Mi svegliai in pieno giorno, con una forte luce che entrava a tratti nella stanza dalle tapparelle semichiuse delle finestre. Non sapevo che ore erano, e non ricordavo il perchè mi trovavo lì, stesa su un letto che non era quello nel quale avevo dormito la sera precedente, con un camice da ospedale addosso e un ago infilato nella mano assieme a vari altri tubicini. Mi guardai intorno, alzando leggermente gli occhi semichiusi, e vidi Spencer sulla poltroncina accanto al letto. Dormiva profondamente, anche se tutto aggrovigliato e storto su se stesso. E così, con quell'immagine, pian piano tutto cominciò a risvegliarsi nella mia mente, dallo stato di quiescenza in cui ero stata per non so quanto tempo. Con le lacrime agli occhi, feci scivolare la mia mano fin sulla pancia. Speravo tanto che quel che stavo vivendo fosse solo un brutto sogno dalla quale mi sarei svegliata, e avrei sentito di nuovo scalciare la mia piccolina dentro di me, dimenticando tutto quel dolore interiore che provavo in quel momento, stesa su un letto d'ospedale, senza sentire la mia bambina scalciare nella pancia. Provai a mettermi seduta, ma non appena feci leggermente forza sulle braccia, sentii una forte fitta all'addome e sul mio viso comparì un'espressione di pura sofferenza. Così, ci rinunciai. Allungai il più possibile la mano verso Spencer, sfiorando la sua pelle con un dito. Ma sembrò che quel semplice tocco bastò per svegliarlo.
La sua mano soffice accarezzava delicatamente i miei capelli. I suoi occhi erano chiusi e lacrimanti. I miei, gonfi e rossi. Alcuni suoi baci marcavano le mie guance e la mia fronte. Le nostre mani erano strette l'una all'altra. In quel preciso momento, sembravano una sola mano. Erano così coese....così unite. Indissolubili. Questa era la parola esatta e perfetta per descrivere le nostre mani in quel momento delicato di quel 9 marzo, quando per la prima volta, conoscemmo il frutto del nostro amore.
Erano ore che attendavamo in quella stanza. Erano ore passate con il fiato sospeso, con il cuore a mille e l'adrenalina che attraversava i nostri corpi da capo a piedi facendoci rabbrividire. Purtroppo l'anestesia era finita, e i dolori del cesareo che avevo subito cominciarono a farsi sentire, facendomi indebolire ancora di più. Il medico era passato per visitarmi, e aveva affermato che sia io che la bambina, pur essendo nata prima del previsto, eravamo in ottima salute. E questo fu un sollievo. Ma la voglia di vederla, di stringerla tra le braccia, di sentire il suo odore....il calore della sua pelle, era davvero incontrollabile. <<tu l'hai già vista?>> domandai con flebilmente, con quel poco di forza che mi rimaneva nel corpo. Spencer scosse il capo e lo posò accanto alla mia guancia, sussurrando <<volevo vivere questo momento assieme a te>> e dopo queste parole ci guardammo negli occhi....profondamente, mischiandoci le ansie, le preoccupazioni e le sofferenze. Ma anche le emozioni di quel momento che stavamo per vivere per la prima volta.
Stavo sonnecchiando sulla spalla del mio moroso, quando sentimmo lo scricchiolare della porta di legno. Drizzammo entrambi sul letto sulla quale eravamo seduti, e i nostri occhi si rivolsero dritti sull'infermiera che stava entrando nella stanza, trascinando davanti ai suoi piedi una culla dalle pareti trasparenti, dalla quale si poteva intravedere un minuscolo fagottino imbottito da una copertina bianca con delle striature di vario colore sopra e un cappellino sulla testa, in lontananza, minuscola. Seguivamo ogni passo in avanti dell'infermiera. Non so se avete presente le scene a rallentatore dei film. Quelle scene in cui qualcuno sta correndo o camminando e non sembra mai giungere a destinazione. Ecco: questo era un'esempio per descrivere la situazione in cui ci trovavamo io e Spencer. Il passo di quell'anziana infermiera, sembrava durare un secolo. Quando poi giunse finalmente accanto al letto, prese la piccolina da dentro la culla. Era di spalle, e già si potevano osservare delle minuscole manine che spuntavano dalle pieghe della copertina. Con un gran sorriso sulle labbra, la gentile donna me la poggiò sul petto, proprio accanto al cuore. La piccola, a contatto con la mia pelle fredda, cominciò a piangere. Un pianto che rieccheggiò nell'intera stanza e che coinvolse anche me. Cominciai a lacrimare di gioia...felicità, assieme a Spencer. Era davanti a me...proprio tra le mie braccia. Finalmente potevo ammirarla, coccolarla e stringerla forte a me. Il suo visino era perfetto. I lineamenti erano delicati, le sue guanciotte leggermente paffutelle, erano rosee e avevano le fossette proprio come quelle del suo papà. Il nasino era lievemente schiacciato e all'insù, e poi, le sue labbrucce, erano semichiuse e scarlatte. Il suo corpicino, esile e docile, era coperto da una sola copertina. La sua pelle, candida e morbida, era contro la mia, e finalmente potevo sentire il suo calore, il suo respiro all'unisono con il mio e il suo cuoricino, forte e potente, che batteva contro il mio petto. Una sua manina era poggiata sulla mia pelle. Sorrisi quando la vidi ancorata a me, come se avesse paura che scappassi. Voleva tenermi stretta, proprio come io volevo fare con lei. Appariva così piccola e così fragile, che avevo anche paura a toccarla, a sfiorarla. Ma il suo pianto disperato che risuonava nella stanza mi spezzava il cuore. Così, con un dito che tremava all'impazzata, accarezzai dolcemente il suo visino. Ma riusciva a leggere il mio corpo, e così, attraverso quel tocco delicato ma tremolante, le trasmisi il mio timore, la mia insicurezza. Però, più l'accarezzavo, più Spencer le teneva la manina, più lei sembrava calmarsi. E bastò qualche minuto per vedere i suoi occhietti piccoli e infossati nelle sue guanciotte, chiudersi in un sonno profondo. E mentre la cullavo tra le mie braccia, continuavo a piangere come non mai.
Ogni paura, ogni insicurezza, ogni timore, scomparvero non appena Claire la mise tra le mie braccia. In quel momento, mi sentivo il genitore più felice e realizzato del mondo, forse perchè tenevo tra le braccia ciò che avevo sempre desiderato dalla vita. Quello mi sembrava davvero un sogno. Ma un bel sogno, uno di quelli che vorresti non finissero mai, perchè ti rendono felice e spensierata. Quel momento che stavo vivendo, per me era surreale. Ancora più surreale fu quando vidi, per la prima volta, il nostro dolce tesoro tra le braccia del suo papà. Era così impacciato e così goffo da far ridere a crepapelle. Ma era anche così dolce e carino da far sciogliere il cuore. E vedendo quella scena, capii di aver davvero realizzato tutto nella vita.
<<Juliet>> esclamai io accarezzando la guancia della piccola mentre mangiava. <<cosa?>> chiese Spencer aggrottando le sopracciglia. <<Juliet. E' il nome perfetto da darle. E' stato il nome della protagonista del libro che ci ha fatti innamorare...e poi quel romanzo è stato scritto anche dal nostro autore preferito....quale nome migliore da assegnarle?>> non so davvero come mi era venuto in mente. Però quando la guardai per la prima volta, il primo nome che mi venne in mente fu proprio quello, Juliet. Non esisteva nome più dolce, raffinato e romantico di quello. Sembrava una sorta di melodia quando lo pronunciavi. <<è perfetto>> sussurrò avvicinando le sue labbra verso le mie. <<ti amo>> dissi quando fummo a pochi centimetri l'uno dall'altro. Non rispose, mi baciò soltanto, come non aveva mai fatto. In quel bacio si mischiavano amore, felicità, gioia....tutte emozioni e sentimenti che avevamo provato in quegli otto mesi, ma che si verificarono solamente alla vista della nostra bambina...dello nostra piccola Juliet. Un fagottino che raggiungeva appena i due chili e i quarantanove centimetri di altezza. Ma pur essendo così minuscola, nata da poche ore, aveva stravolto completamente le nostre vite e messo in subbuglio tutte le concezioni che avevamo di amore, felicità e gioia non appena i nostri occhi erano entrati in contatto e i nostri respiri si erano fusi, facendo battere i nostri cuori all'unisono.
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Biblioteque in love~Spencer Reid ❤️
ChickLitEra andata in giro per il mondo in cerca dell'amore, quando la sua anima gemella era sempre stata lì