Prologo

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«Jil»

Mi guardai intorno, dopo aver udito il mio nome.
Il mio sguardo passò tra i mille passanti. I miei occhi scorsero subito l'esile figura di Erin.

Mi fermai, tenendo stretto sotto il braccio la valigetta.
Non potevo perderla, mi sarei sentita davvero persa senza essa. Persa senza quello che conteneva.

«Jil, finalmente ti sei voltata. Ti sto rincorrendo da prima.» Si piegò mettendo le mani sulle ginocchia, respirò a fatica. Qualche goccia di sudore le impregnava il volto e qualche ciocca di capelli le si era appiccicata su esso.

«Erin, scusa. Non volevo farti affaticare. Cosa succede?» La guardai portando dietro l'orecchio una ciocca ribelle dei miei capelli castani.

Una folata di vento mi portò istintivamente a portare una mano sulla gonna per non farla alzare. Questo mio gesto fece sorridere Erin, che si apprestò poi a parlare.

«Hai dimenticato questo. Pensavo fosse importante per te, visto che lo porti sempre dietro.» immediatamente vidi tra le sue mani dal colore immacolato, un piccolo quadernino ormai consumato per i suoi tanti anni. Schiusi la bocca, guardando la ragazza dai capelli blu.

«Non so come avrò fatto a scordarlo. Mi spiace averti fatto fare tutta questa strada.» Le dissi mortificata mentre stringevo tra le mani l'oggetto che per me significava tanto.

«Ma cosa dici. Ah, puoi stare tranquilla. Non ho letto niente. So cosa significa rispettare la privacy.» strizzò un occhio Erin. Mi domandai se davvero non avesse letto qualcosa, ma alla fine pensai: Jil, tanto resteranno solo parole in un piccolo quaderno.

«Non so come ringraziarti. Al suo interno ci sono io. Se perdo lui, perdo me stessa.» Asserii flemmaticamente, lasciando comparire un piccolo sorriso.

Erin mi guardò per un breve lasso di tempo.
Non ho mai capito di che colore fossero i suoi occhi. Pensai che usasse le lenti a contatto, visto che il giorno prima erano grigi mentre quel pomeriggio erano marroni.

Si lasciò scappare anche lei un sorriso prima di iniziare a canticchiare. Riuscii a percepire malinconia da quella melodia.

«Che dici? Ti va di prendere qualcosa?» indicai il bar che era proprio di fronte. E proprio in quell'istante, il cielo iniziò a piangere su di noi.
La ragazza si lasciò scappare un lamento, mordendosi poi il labbro.

«Odio la pioggia.» enunciò, dai suoi occhi trapelava rabbia. Come risposta avrei tanto voluto dirle che la amavo la pioggia, perché, forse, era quella che mi rappresentava di più.

La pioggia ha i suoi momenti. Sa essere una dolce compagnia, oppure, una nemica agguerrita.

«Jil, ci si vede.» la voce di Erin mi riportò alla realtà. Vidi che alzò la mano in aria per salutarmi, poi alzò il cappuccio della felpa per non bagnarsi prima di correre verso una meta a me sconosciuta.

Che ragazza strana.

Decisi di non entrare più nel piccolo bar e di far ritorno a casa.
Controllai l'orologio da polso, era tardi e sicuramente se avessi perso altro tempo, la mia famiglia si sarebbe preoccupata.
I miei abiti erano ormai zuppi, nonostante ciò, decisi comunque di proseguire a piedi.

Mi persi come sempre nei miei pensieri.
Come può non piacerle la pioggia, pensai.
Non conoscevo da molto Erin, solo da qualche mese. Avevamo scambiato solo qualche parola in tutto quel tempo.

Non il Classico Bad BoyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora