Punta Cana- 19

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Che bella e tranquilla città. Stavamo passeggiando per i vicoletti allegri e colorati, con tantissimi negozietti di souvenir paralleli alla strada su cui stavamo passeggiando. Tutti gli abitanti sprizzavano felicità da tutti i pori. Cercavamo di raggiungere la spiaggia e camminare sulla sabbia, anche perché non so se avremmo fatto il bagno, anche perché eravamo a novembre. Però quel giorno era talmente afoso che un pensiero sul tuffarti nell'acqua ,sicuramente ghiacciata, ti veniva. In realtà io non ero molto amante del mare ne tantomeno della spiaggia. La vedevo e consideravo come un qualcosa che calpestano tutti, e tra l'altro lì sopra ci zampettavano quei fastidiosi gabbiani e ci passeggiavano anche i padroni con i loro cani. Avevo anche io i cani, ma di certo non li portavo in spiaggia. Passeggiammo a lungo e chiedemmo ovunque informazioni per sapere dove era situata Punta Cana, la spiaggia dove appunto saremmo dovute andare. E quando finalmente la raggiungemmo, rimanemmo letteralmente sbalorditi per la bellezza di quel posto. Oltrepassammo gli alti alberi di palme e arrivammo su quella spiaggia così bianca e fina che sembrava semplice zucchero a velo. Brad sguinzagliò dalle fastidiose cinture del passeggino il mio piccolo nipotino che, non appena fu giù, cominciò a correre sulle piccole gambini verso l'acqua così cristallina e Brad che correva dietro suo figlio cercando di prenderlo. Io, Tabby e Tani stavamo morendo dalle risate. Ci accasciammo per terra sedendoci sui granelli, anche se inesistenti, di quel paradiso. Il bello era che la mia migliore amica non riuscisse ad "acchiappare" Jacob che aveva solo un anno ed era molto più veloce di sua madre. <<voi potreste anche darmi una mano>> esclamò lei affannata. Ma purtroppo non potevamo darle un grande aiuto visto che le risate erano talmente tante da bloccare il respiro e far venire il mal di pancia.

Quel mare così celeste e così cristallino che permetteva addirittura di vedere il suo fondo. Ricordo quando immergemmo i piedi nell'acqua gelida. Riuscivo a vedere la carnagione chiara della mia pelle anche sott'acqua. Uscii dall'acqua e cominciai a stendere sulla sabbia il mio telo da mare preferito che ovviamente non potevo non portare. Mi ci sedette sopra e cominciai ad estrarre dal mio fantastico zaino con tutte frasi e aforismi, ovviamente pensati e scritti da me, scritti sulla stoffa bianca esterna. Ora che ci penso, scrissi anche qualche calcolo differenziale in R secondo il teorema di Weierstrass perché, giustamente, la matematica non poteva mai mancare, così presi questo libro, anzi, il libro. Il Gigante egoista. Era una delle mie fiabe preferite in assoluto di Oscar Wild. Ero un po' "vecchiotta" per questo libro, insomma, era una fiaba e solitamente le fiabe venivano raccontate ai bambini, ma non si è mai "vecchi" per ricordare il bambino che eri. Ed era quello che "il gigante egoista" mi trasmetteva. Mi faceva ritornare quella bambina, timida e insicura, piena di paure, che si rintanava sotto le coperte portandole fino al naso, in attesa della voce pacata e tranquilla della sua mamma che narrava quella famosa storia. Ogni sera, quando mia mamma Deborah, o meglio, Debbie, si affacciava nella mia cameretta chiedendomi quale favola volessi sentire quella sera, rispondevo sempre "il gigante egoista". E così, quella fiaba, fu la mia preferita per luuuuungo tempo. Se non per altro, anche all'età di ben ventitré anni ancora la leggevo. E' stata la prima opera di Oscar Wilde che lessi. La prima di tante altre. 

Le ragazze passarono davanti a me e si fermarono, oscurando quella bellissima sfera lucente gialla. Alzai il capo e <<dio Brook, anche qui no, per favore>> dissero tutte e tre in coro. <<ma cosa ho fatto di male?>> chiesi io innocente, allargando le braccia con il libro tra le mani. <<stai sempre a leggere. Se non leggi, fai i giornaletti, se non fai i giornaletti....fai sempre un'altra cosa inerente all'ambito "scolastico">> mimò le virgolette. <<quali giornaletti?>> domandai io interrogativa. Sentii Brad sospirare. <<quelli d'intelligenza>> rispose lei ovvia. Mimai un "ah" con la bocca e <<alza le chiappe e vieni a fare un bagno con noi>> esclamò scocciata Tabby, la solita "rozza". Oh mio dio. Mi stanno contagiando. Non ho mai usato questi termini. <<in realtà non m->> non feci in tempo a finire la frase che mi ritrovai Tabby e Tani che mi presero la testa e le gambe, trascinandomi, se così si può dire, verso l'acqua. Cominciai a dire cortesemente di lasciarmi, anche perché urlare sarebbe stato scorretto per la gente che ovviamente era venuta in questo paradiso per rilassarsi, e, mentre finivo la mia frase, mi ritrovai nell'acqua cristallina di quel magico posto. Chiusi gli occhi, ritirai le mani congelate che per poco andavano in ipotermia e me le passai sugli occhi bagnati, e dietro, avevo le risa di quelle tre galline spennacchiate. Ero arrabbiata perché sicuramente avrei preso un raffreddore incredibile, ed io odiavo il raffreddore perché portava microbi, e di conseguenza batteri ecc. che io odiavo letteralmente. Poi però, in quel momento non ci pensai. Mi vidi lì, seduta sul fondale bianco del mare, sommersa dall'acqua, e cominciai a ridere anche io. Non sapevo il motivo preciso però era stato divertente. Entrarono in acqua anche quelle pazze delle mia amiche e cominciammo a schizzarci, compreso il piccolo Jacob che era il più agguerrito di tutte e a dire la verità quel giorno ci fece anche un po' da "pagliaccio" del circo. 

Biblioteque in love~Spencer Reid ❤️Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora