Capitolo Tredici

74 17 178
                                    

18 marzo 1603

Era da un paio di giorni che Vinczel era ricoverato. Dalla finestra della sua stanza di ospedale aveva una vista abbastanza ampia verso ovest, e poteva scorgere persino il Palazzo Imperiale. Stava disteso nel letto, di solito a leggere, o a riposare. Non vi era molto da vedere, per i corridoi dell'ospedale di Wedenak, e in più la caviglia destra gli faceva ancora molto male.

Gliel'avevano fasciata, ora, così come avevano fasciato il suo polso destro, e tutto l'avambraccio. Le bruciature avrebbero impiegato qualche mese a guarire, ma sarebbe potuto tornare a casa molto presto.

I suoi genitori erano passati a trovarlo ogni mattina, dal giorno in cui era stato ricoverato, e se n'erano da poco andati. Erano entrambi Megert, e le loro rassicurazioni valevano più di quelle degli stessi dottori, per Vinczel. Gli avevano assicurato che tutto ciò che sarebbe rimasto del suo sfortunato incontro con la Comandante Fenice sarebbero state delle cicatrici, che avrebbe potuto coprire, o al contrario sfoggiare con orgoglio, per dimostrare di essere sopravvissuto alla Comandante degli Yksan.

Vinczel aveva sorriso, sostenendo, come suo solito, di non essere un guerriero, e di non avere tanto interesse a intimidire un ipotetico avversario con il suo aspetto. Suo padre gli aveva augurato una rapida guarigione, e sua madre lo aveva salutato con un bacio sulla fronte. Troppo in fretta, erano già spariti entrambi, e lo avevano lasciato solo con i suoi pensieri, e lo sguardo perso fuori dalla finestra.

Era stata Annekha a portarlo all'ospedale. Lo aveva accompagnato personalmente, anche se appena era arrivata al discensore, nel Vuoto, Dasdany Jancsi le aveva detto che sarebbero stati i Paranx Esploratori a occuparsi del suo compagno di squadra. Annekha aveva insistito per poterlo accompagnare, e nonostante Dasdany non fosse d'accordo, si era ritrovato costretto a desistere, quando uno dei Paranx – suo superiore – aveva invitato la Djabel del Dragone a seguirlo all'interno del discensore.

Anche se allora la sua mente era annebbiata dal dolore, il pensiero di Vinczel era subito andato alle conseguenze che questo avrebbe avuto sulla missione, ma il Paranx lo aveva rassicurato. Annekha era molto preoccupata, e nessuno avrebbe potuto incolparla di aver preso una scusa per abortire la missione – essendo la sua una squadra composta da due persone, non avrebbe comunque potuto continuare da sola.

Annekha lo aveva quindi affiancato fino a quando non erano entrambi arrivati all'ospedale di Wedenak, in ambulanza. Gli era stata accanto fino a che non lo avevano caricato su una barella e portato all'interno dell'ospedale, e lo aveva lasciato dicendogli che sarebbe venuta a trovarlo presto.

Solo che non lo aveva fatto.

Erano passati tre giorni da quando era stato ricoverato, e tra due sarebbe tornato a casa, ma Annekha non si era ancora fatta vedere. Faceva male, averle creduto e trovarsi tradito, ma gli sembrava sbagliato giungere a conclusioni affrettate, anche se, alla prova dei fatti, Annekha non era lì.

Pensò che fosse impegnata. Dopotutto, non poteva esserci soltanto lui, nei suoi pensieri, si disse. Eppure, nella sua mente forse fin troppo egoista, lo scenario non gli sarebbe dispiaciuto.

Ma no, che stava pensando? La parte più fredda e crudele della sua mente raggiunse anche il suo candido cuore, e cominciò a tingerlo di nero. Annekha era solo la sua compagna di squadra per una missione in cui era una fortuna che non fosse morto. E aveva senso che fosse riconoscente per questo, che aspettasse la giusta occasione per ringraziarla, perché, in effetti, l'ultima volta che l'aveva vista era troppo tramortito per farlo.

Ma che altro si aspettava? Che cosa pretendeva di più?

Annekha aveva la sua vita. Era la figlia dell'importantissimo Halosat Guerriero Maggiore Khilents Chayon, il braccio destro dell'Alto Imperatore. Forse anche Annekha si trovava al fronte a combattere, in quel momento, a guadagnare onore e gloria per la famiglia Khilents, e a rendere suo padre fiero di lei. Il che sembrava essere l'unica cosa che le stesse a cuore.

DjabelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora