14 agosto 1582
Il vento spirava, violento, sulla scogliera di Fersenvar. Trasportava le minuscole gocce d'acqua, figlie delle onde del mare, dal sapore salmastro.
Il cielo era coperto. Un temporale estivo, proveniente da est, stava attraversando la distesa grigia che era Tenger. Già si udiva l'eco dei tuoni in lontananza, e si scorgevano i primi bagliori bianchi e violacei.
Il giovane, solo, stava a pochi passi dal portale onirico. Era stato spento poco dopo la liberazione del fronte, avvenuta nell'aprile dell'anno precedente.
Nonostante fosse agosto, l'aria era fredda. Si insinuava tra le pieghe dei suoi vestiti, facendolo rabbrividire.
Il giovane si concentrò sulle onde che si infrangevano sulla costa, sotto di lui. Poteva vedere gli schizzi delle più alte fare capolino tra gli scogli vicini.
Si concentrò sul loro suono, sul loro odore, sul loro movimento.
Un'onda sostituisce l'altra, pensò. Una vecchia verità. Più vecchia dello stesso Impero. Più vecchia degli Ember. Poco più giovane di Zena stessa.
Il giovane fece un altro paio di passi verso il margine della scogliera. Il vento lo faceva sentire come se stesse oscillando, al pari di un filo d'erba non ancora appiattito dagli stivali dei soldati sul campo di battaglia di Magastor. Guardò in basso, allontanando sul nascere la sensazione vertiginosa, che minacciava di fargli perdere l'equilibrio.
Valutò se quella caduta avrebbe potuto uccidere un uomo. Sì, si rispose.
Si chiese se sarebbe morto così. Forse, si disse.
Ma era tranquillo. Era calmo. Proprio come era calmo quando metteva piede sul campo di battaglia.
Sapeva che non sarebbe successo quel giorno. Non qui, pensò. Non ora.
Stava solo aspettando.
Scrollò le spalle, per scacciare l'ennesimo brivido di freddo, e si alzò la sciarpa sul viso, per coprirsi anche il naso e le orecchie. Il vento continuava a scompigliare i suoi capelli neri, agitando un ciuffo vicino all'occhio destro. Lo scostò, e abbassò il cappuccio della sua uniforme da Paranx, continuando a tenere i suoi occhi neri puntati sull'orizzonte, in attesa dell'alba.
Ma prima che arrivasse l'alba, arrivò lei.
La sentì avvicinarsi, quasi con fare furtivo. I suoi passi erano lenti, ma non incerti. Erano regolari, ponderati, calcolati. Prestabiliti.
Di certo non si sarebbe avvicinata ancora di molto al baratro. Non avrebbe osato. Non avrebbe mai potuto osare.
«Larenc» si rivolse a lui la giovane donna, la sua voce trasportata dal vento.
Larenc si voltò, non potendo ignorarla. La giovane stringeva tra le braccia un bambino addormentato, appena nato, o di pochi giorni. Aveva passato un'intera settimana all'ospedale di Wedenak, e Larenc non aveva più avuto notizie di lei. Né aveva cercato di contattarla. Né era stato a trovarla. Nemmeno una volta.
Larenc diede un altro sguardo alla scogliera acuminata sotto di lui. Un'altra raffica di vento agitò i suoi capelli, nonostante fossero ora in parte trattenuti dal cappuccio. Si sistemò la frangia, poi si voltò verso la giovane madre, muovendo un paio di passi verso di lei.
L'altra sembrò ritrarsi, come a proteggere il bambino. Era come se un istinto materno le stesse ordinando di stare lontana da quell'uomo. Perché quell'uomo era pericoloso. Quell'uomo era un soldato. Quell'uomo era uno spietato assassino.
Ma poi quell'uomo sorrise. Un sorriso leggiadro, che svanì subito, come se il vento fosse riuscito a portarsi via anche quello, anche quell'eterea aria di felicità.
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Djabel
Science Fiction[Fantascientifico/Distopico] Serie "Ember" - Libro 2 ATTENZIONE! Può contenere spoiler per chi non ha letto "Ember". La Guerra di Zena infuria ancora. Gli Ember continuano a cadere, e Noomadel contrasta la mancanza di uomini con degli attacchi mirat...