Capitolo Settantaquattro

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15 febbraio 1604

I colpi sparati da Annekha risuonarono nella gigantesca conca del Vuoto, riecheggiando contro le pareti, con pause sempre più brevi man mano che la giovane si avvicinava alle caverne di nord-est. Era andata da sola, partendo da Telei, lasciandosi una squadra di Paranx alle spalle, tra cui anche Djric. Inoltre, aveva ordinato a un gruppo più sostanzioso di sorvegliare il margine meridionale.

Era scesa nel Vuoto con l'intento di parlare semplicemente con Vinczel, ma da quando si era potuta dire sicura di non essere più osservata dai suoi uomini, aveva lasciato andare tutta la sua rabbia, e l'aveva sfogata sui mostri – ora aveva in mente di utilizzare un approccio molto meno diplomatico.

Stava uccidendo ogni mostro che entrava nel suo campo visivo, prima che le si avvicinasse troppo, con una particolare attenzione per quelli volanti, come i Grifoni e soprattutto le Arpie. Le sembrava di sentire la cicatrice sulla sua gamba sinistra bruciare, quando ne vedeva una, come se il suo sangue, i suoi istinti, le stessero urlando di vendicarsi contro quel tipo di mostri in particolare.

Sapeva che Vinczel stava creando un proprio esercito, e distruggerglielo le sembrava il modo migliore per costringerlo a uscire allo scoperto – non avrebbe tollerato che quell'assalto continuasse ancora per molto. Inoltre, dalla densità di mostri che la circondavano, Annekha poteva farsi un'idea di quanto fosse vicina o lontana da lui.

«Ilyun Vinczel!» gridò, abbattendo una Manticora, mentre un'orda di Arpie e Barghest si stava avvicinando dalla sua destra. Venivano da sud. Ed erano tanti. Troppi, non volle ammettere a se stessa. Vinczel doveva essere vicino. Doveva riuscire a sentirla. «Fatti vedere, vigliacco!» urlò ancora, lanciando una pietra in direzione dell'apertura di una caverna, dove era plausibile che il giovane si fosse rintanato.

Annekha caricò altri colpi nel suo fucile – si era portata abbastanza munizioni da abbattere l'intera popolazione di mostri del Vuoto, e le cinture di proiettili pesavano sui suoi fianchi e sulla sua spalla sinistra.

«Ilyun Vinczel!» lo chiamò di nuovo. I mostri si avvicinavano pericolosamente. Probabilmente ve ne erano anche dietro di lei, e la stavano accerchiando – si era allontanata fin troppo dal margine settentrionale del Vuoto. Ma come altro avrebbe potuto trovare Vinczel?

Annekha indietreggiò, guardandosi le spalle mentre si avvicinava alla parete di roccia, in un'insenatura abbastanza lontana dalle entrate di due caverne, una alla sua destra e una alla sua sinistra. Arrivò con le spalle al muro, il fucile ancora puntato verso i mostri, e si morse il labbro. Si stava facendo un'idea della direzione dalla quale sembravano provenire.

A un tratto, si sentì sfiorare da qualcosa, al braccio. Si voltò di scatto, temendo si trattasse di un mostro, ma non vide nulla. E in quella frazione di secondo riuscì solo a sentire il rumore di due rapidi passi sulla pietra, e non reagì, se non agitandosi, quando si sentì stringere al busto, una mano piazzata sulla sua bocca, che le impediva di urlare, e l'altra che le immobilizzava il polso destro, impedendole di ruotarlo, insieme al fucile, per sparare al suo aggressore.

«Endris Vinczel.» una voce profonda la corresse. Era una voce molto più sconsolata di quella che ricordava, ma Annekha sapeva a chi appartenesse.

La ragazza si voltò di scatto, non appena la pressione sul suo torace diminuì, e Vinczel ritrasse entrambe le mani, liberando anche il suo polso.

Annekha fece un passo all'indietro, lontano da lui e dall'entrata della caverna dalla quale doveva essere sbucato, il fucile ora puntato su di lui.

Vinczel si spostò dal raggio di tiro, istintivamente, facendo due passi scrocchianti sull'erba giallognola coperta in parte dalla neve e dal ghiaccio. Il suo sguardo era spento, i suoi occhi vuoti, mentre percorrevano la figura di lei, come accarezzandola.

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