Capitolo Trentasei

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25 ottobre 1603

A un lato della scrivania stavano accatastati fogli ricoperti di equazioni e simboli matematici, mentre dall'altro si trovavano i manuali, uno dei quali ancora aperto all'ultima facciata utile, con una matita nell'incavo tra le due pagine, a mo' di segnalibro.

Dopo aver risolto quell'ultimo problema sul calcolo differenziale, Vinczel si era gettato sul letto, e si era presto addormentato. Si stava impegnando molto per recuperare il semestre perduto, e ci stava riuscendo, ma a costo di preziose ore di sonno.

Essendo quel giorno un sabato, fortunatamente, non si sarebbe dovuto recare all'Accademia, e aveva deciso di approfittarne, per riposare, ma nel pomeriggio sarebbe tornato a dedicarsi alle equazioni differenziali di second'ordine.

Avrebbero potuto essere le dieci, quando aprì gli occhi, ma il giovane uomo non se lo chiese neanche, e non guardò la sveglia sul comodino, ma si rigirò tra le coperte per qualche minuto, affondando di nuovo la testa nel cuscino e nel mondo dei sogni.

Il dormiveglia durò ancora per qualche minuto, dopodiché Vinczel si costrinse ad alzarsi. Infilò le ciabatte mentre ancora si strofinava gli occhi, e indossò una felpa nera sopra al suo pigiama bianco e azzurro, per ripararsi dal freddo. Non era ancora sicuro di essere sveglio quando agguantò la maniglia della porta, e si trascinò fuori dalla sua stanza, e giù dalle scale.

Una volta giunto al piano inferiore, trovò i suoi genitori al tavolo della colazione. Capì, quindi, che non poteva essere troppo tardi, e lanciò uno sguardo all'orologio a muro. 9:49. Un orario abbastanza decente, considerando che doveva essersi addormentato attorno all'una di notte.

Non era tornato a casa da molto, e gli era mancata l'abitudine di ritrovarsi attorno al tavolo della colazione, nei fine settimana. Di solito era lui ad alzarsi per primo, ad accendere i fornelli per scaldare l'acqua per il tè per tutta la famiglia. Invece quel giorno aveva dormito più del solito. Il ritmo dell'Accademia lo stava uccidendo.

Si stiracchiò e sbadigliò, dopo aver salutato, e si sedette al tavolo, di fronte al padre.

«Hai dormito bene?» gli chiese lui.

Vinczel si limitò ad annuire, e a salutare la madre che ancora stava armeggiando con la teiera. Appoggiò i gomiti sul tavolo e si strofinò il viso con le mani, nel tentativo di svegliarsi. Riusciva a malapena a tenere gli occhi aperti.

«Non mentire a tuo padre.» L'ammonizione veniva da Hayna, ma nella sua voce non vi era nulla di minaccioso, non un'ombra, come non si poteva leggere un cattivo presagio in un cielo rosato al tramonto. Non vi era altro che dolcezza nel suo viso, nei suoi occhi, e nella sua persona.

Tutta la sua famiglia, i Marton, erano l'emblema della tranquillità. Non era sorprendente che pochi di loro partecipassero attivamente alla guerra, e che fossero per la maggior parte Megert. Il fratello di Hayna, Matyas, aveva accettato persino la morte con serenità, o almeno così Hayna aveva sempre raccontato a Vinczel.

Al suo ritorno da Noomadel, il giovane aveva alcune informazioni in più sul suo defunto zio adottivo, ma nulla di davvero rilevante, e nulla che non sapesse già. Era stato il partner di Hann Solean, ed era morto nel novembre del 1573.

Hayna non ne aveva mai fatto una colpa a nessuno, e con il tempo era riuscita ad andare avanti con la sua vita, anche grazie alla sua vicinanza con Gelarth, che aveva fin da quell'età.

Vinczel si strofinò di nuovo gli occhi, e sbatté le palpebre ripetutamente, per cercare di mettere a fuoco la figura della madre, ancora offuscata dal sonno.

«E dimmi, è stato il pensiero di una qualche bella ragazza a tenerti sveglio fino a tardi?» chiese Hayna, ammiccando e ridacchiando.

Vinczel arrossì, e alzò le spalle. Il riferimento ad Annekha era chiaro come il sole. «Non la vedo da settimane, ormai.»

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