Capitolo Settanta

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Solean era nel suo studio, in attesa di un rapporto proprio dall'avanscoperta, dalla scorta di Rozsalia. Il sole stava tramontando, e dalla finestra l'uomo poteva vedere le sfumature del cielo, che passavano dal rosso al giallo, poi al verde e al blu. A quell'ora, Rozsalia sarebbe dovuta essere già stata di ritorno, con Vinczel.

Solean non osò sperare, quando udì dei passi sulle scale, e quindi nel corridoio, diretti proprio al suo studio - era anche ora di cena - e quando bussarono alla porta, fu certo che non si trattasse di Rozsalia, né tantomeno di Vinczel. Dovevano essere dei servitori.

«Avanti.» sospirò Solean.

Erano due uomini, uno forse anche più alto di lui, l'altro decisamente più basso. Il più alto aveva una pelle più scura anche di quella di Laniya, e occhi neri, mentre l'altro aveva capelli di un castano ramato, occhi azzurri, e il volto pieno di lentiggini - sembrava molto più giovane, ma non per questo più impacciato.

Tuttavia, Solean fu presto certo di una cosa - non aveva mai visto nessuno di loro due, da quando era giunto a Palazzo, più di vent'anni prima.

Era una sensazione strana, della quale non era sicuro che avrebbe dovuto fidarsi, ma che non l'aveva ancora tradito, per quanto ricordasse - il che era tutto dire, in effetti. Ma era qualcosa di più istintivo, che non doveva per forza avere una spiegazione che lui riuscisse a dare a parole. Quelle due persone erano uno stimolo nuovo, per i suoi occhi e per la sua memoria.

Anche se non aveva riconosciuto Larenc, i Raksos, e persino Rozsalia, dopo aver perso la memoria, aveva saputo dire con certezza che loro non erano volti nuovi. Questa volta era diverso.

Il più basso portava un vassoio con del cibo, e fino a quel punto non vi era nulla di sospetto. Solean stesso aveva ordinato che gli venisse portato da mangiare nello studio, nel caso in cui non fosse sceso in sala da pranzo entro una certa ora.

«Grazie,» disse quindi Solean, con un sorriso, ma decise di metterlo alla prova. Vi era qualcosa di estremamente strano in quei due. E l'uniforme del più basso aveva maniche fin troppo lunghe, per lui. Possibile che non ne avesse trovata una della sua misura? «Matyas, vero?» finse di non ricordare bene il nome del servitore. La remota ipotesi che ci avesse davvero azzeccato sarebbe stata coordinata a un'espressione stupita su entrambi i loro volti, dal punto che Solean non aveva mai, in tutti quegli anni, tentato di ricordare anche solo uno dei nomi dei servitori di Palazzo - sapeva che avrebbe fallito.

Tuttavia, il Comandante continuò a recitare, grattandosi dietro la nuca, come in imbarazzo.

Il giovane, invece, annuì, come prendendo la palla al balzo. «Sì, Matyas.» confermò, sorridendo, e portandosi una mano al petto.

Solean ridacchiò ancora per un poco, ancora fingendosi imbarazzato. Poi smise, improvvisamente. E abbassò il tono di voce. «Sono smemorato, ma non stupido.» disse, e lo guardò negli occhi, tanto intensamente da fargli paura. Il giovane indietreggiò, lasciando cadere il vassoio, e i piatti, le pietanze e la bibita caddero sul tappeto. «Matyas è morto trent'anni fa.»

Il secondo servitore sfoderò una pistola, ma Solean aveva già creato l'illusione di Telli, il lupo bianco, che lo azzannò. A quel punto, il giovane provò ad attaccare, estraendo a sua volta una pistola da una fondina, ma Solean si riparò sotto la scrivania, e creò le illusioni degli altri tre lupi.

I due intrusi non ebbero l'opportunità di sparare nemmeno un colpo, prima che la porta venisse spalancata, urtando, nell'atto, il più alto dei due.

E ad aprirla era stata Laniya. «Comandante!» urlò, preoccupata, non vedendolo.

Quando i suoi occhi analizzarono la scena - i due servitori armati e circondati dai lupi - capì la situazione. O meglio, capì che i due non erano affatto servitori, ma gli intrusi di cui doveva avvertire Solean. La ragazza sfoderò allora a sua volta la propria arma.

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