Capitolo 93

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Nei due giorni successivi al fallimento su Alfheim, Sigfrid si era chiuso nel silenzio delle sue personali stanze, immerso nell'oscurità più cupa poiché le pesanti tende erano tirate fino a coprire ogni possibile spiraglio di luce esterna e nella distruzione totale di ogni mobile o oggetto che le abbelliva.

Le caraffe di vino giacevano in mille pezzi in un angolo del pavimento, vuote, mentre lui, seduto al centro del grande letto sfatto con gli abiti sgualciti e le mani ancora macchiate del proprio sangue per via dei tagli, guardava un punto impreciso del vuoto di fronte a sé.

I lunghi capelli verdi non erano legati nella solita treccia che era solito portare ma sfatti, disordinati e ricadevano lungo il suo volto scarno, coprendo anche parte della schiena. Profonde occhiaie nere solcavano i suoi occhi privi d'iridi, le labbra erano spaccate per la disidratazione poiché erano già due giorni che non toccava né cibo né acqua. Non muoveva un singolo muscolo da quel letto, le porte erano rigorosamente chiuse a chiave e nessuno aveva provato a mettere piede nei suoi alloggi.

Non sapeva che cosa stavano facendo i suoi generali, che cosa succedeva al di fuori di Niflungar o del palazzo stesso, non gli importava neanche dell'Incantatrice, la cui ultima volta che l'aveva vista, fu per farla imprigionare nelle segrete del castello.

Gli aveva promesso l'anello e aveva fallito, aveva stretto alleanze per lui che rifiutava di voler sfruttare per usare i suoi trucchi di magia che si erano rivelati fallimentari e inutili e che non avevano portato a niente salvo che alla sua sconfitta, sul piano militare ed emotivo. Forse per lei si poteva rimediare tirando fuori piani fantasiosi che garantiva potessero essergli utili, ma che non stavano portando risultati.

Se avesse ingaggiato dei mercenari o sfruttato gli eserciti di Muspelheim e Jotunheim come negli accordi con Surtur e Helblindi, avrebbe sfoggiato di nuovo il suo prezioso anello al dito mentre imbalsamava la testa di Odino per incastonarla in una cornice di legno, con le urla della moglie nelle orecchie mentre i suoi soldati le facevano ciò che Padre Tutto aveva ordinato che fosse fatto alla sua amata sposa, e assisteva alla morte di quei due bastardi dei figli.

Una soddisfazione che non gli era ancora stata concessa, perché la sua maledetta consigliera lo aveva fatto temporeggiare e lui che si era persino fatto ammaliare dalla sua magia perché convinto che potesse aiutarlo. Forse avrebbe dovuto darle un assaggio delle più atroci torture che i Nibelunghi sapevano infliggere.

Qualcuno bussò alle porte ma Sigfrid non si alzò per aprire, anzi, trovò che il disturbo della quiete in cui era immerso fosse riprovevole «Andate via!»

«Vostra Maestà, porto un messaggio da parte dell'Incantatrice.»

Emise un sospiro esasperato, un ringhio basso. L'unica persona di cui non voleva sentire parlare, mandava un soldato con un messaggio per lui. Avrebbe dovuto vietarle quella piccola concessione detta solo per puro sfregio «Che diavolo vuole?»

«L'Incantatrice chiede di poter conferire con Vostra Maestà.»

«Dille che può andarsene negli inferi e restarci, per me!» Conferire con lui, dopo di quello che aveva fatto, gli uomini che gli aveva fatto perdere e tutto quello che aveva creato mandato in fumo. Una faccia tosta che meritava di essere punita veramente, severamente.

«Le dirò che Vostra Maestà le nega il consenso.»

La trovò una buona risposta da darle, perché non aveva intenzione di vedere il suo volto, beh, o per meglio dire il suo cappuccio essendo che fosse trascorso un mese e non l'aveva ancora vista in faccia.

Rammentare la sua figura avvolta in quel mantello, gli montò una rabbia che lo portava a desiderare di scendere personalmente in quel sotterraneo e strapparle il cappuccio dalla testa, per guardarla negli occhi mentre le tagliava la gola come punizione.

Swan Ice- L'Anello del NibelungoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora