La porta nera

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Profilo Instagram: @aria_j.c.k

LA PORTATA NERA

Erano passate diverse ore.
Ero molto stanca, avevo solo voglia di andarmene da quel posto, non avevo nessuna voglia di vedere Evan.

Il suo modo di agire mi faceva sentire tremendamente piccola. Mentre il suo modo di guardarmi, con quegli occhi che sembravano trasmettere qualcosa di negativo, mi facevano sentire così tremendamente inadeguata. E forse, non avrei dovuto sentirmi in quel modo. Forse, io, avrei dovuto cercare di essere solo me stessa.

Con i mille pensieri per la testa, mi avvicinai al divano in pelle. Decisi di sedermi, visto che avevo finito e dovevo aspettare solo il suo ritorno. Presi il telefono che avevo posato sul piccolo tavolo posto qualche centimetro dal divano, ma i miei occhi si soffermarono sulle chiavi. Mi alzai, andando verso la porta nera e abbassai la maniglia, ma niente. Era stata riparata. Successivamente la mia attenzione si concentrò nuovamente sulle chiavi; una catturò del tutto la mia attenzione, visto la forma diversa dalle altre. Capii immediatamente che, quella chiave era il mezzo per aprire la porta nera. La mia curiosità cresceva sempre di più, ma senza pensarci più di tanto mi alzai di scatto con il mazzo di chiavi tra le mani.

Mi avvicinai alla porta e infilai la chiave nella toppa. Sicuramente mi stavo sbagliando. Evan non avrebbe mai lasciato una chiave così importante incustodita. E forse io ero una stupida a rischiare così tanto, ma ormai la porta si era aperta. Presi nuovamente le chiavi, le andai a posare sul divano e poi con il cuore a mille entrai chiudendo alle mie spalle la porta.

Accesi la luce, la cosa che notai subito era l'assenza di finestre, per il resto era una semplice stanza con una scrivania e diversi scaffali con dei libri sopra.

Feci qualche passo verso la scrivania.
Diversi documenti erano posati su essa, ma l'ordine con la quale erano stati sistemati era strano. Una cosa che non avevo mai visto: numeri e lettere che si alternavano.

«Josephine sei ancora qui?» la sua voce mi fece sobbalzare di colpo. Mi ero chiesta cosa mi fosse saltato in mente, quando avevo deciso di ficcare il naso dove non avrei dovuto. Ero nei guai fino al collo.

«Josephine...» Mi chiamava ancora e istintivamente spensi la luce e mi nascosi sotto la scrivania.

Ma poi ricordai che il telefono l'avevo lasciato sul tavolino e stava suonando. Qualcuno mi stava chiamando, ed io non sapevo cosa avrei dovuto fare. Avevo paura e avrei voluto solo andare via.

Sentii il mio cuore accelerare e il respiro tagliarmi in due. Il petto si gonfiava e sentivo un dolore allucinante.

Pensai a Caleb e, se fosse stato con me, so cosa avrebbe detto: Respira, Jil.
Mi avrebbe detto quelle due paroline che mi facevano in qualche modo "stare bene".
E ci stavo provando, ma non mi sentivo affatto bene, anzi, stavo malissimo. Il mio stomaco iniziò a contorcersi, la mia mente era affollata di pensieri e poi sentii la porta aprirsi e lui stava parlando con qualcuno.

«Non so dove sia tua sorella. Sono appena tornato, qui non c'era... ma a quanto pare ha scordato il suo telefono. Ora devo andare, magari passa tu a recuperarlo.» Parlava con uno dei miei fratelli. Sentivo i suoi passi farsi più vicini e vidi i suoi piedi davanti a me.

Spostò la sedia e si sedette.
Aveva poggiato qualcosa sulla scrivania, forse il mio telefono, e poi lo sentii ridere.

«Lo so che sei qui sotto.» mi si gelò il cuore, sentivo di poter morire lì e forse nessuno avrebbe mai saputo della mia scomparsa.
Lui aveva tutto e aveva il potere di fare qualsiasi cosa.

Le lacrime bagnavano il mio viso senza che io gli avessi dato il permesso, i miei muscoli erano tesi e strinsi le mani a pugno, tanto che le nocche erano diventate bianche. Sentii le unghie nel palmo della mano a ricordarmi che ancora ero viva.

Non il Classico Bad BoyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora