Capitolo Tre

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La pioggia picchiettava sui vetri della stanza di Solean al Palazzo di Noomadel, sia nel mondo Reale che nel sogno nel quale era intrappolato da ormai più di vent'anni.

L'uomo era alla finestra, in piedi, e scostava una tenda con la mano sinistra, mentre osservava il paesaggio al di fuori, i prati verdi e le colline che si perdevano verso nord, dietro le quali si nascondeva il deserto, dove si trovavano Herenthel, Gejta e Azuda.

Era già scomparsa la neve, nonostante fosse soltanto marzo. A Neza doveva fare più freddo, invece. Faceva sempre più freddo, a Neza.

Non aveva intenzione di tornarci. Anche se quel sogno era una prigione, lo avrebbe preferito a quella città grigia e morta, piena di ricordi che pian piano lo stavano abbandonando.

Hann Solean aveva ricevuto uno sfregio cerebrale, molti anni addietro, che aveva danneggiato il suo serbatoio mnemonico, e aveva quindi drasticamente limitato la quantità di ricordi che la sua testa poteva contenere. Vi era stato un momento in cui tutto ciò che avrebbe saputo dire con certezza sarebbe stato il suo nome. Con il tempo aveva recuperato, ma nella storia della sua vita erano ancora molti i frammenti mancanti, troppi perché potesse ricomporne l'immagine, e poter dire con certezza che persona fosse stata, prima del ventotto marzo 1579.

Ma aveva smesso di cercare di colmare quel vuoto. Aveva smesso di cercare di riempire la fossa alla quale era ridotto il suo passato, e non aveva fatto altro che accumulare e accatastare ricordi e sensazioni nuove, concentrandosi sul futuro, guardando avanti piuttosto che indietro.

Faceva male, rivolgere il pensiero a ciò che non sarebbe mai più potuto essere. E vedeva già troppo dolore di fronte a sé, per poter osare recuperare anche quello che aveva lasciato alle sue spalle.

Ma non aveva paura di affrontare il dolore. Aveva paura di affrontare il dolore invano.

Era Rozsalia a essere spaventata. Netis Rozsalia, la Djabel della Fenice, e Comandante in carica dell'esercito degli Yksan, reggente del Regno di Noomadel, opposto all'Impero di Zena sul campo di battaglia ormai da secoli.

Era stato l'Alto Imperatore in persona ad assegnare prima a Solean e poi a lei il compito di guidare l'esercito avversario. La guerra intera non era altro che un'enorme messinscena, ma ancora i Tesrat e gli Yksan combattevano.

Rozsalia era seduta sul bordo del letto, e in silenzio accarezzava il copriletto di velluto marrone, ascoltando il suono della pioggia. Era spesso silenziosa, ma questa sua timidezza rendeva le sue parole ancora più preziose, e il tempo passato con lei di inestimabile valore.

Era solo grazie alla curiosa abilità di Rozsalia che i due erano in grado di incontrarsi in sogno. Erano entrambi Djabel, e ogni Djabel aveva in sé delle capacità in più rispetto alla creazione di una specifica illusione. Se queste capacità venivano risvegliate e affinate, il potere del Djabel cresceva ancora di più.

Si trattava sempre e comunque di abilità legate alla creazione e alla manipolazione di illusioni. E i sogni, come l'Alto Imperatore era stato in grado di capire, non erano altro che illusioni, quindi alcuni Djabel avrebbero potuto controllarli a loro piacimento. Rozsalia ci era riuscita, e ormai l'incontrarsi con Solean in sogno era l'unico modo che i due avevano di vedersi, di parlarsi, di toccarsi. Di amarsi.

Solean si avvicinava ormai ai quarantanove anni, ma, negli ultimi venti, nulla era riuscito a spegnere o anche solo ad affievolire il fuoco dell'amore che provava per Rozsalia. Era tutto ciò per cui avrebbe desiderato riaprire gli occhi. E lui era l'unico motivo per cui lei non avrebbe mai voluto svegliarsi.

«Che cosa è successo?» chiese a un tratto Solean, senza nemmeno voltarsi.

Rozsalia alzò lo sguardo di scatto, smettendo di accarezzare il copriletto, ma rimase in silenzio. Non aveva idea di come rispondere.

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