Capitolo Dodici

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Il cielo di Noomadel era più azzurro, ma le nuvole si stavano raggrumando, a est, sopra il mare, e presto avrebbero raggiunto la città, grazie al forte vento.

Nell'aria si respirava quel sale iroso, dell'inverno e dell'estate, per niente tipico di una mezza stagione, e si avvertiva l'umidità, che accentuava d'estate il caldo, e d'inverno il freddo. Combinato all'aria gelida che si insinuava sotto i vestiti, era come se il freddo si aggrappasse alle ossa, le penetrasse, e vi si stabilisse. Ed era destinato a restarvi, almeno finché non fosse tornato il sole.

La primavera sembrava essere a mesi di distanza, mentre i fiori avrebbero dovuto sbocciare in ogni momento, e tutti entro un paio di settimane. Le aiuole che costeggiavano il lastricato che conduceva al Palazzo di Noomadel erano invece vuote di tutti i loro colori, e solo un timido verde grigiastro osava farsi avanti. Gli alberi non avevano ancora riconquistato le loro foglie, ad eccezione dei cipressi, sempreverdi.

Rozsalia attraversò la piazza di marmo bianco, deserta, e salì la scalinata che conduceva al portone dorato e intarsiato del Palazzo. Le guardie la salutarono, e una di esse aprì la porta. La donna piegò solo la testa, in segno di ringraziamento, ed entrò.

I suoi passi riecheggiavano per l'androne, ma non erano i soli – qualcuno si aggirava al pianterreno.

Rozsalia non era preoccupata – i Megert, ad esempio, erano autorizzati a entrare, per badare a Solean, perennemente collegato alle macchine che lo tenevano in vita, nel suo letto, al piano superiore. La donna sfilò la giacca della propria uniforme, affidandola a un servitore, e si voltò verso la fonte di quel rumore di passi. Sembravano provenire dal corridoio di fronte a lei, quello che conduceva al soggiorno.

Rozsalia fece qualche passo, per poi rendersi conto che ora era l'unica a camminare sul marmo – l'altro doveva essere entrato proprio nel soggiorno, dove i tappeti attutivano il suono dei tacchi. Raggiunse la porta, che era rimasta socchiusa, ed entrò nella stanza, per trovarvi un Megert, in piedi accanto al camino. Proprio come si aspettava.

Era un uomo sulla cinquantina, forse di qualche anno maggiore di Solean, i cui capelli erano già stati ingrigiti dal tempo, così come la sua barba. Portava un paio di occhiali, la montatura sottile, quasi invisibile, e stava con le braccia incrociate al petto, come se stesse rimuginando su qualcosa.

«Comandante» salutò Rozsalia, appena la notò, passando a una posa più curata, portandosi una mano dietro la schiena e inchinandosi. «Ho una notizia per Voi.»

Rozsalia si preoccupò. «Di che si tratta?» chiese, con voce gentile, ma anche timida. Troppo timida per appartenere a una Comandante.

Il Megert si accorse della sua inquietudine, e sorrise appena, prima di continuare. «Sono stato incaricato di avvisarvi del cambiamento nelle condizioni del Comandante Lupo.»

Rozsalia si portò una mano alla bocca, terrorizzata dall'eventualità. Fece qualche passo verso il Megert, ma non per raggiungere lui, quanto per appoggiarsi allo schienale di una delle due poltrone di fronte al fuoco, per sostenersi. Il ritmo del suo respiro si fece irregolare, e Rozsalia sentì un vuoto nel suo petto e nel suo stomaco, mentre la sua mente formulava le peggiori ipotesi, mostrandole i più orrendi scenari.

Nel giro di pochi secondi, si convinse che Solean fosse morto.

«È ancora... nella sua stanza?» ebbe il coraggio di chiedere, ma titubante, temendo di non potergli nemmeno dire addio.

Aveva già perso l'ultima volta in cui gli aveva parlato, nel mondo Reale, tanti anni prima. Sapeva di non aver riservato abbastanza importanza a quel momento, quando ancora credeva che fosse partito per Noomadel soltanto per un certo periodo di tempo. Quando ancora era così ingenua da credere che bastasse desiderare con tutta se stessa di incontrarlo, per riuscirci davvero.

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