The end- 80

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5 anni dopo

Chi lo avrebbe mai detto che, a distanza di cinque anni, mi sarei ritrovata nel bagno, con un bastoncino bianco tra le mani, e una gran confusione nello stomaco? Ed ecco che quando credevamo proprio di essere felicemente completi e assortiti, una notte a Parigi, qualche bicchiere di Champagne di troppo, l'amore incontrollabile, sproporzionato, passionale, infinito, illimitato (meglio se mi fermo perché altrimenti potrei andare avanti all'infinito) ha fatto si che a distanza di qualche settimana, mi ritrovassi nella situazione vissuta cinque anni fa o, meglio ancora, sette anni fa. La mia prima esperienza....La nostra prima esperienza come genitori. Pensare, adesso, al giorno in cui mi sono ritrovata nel bagno di quell'appartamento, nel bel mezzo del caos di Georgetown, mi fa venire una stretta allo stomaco. Una stretta di nostalgia, di malinconia. Ricordare una Juliet di appena due chili e nemmeno cinquanta centimetri di altezza, e vederla invece adesso, una piccola fanciulla che ama la lettura e la filosofia, mi fa venir da piangere. Il tempo è passato troppo in fretta. Quante volte, io e Spence abbiamo avuto voglia di fermarlo. Quante volte, io e Spence, abbiamo avuto voglia di prendere le lancette dell'orologio, staccarle e gettarle via. Fermare le ore, i minuti, i secondi. Semplicemente per goderci quei momenti, quei momenti felici e spensierati che mai e poi mai sarebbero ritornati. Impressi nella memoria, di sicuro, ma mai più vissuti.

Le serate trascorse sul divano, con i bimbetti che dormivano tranquillamente sopra, con un bicchiere di vino rosso in mano, accucciati l'uno all'altra...Uniti come coppia, come non mai. Chiacchieravamo della giornata trascorsa, io come "mamma" e lui come "Dr. Spencer Reid". Chiacchieravamo sul "quando" avrei ripreso a lavorare. I bimbi andava già tutti chi all'infanzia e chi all'asilo nido, eppure il mio sogno lavorativo, da quando mi ero trasformata in "donna-mamma", lo avevo quasi del tutto abbandonato. Si, la pediatria per me rimaneva per sempre una passione, eppure ciò che mi affascinava e teneva impegnata (soprattutto) di più era sicuramente quello come "mamma". <<chissà, forse un giorno ritornerò alle mie vecchie passioni>> mi ripetevo, ed in effetti (piccolo spoiler), è stato così. Ma in quegli anni, soprattutto dopo poco la nascita dei gemelli, qualcosa è cambiato o scattato in me. La priorità ormai erano (e sono tutt'ora) i figli, il marito, la casa, la famiglia. Avevo raggiunto i miei obiettivi, da ragazza. Avevo realizzato il mio sogno, almeno quello che era allora. Ma quel sogno aveva bisogno di essere integrato, di essere completato. Aveva bisogno di Spencer, come compagno di vita. Aveva bisogno di Juliet, Ariel e Reagan come cura ad ogni male. All'età di vent'otto anni potevo dire di essere completa, di essere felice. Avevo ottenuto tutto dalla vita, almeno così pensavo. Ma, come si dice, la vita è una continua sorpresa. La vita è un flusso inarrestabile di emozioni, sensazioni, momenti che scorre in continuazione, senza mai fermarsi. Questo lo avevo già capito quanto studiai Joyce al liceo, ma tra capire e realizzare c'è differenza. Questo, l'ho realizzato solo una settimana fa.

Era il quattro di luglio. L'intero stato americano era in festa. Per le strade si sventolavano bandiere, si spruzzavano bombolette blu, rosse e bianche. Si urlava, si scherzava, si gioiva. E, come ogni anno, si abbrustoliva il pranzo sul barbecue.

Nebraska. Lincoln. Eravamo a casa della nonna, quel quattro luglio. C'eravamo tutti, non mancava nessuno. Vedere nonno Christopher, alla sua età, occuparsi della tagliata di carne non era da tutti i giorni. Nonna Miranda, invece, faceva ciò che le riusciva meglio: occuparsi dei suoi nipotini. Era praticamente sdraiata sul prato, quel grande prato sempre verdeggiante e fiorito...Quel giorno ancora di più. Non l'avevo mai vista così felice come quel quattro luglio, la nonna. La mamma Debbie, invece, si preoccupava di posizionare attentamente e accuratamente i suoi segnaposto ai rametti di rosmarino sulla tavola imbandita. Era rimasta la solita donna attenta alla cura della casa, soprattutto a quella dei particolari. Continuava ad essere la "mamma perfetta", ed io continuavo ad apprendere, ad imitare ogni suo gesto per cercare di essere capace (proprio come lei) nel mestiere che meglio le riusciva. Ma, devo ammettere, che le calzava alla perfezione anche il ruolo di nonna, visto che i suoi nipotini non facevano altro che cercarla e chiamarla in continuazione. Lo stesso vale per il papà Pat, nonno e genitore perfetto, che quel giorno era accanto al nonno Chris, e il mio Spence anche. Chiacchieravano, o meglio, mio marito chiacchierava. Stava illustrando ai miei famigliari le statistiche di morte per cancro non solo in America, ma in tutto il mondo. Per quanto la paternità lo avesse cambiato, il mio Spencer rimaneva sempre il mio Spencer: il genietto impacciato e goffo, quello disagiato davanti a gruppi di persone, quello che preferiva Friedrich Nietzsche al party universitario, oppure Thomas Merton alla serata tra "amici". Il "genietto" che aspettò non ricordo nemmeno quanti giorni, o settimane, prima di confessarmi il suo amore e regalarmi l'emozione, la gioia di quel bacio tanto atteso. Il "genietto" alla quale mi concessi, anni e anni prima. Il "genietto" che mi ha regalato le tre cose più belle delle mia vita: Juliet, Reagan e Ariel. Il "genietto" che io ho amato fin dal giorno, in quella biblioteca, quando centinaia di fogli bianchi svolazzanti nell'aria hanno permesso che quello sguardo fugace e sfuggente diventasse pure e vero amore...Come quello delle favole.

Biblioteque in love~Spencer Reid ❤️Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora