Capitolo Novanta

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La guerra era stata vinta dai Tesrat. Il merito sarebbe andato indubbiamente a Dasdany Jancsi, per aver fermato e catturato il Comandante Lupo, ma anche ad Akilmas Djric sarebbero state riconosciute l'abilità e la prontezza che aveva dimostrato sul campo di battaglia, anche se era stata in realtà opera di Annekha - era stata lei ad avvisarlo di non muovere la nave, ed era quindi grazie a lei se tutto l'equipaggio e quindi la Squadra 904 era rimasta illesa durante la battaglia con il Leviatano.

Il fronte del Vuoto e quello di Magastor, che sembravano persi agli Yksan, erano tornati ora in possesso dell'Impero di Zena, come tutta la costa di Tenger. Tutti i portali onirici sarebbero stati chiusi, e nessun Ember avrebbe mai più messo piede a Noomadel.

L'intera città sarebbe stata evacuata - o, meglio, i Tesrat sarebbero intervenuti, catturando oppure facendo strage dei pochi soldati rimasti, e probabilmente recuperando i Megert. Avrebbero nascosto e giustificato la loro crudeltà sostenendo che erano gli Yksan a essere malvagi. Erano stati loro a tenere prigionieri i medici che non avevano fatto nient'altro che aiutarli fino a quel momento. Come se non fossero stati tutti dei traditori.

Il fronte Sud era stato impegnato a riprendersi da quello che era stato definito un attacco informatico, e non aveva mandato truppe a Revhely, come avrebbe dovuto, ma non ce n'era stato bisogno. Vinczel sorrise, quando gli venne comunicato - era stato il suo piano fin dal principio. L'unico motivo per cui aveva avuto bisogno dei mostri era stato perché, senza la tecnica degli attacchi simultanei, i Tesrat si sarebbero concentrati a Revhely, e avrebbero affondato le poche navi rimaste agli Yksan prima che lui avesse la possibilità di sventolare la bandiera bianca.

L'euforia generale sembrò dileguarsi nel momento in cui Annekha, Djric, Vinczel e Rozsalia salirono su un trasporto, per tornare a Neza. Djric e Annekha avevano deciso di assumersi la responsabilità del trasporto dei prigionieri, o meglio di quello che avevano definito il loro infiltrato e della Comandante Fenice, che si era spontaneamente consegnata a loro. Forse sarebbero stati più clementi, con lei.

Rozsalia e Vinczel stavano seduti nei sedili posteriori, Annekha era nel sedile del passeggero, e Djric era alla guida.

Quando pensava lucidamente, il giovane sapeva con certezza che Netis Rozsalia non aveva cattive intenzioni, che poteva fidarsi di Vinczel e che Annekha era ancora una sua amica, ma non riuscì ad allontanare completamente la sensazione di pericolo dal suo stomaco, quando si rese conto di trovarsi chiuso in un trasporto con tre Djabel, uno più potente dell'altro. Il più innocuo, a conti fatti, era Vinczel, con la sua tigre.

Ma no. Non doveva pensare ai Djabel come a dei nemici. Non doveva pensare ai Djabel come a dei mostri, a delle bestie incontrollabili. Erano umani. Erano Ember. Erano solo... diversi.

Ma la gente non la pensava più così. Nel giro di qualche mese, nessuno l'avrebbe pensata più così. Anche se erano stati effettivamente quei tre Djabel a risolvere la guerra, tutto il merito sarebbe andato agli Halosat che avevano guidato la difesa dei diversi fronti. Sarebbe andato al Tesrat Comandante Dasdany Jancsi, che aveva catturato il Comandante Lupo. Sarebbe andato a quelli che l'Alto Imperatore aveva definito Ember, e non a chi meritava davvero l'onore.

«Dovrai portarmi a Fogad?» chiese Rozsalia, a un tratto, rompendo il silenzio, distogliendo lo sguardo dal finestrino e rivolgendolo allo specchietto retrovisore, nel quale vedeva il riflesso di Djric.

Gli occhi castani del giovane Paranx sfrecciarono verso l'alto, e rimasero su Rozsalia per non più di una frazione di secondo, prima di ritornare a concentrarsi sulla strada sterrata di fronte a lui, ora una distesa innevata indistinguibile dal resto del paesaggio, delimitata da paletti a distanza di cento metri l'uno dall'altro. Quattro piccoli canali erano il segno che altri trasporti erano passati di lì, di recente. Djric avrebbe dovuto seguire quella strada ancora per qualche chilometro, prima di trovare l'asfalto, ma già nella nebbia all'orizzonte poteva distinguere i contorni della città di Neza.

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