voce.
«E se?» prendo un po' di controllo, ma la voce mi esce un po' stridula e lui capisce subito l'effetto che mi fa. Quel sorrisetto audace ne è la conferma.
«E se fossi stata travolta da una malsana gelosia?» ed ecco che il cuore prende a scalpitare, un persistente picchiare contro la gabbia toracica tanto da sembrare che potrebbe aprirla e uscire fuori.
«Tu sei pazzo.»
«O forse lo siamo entrambi?» domanda a sua volta, mentre il suo pollice, sfacciato quanto lui, prende a centellinare le mie labbra.
«Smettila di dire eresie. Non potrei mai e poi mai essere gelosa per una cosa del genere. Se devo dirla tutta, mi ha solo fatto venire voglia di vomitare.»
Le sue carezze si arrestano di colpo, la mano scende piano e ritorna lungo il suo fianco. Si guarda a terra e getta la sigaretta di cui non era rimasto niente.
«Devo forse inginocchiarmi e chiederti scusa? Sai perfettamente chi ero quando...» lo ammonisco con lo sguardo.
«Non dirlo. Te ne prego!» so perfettamente cosa stava per dire, ovvero, che non mi sono fatta problemi a concedermi a lui nonostante la persona che presumessi fosse.
Beh, sì, ha ragione, ma questo non significa che ciò che ha fatto ad altre ragazze sia di norma accettabile. Io non riesco.
«Dov'è Julian?» chiedo poi.
«Non è qui se è questo che vuoi sapere. È in un posto sicuro, credo.» un lampo di gelosia sembra cadenzare leggiadro su di lui.
«Stamattina ho saputo della vostra fuga. Per questo ho chiesto di lui.»
«Come avete fatto? A scappare dico.» continuo.
«Se ti dicessi che mi stavo annoiando da morire, ci crederesti? E poi, ad essere sincero, non mi andava più bene il fatto di non vederti. Speravo in una tua visita. C'ho sperato per molto tempo.» guardarlo mentre mi informa che desiderasse una mia visita come un bambino desidera l'arrivo del Natale, mi spiazza completamente.
Il suo nero sembra un po' ovunque in lui, più di prima forse. È stato così brutto la dentro? Vorrei chiederglielo, ma non lo faccio, perché è una domanda alquanto stupida.
«Io... io...» sto per fare un passo quando il suo sguardo mi fa arrestare e incollare i piedi al suolo.
«Tu?» mi esorta a continuare.
«Io avevo deciso che fosse meglio per entrambi non rivedersi più. Ho dato una seconda chance a me stessa, specialmente dopo essermi assicurata di non aspettare un bambino da te.» l'ultima parte del mio discorso lo porta a leccarsi le labbra, come se i ricordi di quella sera stessero facendo a gara nella sua mente.
«Lo dici come se ne fossi pentita però, o sbaglio?» abbasso il capo ed evito di rispondere, così mi appresto a farne una io a lui.
«Perché sei qui? E perché hai citato quella frase prima?» scuote il capo deluso per non avergli risposto, temo che possa farlo anche lui ora, ma invece no. Risponde.
«Te l'ho detto Jilian, volevo rivederti. E ammetto che sei stata brava e perdonami se ti dico che Evelyn aveva ragione. Rispecchi molto Ophelia.» un pizzico di amaro in bocca si fa sentire quando nomina sua sorella.
«Beh, uccidermi non è mai stato parte del mio piano, nonostante avete...»
«Hanno.» mi corregge subito con sguardo truce.
«Sì, hanno fatto quel che hanno fatto.» dico vaga per non ritornare con la mente in posti oscuri con la quale ho deciso di chiudere e di lasciarmi andare a loro, solo nei momenti più disparati. Ma per fortuna sono davvero rari quei momenti. Passano alcuni secondi in cui le parole sembrano solo un vago ricordo tra noi e ne approfitto spostandomi dal muro. Ora mi sento più tranquilla.
«Io devo rientrare.» facendomi coraggio lo sorpasso del tutto, sembra esserci riuscita, fino a che la sua mano calda non afferra il mio polso ossuto.
Basta quel tocco, nuovamente, per far mescolare le mie viscere fuori dall'ordine naturale.
«Non sfuggire da me come se per te non contassi nulla. Non sfuggirmi come se questi anni abbiano screziato il ricordo di me.» le sue parole si infilzano nel mio cuore come miriadi di schegge.
«Non sto fuggendo.» sibilo guardando a terra.
«A me sembra di sì. Sembra darti fastidio anche vedere il mio volto.» a quel punto vorrei scappare davvero il più lontano possibile. Penso che tutto questo non abbia senso. Penso che tra poco lo spettacolo finisca ed io debba presentarmi sul palco per i ringraziamenti finali. Penso che tutti si chiederanno dove sia finita. E penso che io non so davvero cosa fare.
Provando una pena immensa, faccio forza per sottrarmi alla sua presa, ma lui sembra desistere, il che mi porta a dargli una rapido esame di rimprovero.
«Vuoi che me ne vada? È questo che vuoi?»
«Sì, è questo che voglio Evan.»
«Intendi per ora o per sempre?» mi verrebbe da rispondergli se gli pare il caso di calarsi nella parte di quei stupidi programmi televisivi, dove fanno domande a raffica per i veri cervelloni e se sei fortunato porti a casa un bel gruzzoletto. Bene, a me non serve niente e non mi va di proseguire oltre, quindi velenosa gli rispondo:«Per me il per sempre è iniziato da quel giorno, quindi, tira tu le somme.»
Ed è qui che lascia la presa, quasi come se si fosse scottato, quasi come se non riconoscesse la persona che ha davanti. Intanto il roboante susseguirsi di pensieri nella mia mente non cessano di martoriarmi.
Jil stai attenta. Questo è sempre stato il suo gioco. Ha sempre avuto lui le redini in mano e ora credi davvero di poter decidere qualcosa? Se così fosse stato, lui stasera da un'altra parte stava.
Scrollo il capo per far sì che le voci nella mia testa cessano e mi concentro su di lui e sul da farsi.
«L'Amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio.
Se questo è errore e mi sarà provato, io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato.» ed ecco nuovamente che prende le vesti di Shakespeare, precisamente il sonetto 116. Che lo abbia ispirato io, questo non so dire, ma una cosa è certa: il suo nero unito alla poesia è un arte di cui non conoscevo l'esistenza. È il mischiarsi del salato e del dolce. Quel sapore agrodolce che punzecchia il palato, ma ti lascia succube di cotanta e effimera sublimità. È l'unione del fuoco con l'acqua. La distanza tra cielo e mare. Il susseguirsi del giorno e della notte. È l'eclissi di cui tanto parlavo.
«Da quando sei diventato così poetico?» la spavalderia non è mai stata un mio asso nella manica, ma stasera sembra rivelatosi il contrario.
Piega la testa, cercando di nascondere il fatto che le sue labbra si siano appena incurvate all'insù e nel frangente tira fuori un'altra sigaretta. Non è cambiato di una virgola. Improvvisamente mi rendo conto che il pensiero alla sua malattia non mi ha sfiorato minimamente. È stato tutto così frenetico, il nostro incontro, il battibecco continuo, che la cosa più importante mi è sfuggita di mente.
Ma se glielo chiedo, sembra che in realtà mi importi qualcosa e... Dio, ma perché deve essere così complicato?
«Te ne sei solo dimenticata, ma ti ho sempre detto cose dolci. Ho perfino cantato per te.» un sussulto mi pervade quando vedo che pian piano indietreggia. Che abbia deciso di andarsene per davvero?
Sto per fermarlo, ma quando vedo che si siede su un gradino, mi sento più tranquilla. In realtà non voglio che vada via, né ora e né per sempre. Ma ritornare sui miei passi, significherebbe calpestare il sostegno dato a Natalie e tutto il mio percorso fatto finora. Cosa ne sarebbe della Juilliard? E di Alaska? A lui piacciono gli animali? Su queste due ultime domande, mi verrebbe voglia di colpirmi così forte per darmi una svegliata. Sto viaggiando troppo. Sto vaneggiando.
«Touché.» pronuncio in modo pungente, decidendo di sedermi accanto a lui. Entrambi abbiamo il viso rivolto in aria, il silenzio fa da padrone, escludendo ovviamente il trafficare di auto, ma dal nostro interno non proviene nulla. Forse ci siamo detti abbastanza e quindi non serve aggiungere altro. Oppure sta pensando alla prossima frase smielata, da abile adulatore, in modo che mi possa prostare ai suoi piedi.
Ricordo bene il soprannome affibiatogli una volta. Per me lui non era il classico Bad boy, quello di cui leggi nei romanzi. Quello stronzo che poi cambia per amore. Quello di cui la ragazza diventa la cura, esorcizzando i suoi demoni. No, non lo è affatto. Lui è diverso. Lui è oscurità e lo sarà per sempre. Nonostante tutto. Nonostante tutti.
«Perché sei qui? Davvero dico.» aspira da quella sigaretta con veemenza, come se da quell'insulsa cosa dipendesse tutta la sua stabilità.
«Ti sto dedicando sonetti d'amore e poesie e hai il coraggio di chiedermi perché sono qui?»
«Ricordo il tuo sguardo in aula quel giorno. Mi hai guardato come se giorni prima non ci fosse stato nulla tra noi.»
«Beh, forse perché avevo scoperto che la mia donna stava difendendo una scopata qualunque. Ero incazzato.» a primo acchito resto sbalordita per quell'aggettivo che ha usato nel definirmi sua, ma subito dopo torno in me, ammonendolo subito per come ha definito Natalie. Sospiriamo all'unisono il che ci fa tendere le labbra ad un lievissimo accenno di sorriso.
«Stai con qualcuno?» chiede di getto. Da come lo conosco e da come lo sto trattando, sono sicura che se lo sta chiedendo da quando abbiamo iniziato a parlare.
«Forse.» decido di prendermi gioco di lui per un po'. «Ma questo tu dovresti saperlo, dato che qualsiasi cosa mi riguardi, tu sei il primo ad essere informato. Giusto?» scuote il capo, passandosi una mano su esso. Sembra così stanco.
«A quanto pare mi sfugge. Stasera tante cose mi sfuggono di vista o di mano?» in questa domanda c'è un arco pronto a scagliarsi direttamente su di me.
«Non sto con nessuno. C'è stato qualcuno...» sembra aver visto il muscolo della mascella sguazzare a tale affermazione. «Ma nulla di che. Non è mai stato ricambiato. Non riuscivo ad andare avanti.» mi sembra stupido porgli a lui la stessa domanda, dato che è stato in carcere per tutto questo tempo. Improvvisamente si rialza in piedi, da una pulita ai jeans e prende a camminare.
«Dove stai andando ora?» sospiro.
«Esaudisco il tuo desiderio, vado via per sempre.» afferma con tono grave. Scatto subito in allerta, correndogli dietro.
«Non puoi presentarti così, dopo tutto questo tempo e sperare che io mandi tutto a puttane per seguirti chissà dove, dato che sei un fuggitivo.» sparo a raffica, facendo uscire parole poco consoni. Si volta con le mani dentro la giacca di pelle, la sua altezza mi sovrasta e il cipiglio con cui mi guarda mi fa dannatamente andare in tilt.
«Io non ti ho chiesto di fare nulla.» ripenso a tutto il discorso ed effettivamente ha ragione lui, forse sono io che ho travisato tutto.
«Allora che cosa vuoi da me?» chiedo per l'ennesima volta.
«Avevo voglia di farmi un regalo tutto qui.» lo guardo confusa.
«Un regalo? Che significa?» lui porta lo sguardo sul suo orologio e aspetta qualche secondo prima di rispondere.
«È ufficialmente il mio compleanno.» qualcosa scoppia nel mio petto; non so se sia il cuore o i ricordi, forse entrambi, sta di fatto che sento uno sciame sovrastare il mio buon senso. Ricordo di averglielo chiesto una volta e mi rispose che a tempo debito l'avrei saputo quando fosse il suo compleanno.
«A dire il vero mi son fatto doppio regalo.» continua a parlare mentre io sono ancorata alla frase di prima, ma basta sentire qualcosa di caldo per risvegliarmi subito. Due mani ai lati del mio viso e poi vedo il suo volto avvicinarsi e in un attimo le sue labbra sono sulle mie. All'inizio è un semplice bacio casto, che sta a simboleggiare il ricongiungimento di due anime entrambe macchiate unirsi in modo delicato. Ma dopo alcuni sguardi qualcosa scatta, tutto ciò che avevo definito delicato si trasforma in qualcosa di energico. Le sue labbra mi erano mancate così tanto e per farglielo capire bene, gli lascio un morso e dopo un po' fa lo stesso lui con me. Le sue mani arpeggiano sui miei fianchi, per far capire che di lì non me ne sarei potuta andare. I suoi baci proseguono poi sul collo e solo dopo esserci resi conto che siamo sotto lo sguardo di alcuni passanti, decidiamo di spostarci subito nel vicolo. La mia schiena contro la parete fredda e poi di nuovo le sue labbra su di me a farmi scordare quanto quella superficie fosse così frigida. Le falangi di lui scendono fino a sotto i glutei, afferrandoli per bene per potermi sollevare e piazzarsi così in mezzo alle mie gambe. Sento subito la sua mascolinità pulsare contro la mia femminilità e spasmi violenti mi colpiscono a colpi di frusta, esattamente come una schiava.
«Buon compleanno.» aggiungo con un tono di voce pesante dopo essermi allontanata dalle sue labbra per un attimo. Evan con gli occhi pieni di lussuria e desiderio, si lecca le labbra e dopo lecca le mie in modo così volgare da farmi sentire completamente sottomessa al suo volere.
Tenta di infilare una mano sotto l'ingombrante vestito, ignaro che sotto troverà un ostacolo, ovvero un fuson. E infatti quando entra in contatto con la stoffa spessa, sembra lamentarsi, ma al tempo stesso pare non disturbarlo più di tanto. Infatti mi mette giù, si guarda intorno e prima che possa continuare, mi viene in mente la porta sul retro. Gli prendo la mano e gli dico di seguirmi, una volta dentro, entriamo nella prima stanza che ci viene davanti. È completamente al buio e la cosa pare essere perfetta per il momento, ma sta di fatto che ad Evan non piace, difatti prende il telefono attivando la torcia.
«Voglio guardare ogni singola parte del tuo corpo che mi è stata lontana.» di istinto chiudo le gambe, come se quella frase avesse smosso qualcosa nel basso ventre. Accorgendosi della mia reazione, si avvicina subito famelico, alzandomi in modo rude la veste e abbassando di sana pianta ciò che c'è sotto. Evan mi sta baciando e non sulle labbra dalla quale ora escono gemiti sordi, ma bensì sulla mia parte più sensibile.
Mi chiedo come ci siamo finiti a questo punto, ma non serve pensarci poi più di tanto, perché noi siamo stati sempre questo. Allontanarci e attirarci come due campi magnetici.
«Il tuo sapore cara Jilian è sempre lo stesso di cui sono diventato schiavo anni fa.» gracchia su quella parte tenendo ben salde le mie cosce prima con entrambe le mani e dopo solo con una, dato che l'altra la sta usando per addentrarsi dentro di me. Dovrei fermarlo e dirgli di andarsene come gli avevo detto. Dovrei ritornare dagli altri, ma ormai è troppo tardi per tutto. Tardi anche per fermarlo dato che scoppio in estasi di vero godimento dopo avermi fatta venire.
Si rialza, le gambe mi tremano e a stendo riesco a tenermi in piedi da sola.
«Ecco cosa sei per me.» mi infila le stesse dita che ha usato giù in bocca per farmi assaggiare i miei umori. Un sapore dolciastro si attacca al mio palato e subitamente anche le sue labbra.
«Sei quel tocco di buono capace di imbrattare di bianco il nero che ricopre la mia anima.» riapro gli occhi, non del tutto presente, ma quel poco che basta a dirgli:«Non andare più via. Resta.»
«Non era mia intenzione farlo.» si avventa su di me in un bacio e questa volta ci rimane per un bel po' di tempo. Ci stacchiamo per riprendere fiato, con le labbra che chiedono pietà. Poso le mani sul suo addome muscoloso, gesto che lo fa irrigidire e la parte più disinibita di me è orgogliosa di ciò che un mio tocco è capace di provocargli.
«Vieni con me.» rafforza la presa sui miei fianchi mordicchiando dopo il lobo del mio orecchio. Non gli faccio domande, annuisco solamente, pronta a seguirla.

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