Dress-71

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<<buongiorno>> esclamò Spencer cingendomi le spalle con le braccia e baciandomi amorevolmente le labbra. <<buongiorno anche a te>> risposi sorridendo e poggiando la testa sul suo petto. <<ho appena fatto il caffè>> aggiunsi porgendoli una delle due tazze che avevo tra le mani. <<oh....grazie>> un sorriso soddisfatto spuntò sulla sua bocca e si sedette su uno degli sgabelli della cucina. Io invece mi poggiai al piano di granito. Sorseggiammo le nostre tazze rumorosamente, rimanendo in silenzio. La piccolina dormiva sotto la sua copertina rosa nella sua culletta in cucina. Erano passati alcuni giorni da quando aprii la cartella di Spencer e lessi che era...schizofrenico. La notizia ci aveva sconvolto, ma stavamo imparando a conviverci, ma soprattutto stavamo imparando a vivere con la massima gioia e positività ogni singolo momento della nostre giornate come coppia e come genitori. <<io vado...ci vediamo oggi pomeriggio amore>> si alzò da tavola, poggiò la tazza nel lavabo e mi stampò un bacio sulla fronte. E dopo, prese la sua borsa marroncino chiaro, la mise in spalla ed uscì di casa, stampando un bacetto sulla fronte di Juliet. E così rimanemmo solo io e la mia piccola principessina.

<<Brook....sei pronta?>> mia madre entrò indaffarata nel bagno, con la nipotina che pendeva a pancia in giù dalle sue braccia. <<si...sto solo finendo di pettinarmi>> e così posai sul bordo del lavandino la spazzola e scesi accompagnata dalla mia mamma. <<su su...che siamo già in ritardo>> alzai gli occhi al cielo alla sua affermazione, presi Juliet dalle sue braccia e la poggiai con dolcezza nell'ovetto, la coprii per bene e finalmente fummo pronte per uscire da casa.

Quel giorno era particolarmente soleggiato. Le temperature si erano alzate rispetto alla settimana precedente e l'aria primaverile cominciava a farsi sentire. Decidemmo di andare a piedi in centro visto che quella era una giornata piacevole. Passeggiammo lungo il vialetto parlando del più e del meno. Decisi di non dire ancora nulla ai miei genitori della schizofrenia di Spencer, ma prima o poi sarei stata costretta a dirglielo. Durante la camminata, incontrammo la signora O'Mayell, una simpatica donnina sulla sessantina, con lunghi capelli bianchi curati e perfettamente aggiustati sulle spalle e un grosso sorriso sulle labbra. Adorava curare il suo giardino assieme a suo marito John, infatti erano sempre lì a tagliuzzare e piantare fiori. Era la nostra vicina di casa, e ci aveva accolti nel nuovo quartiere con amore e gioia. Impiegammo circa venti minuti nel tragitto da casa alla piazza principale dove si trovava il famoso atelier. Ero emozionata e non stavo più nella pelle. Lo stomaco cominciò a stringersi e il cuore a battere sempre di più. Non pensavo che questo momento arrivasse mai, ma io ero lì, con le persone che più amavo al mondo e non potevo esserne più che felice.

Fuori l'ingresso trovammo tutte le mie amiche più la mamma di Brad e il piccolo Jacob, che con un gesto carino e dolce si avvicinò a Juliet e stampò un bacio sulla sua manina. Era così tenero con lei che adoravo vederli assieme. Fu questione di secondi che tutte le mie amiche si fiondarono su di me, abbracciandomi e baciandomi su entrambi le guance, euforiche e contente per me. Ah, dimenticavo! C'era anche Charlotte, che da qualche mese aveva messo al mondo due fantastici gemellini, un maschio ed una femminuccia, Byron e Layla. Erano cresciuti tanto dall'ultima volta che li avevo visti, avevano messo su due guanciotte paffutelle e gommose tanto che ti veniva voglia di morderle. Dopo i saluti, entrammo nell'atelier. Grossi lampadari in cristallo scendevano dal soffitto e con la loro luce calda scaldavano l'atmosfera e l'ambiente. C'era bianco dappertutto, dal pavimento lucido con delle venature grigiognole alle pareti luccicose. Persino i divanetti erano bianchi assieme alle poltroncine. E poi, una miriade di abiti da sposa riempivano l'intero spazio. Una giovane donna si accorse di noi e venne in nostro soccorso. Era vestita in modo "elegante", con una camicetta bianca e una giacca nera. <<salve>> cominciò a parlare con un sorriso sulle labbra messo in risalto dal rossetto rosso fiamma che contrastava con la sua carnagione scura. <<sono Louisa, molto piacere>> mi porse la mano ed io gliela strinsi, presentandomi anche io. Ci fece accomodare in uno spazio più appartato rispetto all'ingresso e mi chiese delle nozze che sarebbero avvenute da lì a breve. Quando domandò del modello a cui aspiravo del vestito, cacciai dalla borsa alcuni ritagli che avevo fatto da diversi giornali da sposa, e con dolcezza glieli porsi. <<perfetto, voi aspettate qui, noi torniamo tra poco>> fece l'occhiolino al resto del gruppo e mi portò in una stanza piena di abiti da sposa.

Quello si che era il paradiso. Ce ne erano di tutti i tipi, ma ovviamente erano divisi per modelli. La lunga scia bianca iniziava con abiti sfarzosi, con il corpetto pieno di luccichini e strass, la gonna ampia e vaporosa, le maniche di pizzo e il velo ricamato. E mano mano che si avanzava, la sfarzosità degli abiti diminuiva ed io mi avvicinava al modello che faceva per me. Ed ecco che a pochi metri da lì, trovai una seria di vestiti semplici e raffinati. A primo impatto sembravano tutti uguali, ma se ti avvicinavi, vedevi che erano differenti l'uno dall'altro. C'erano quelli con lo scollo a cuore e la gonna a sirena; quelli con le maniche lunghe di pizzo e la gonna con i fiorellini ricamati e quelli a cui miravo io: semplici ed eleganti. Me ne mostrò diversi, dicendomi di provarli tutti prima di prendere la decisione effettiva.

Mi trovavo in camerino. Stavo seduta su una sedia con addosso una "vestaglia" leggera in attesa che Louisa portasse i vestiti che aveva preservato per me. E dopo pochi minuti la sua montagna di capelli ricci e neri spuntò dalla porta, seguita da tre vestiti molto belli. <<allora>> cominciò appendendo le tre grucce su un'asta. <<questi sono i primi tre che ho scelto. Li provi, e se non ti piaccio->> non la feci finire di parlare che subito esclamai con gli occhi grandi e pieni di gioia <<il secondo>> e lo indicai con il dito. Louisa era esterrefatta, tant'è che rimase a bocca aperta. <<è perfetto...posso provarlo?>> domandai drizzandomi in piedi e battendo le mani. Ecco, quando ero emozionata e ansiosa di fare qualcosa, il cervello perdeva il totale controllo dei miei muscoli e quindi questi partivano da soli senza che io me ne rendessi conto. <<ok...>> era ancora sconcertata e titubante, tant'è che aggiunse. <<in dieci anni di carriera non mi era mai capitato di vedere una sposa pronta e decisa nella scelta dell'abito da indossare nel momento più importante della sua vita>> un sorriso divertito spuntò sia sulle mie che sulle sue labbra. Prese l'abito bianco e me lo porse, oltre che aiutarmi nell'infilarlo. Nello stanzino non c'era uno specchio, era tutta una sorpresa. Non vedevo l'ora di uscire e di sentire il parere di mia madre e delle mie amiche.

E così, una volta infilato, Louisa mi aprì la porta del camerino e mi condusse nella saletta dove erano riunite tutte le mie damigelle d'onore, mia madre, il mio adorabile nipotino e la mia splendida principessina. Non appena spuntai dall'angolo del muro, tutte quante si girarono verso di me e, purtroppo, è impossibile descrivere le varie espressioni sulle loro facce perchè erano veramente indescrivibili. Si portarono tutte le mani sulla bocca, e addirittura mia madre, Marysol e Brad cominciarono a piangere. <<oddio no...non cominciate a piangere altrimenti comincio a piangere anche io>> esclamai tamponandomi gli occhi con le dita. <<come sto?>> domandai con gli occhi lucidi e rossi. Nessuno parlava, erano tutti allibiti e troppo commossi. <<vedi tu>> esclamò Tabitha indicando lo specchio proprio dietro le mie spalle. E così, con una lentezza quasi snervante, mi voltai e mi vidi allo specchio per la prima volta con il mio abito da sposa. Si, "mio" perchè era quello giusto. Non dissi nulla, cominciai solo a piangere a dirotto. Mi calzava alla perfezione. Il corpetto era aderente, ma non troppo. Fasciava alla perfezione il bacino e riusciva a mascherare la "pancia" che mi era rimasta dal parto ma che stava scomparendo pian piano con la ginnastica dolce che praticavo due volte a settimana. Era bianco con nessuna ricamatura particolare sopra, proprio come la gonna del medesimo colore che ricadeva morbida sui piedi. La particolarità, se così vogliamo chiamarla, stava nel corpetto che, nella parte davanti era coprente mentre la parte posteriore mi cingeva la schiena con un velo con sopra ricamati ritagli di pizzo. Ero rimasta senza parole. Dire che ero felice era dire poco. Non so descrivere cosa provavo in quel momento perchè era così pieno di emozioni impossibili da raccontare ma possibili da provare. E così, una volta affermato che quello era l'abito tanto atteso e desiderato, ci congedammo tutte quante andando a festeggiare in un locale della zona.

Biblioteque in love~Spencer Reid ❤️Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora