Nice to meet you- 79

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Era un pomeriggio tranquillo, quello. Il sole era alto nel cielo, anche se leggermente offuscato dalle nuvole candide che percorrevano quel celeste infinito. Il giorno prima una bella e forte nevicata si era scatenata sull'intera città, portando così metri e metri di neve davanti le porte delle case e nei quartieri circostanti. L'aria era gelata, e quindi avevamo deciso di riscaldare l'atmosfera accendendo un bel fuocherello dal camino. E così, quel pomeriggio d'inverno, io e la mia piccolina stavamo leggendo una bellissima favola sdraiate sul divano, io con la testa poggiata su due morbidi cuscini, e Juliet con la testolina sul pancione che ormai aveva raggiunto un volume davvero enorme, per sentire scalciare il suo futuro fratellino e la sua futura sorellina, e per lasciar sentire loro la favola che io stavo leggendo con entusiasmo e divertimento. Tutto questo, sotto una calda coperta bianca in pile. 

Spencer era a lavoro dalla mattina, e noi cercavamo di attenderlo sveglie alternando i giochi che facevamo sedute sul tappeto del salotto. Erano passati nove mesi da quando quel test, dopo cinque minuti, mostrò quelle due tacchette rosse che segnavano la presenza di una nuova vita dentro di me. Erano passati otto mesi da quando la dottoressa Freeman, con la sua infinita calma e pazienza, anche se non si sarebbe detto dal suo aspetto leggermente punk , mi comunicò che dentro di me non stava crescendo una sola creatura, bensì due creature perfettamente identiche e minuscole come due puntini. Erano passati sette mesi da quando ascoltai per la prima volta quei due cuoricini piccoli piccoli che battevano all'unisono e da quando la dottoressa ci comunicò che quelle due creaturine erano un maschietto e una femminuccia. E in quel momento ero lì, su quel letto, con lo sguardo rivolto al soffitto e le mani incrociate sul ventre. Ormai il sole era tramontato e la notte era scese sulla città di Georgetown. Juliet dormiva da circa mezz'ora nelle sua cameretta accanto alla nostra, e sentivo il suo respiro attraverso la radiolina che tenevo sempre poggiata sul comodino. Ed io, invece, restavo sveglia, sotto le coperte, in attesa che il mio maritino tornasse dalla sua giornata lavorativa all'Unità di Analisi Comportamentali dell'FBI. 

Erano passate presso poco le undici e mezza di sera. Spencer dormiva tranquillamente e con il suo braccio cingeva il mio bacino anche se questo era molto ingombrante, a causa dei gemellini che non facevano altro che scalciare ad ogni ora del giorno e della notte. Non riuscivo a dormire. Ero preoccupata. Da lì a qualche giorno prima ero entrata nella quarantesima settimana e le creature potevano nascere da un momento all'altro. Ed è per questo che già io e Spencer ci eravamo organizzati. Avevamo lasciato la valigia per il parto all'ingresso, assieme alla borsa già pronta e i giubbotti belli appesi e in bella vista, nel caso di emergenze. E mentre io ero in pensiero, ma soprattutto in ansia per quello che sarebbe successo a breve, Spencer aprì gli occhi, mi stampò un bacio sulla fronte e accarezzò il ventre, mentre all'orecchio suggerì un <<stai tranquilla, andrà tutto bene, amore>> e richiuse gli occhi, poggiando la testa sul mio petto e lasciandomi dolci baci sul collo. Ed io non potei far nient'altro che sorridere e, finalmente, chiudere gli occhi e dormire un dolce sonno. 

Erano le due di notte quando, presa da uno strano liquido che scendeva lungo le gambe, sobbalzai dal materasso e guardai sulle lenzuola. <<Spence>> sussurrai con voce tremante. <<Spence>> ripetei con più convinzione ma sempre a basso tono. Non ottenni nessuna risposta, solo sbadigli e sbuffi da parte dell'uomo che avevo di fronte. Tirai un colpetto "forte" sulla sua spalla, mentre sorreggevo con un braccio la pancia. <<Spence>> sussurrai di nuovo vicino al suo orecchio, e dopo mugugni vari, vidi le sue palpebre sbattere una decina di volte prima di aprire gli occhi. Era assonnato e, con voce impastata dal sonno e un mezzo sbadiglio, disse <<cosa succede Brook?>> e non appena mi vide in piedi, con un lago d'acqua ai piedi, sobbalzò anche lui e quello che riuscì a dire fu <<CI SIAMO>> urlò <<non facciamoci prendere dal panico>> aggiunse prima di correre avanti e dietro, da una parte all'altra della stanza. Si vestì velocemente, e, con molta calma, mi aiutò a scendere dal letto e mi prese addirittura in braccio per scendere le scale visto che se camminavo, pensavo di partorire in quella casa. E così, una volta arrivati al piano terra, mi posò con delicatezza sul divano, e, proprio in quel momento, le contrazioni cominciarono a farsi sentire. Delle fitte lancinanti premevano sull'addome e sulla schiena. Sudavo e tremavo tutta. Spencer era agitato e preso davvero dal panico. Si inginocchiò davanti a me e disse di fare respiri lunghi e profondi, mentre lui avrebbe chiamato Brad per la piccola Juliet, che, in tutto ciò, fortunatamente dormiva tranquilla nella sua stanzetta. 

Biblioteque in love~Spencer Reid ❤️Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora