Prologo II

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7 febbraio 1584

No.

Kerol riconosceva quel movimento tra le coperte. Chayon era ancora sveglio, ma non stava cercando di dormire.

No.

Tentò di stabilizzare il suo respiro tremante. Provò a tirare lunghi sospiri, a concentrarsi sul nulla che vedeva di fronte a sé, anche quando i suoi occhi erano aperti.

Non vi era nulla, e Chayon doveva essersi mosso nel sonno. Ora era fermo.

No.

Lo sentì muoversi di nuovo, e avvicinarsi a lei. No, urlò ancora, dentro la sua testa.

Ma non poteva permettersi di emettere un suono. Neanche quando lui afferrò la sua spalla con la mano sinistra, e lei non poté evitare di sobbalzare per la veemenza di quel gesto. Anche se non avesse semplicemente finto di stare dormendo, si sarebbe svegliata, e Chayon non si sarebbe di certo preoccupato di averla disturbata.

Anche se dormivano nello stesso letto, anche se erano sposati, Kerol era l'ultimo dei suoi pensieri. Finché non diventava il primo, e il solo.

Ma, ancora, non era lei, ciò a cui Khilents Chayon stava pensando. Era al suo corpo. Era alla soddisfazione che quel corpo gli avrebbe dato, una volta che avesse finito di umiliarlo e seviziarlo. E quindi, ancora, Chayon non stava pensando a Kerol. Stava pensando a se stesso.

La mano di Chayon scivolò giù dalla sua spalla, seguendo il suo braccio, ma Kerol sarebbe stata stupida a pensare che volesse avvicinarsi o stringerla a sé.

No, ripeteva, nei suoi pensieri. A quella stupida voce che si ostinava a sperare, e a cercare dolcezza in quell'uomo freddo come l'acciaio, e all'imminenza di ciò che stava accadendo.

Chayon strinse il suo polso. Kerol non tentò nemmeno di liberarsi. Ormai era iniziato. Tutto ciò che poteva sperare era che il tutto finisse al più presto. La giovane donna scrollò le spalle, istintivamente, ma presto si rassegnò.

Chayon la costrinse a sdraiarsi sulla schiena, e si portò sopra di lei, afferrando anche l'altro polso, bloccandola.

Una ventata d'aria fredda scivolò su di lei, a causa del movimento tra le coperte, e la fece rabbrividire. Kerol voltò la testa da un lato, in attesa del peggio.

Chayon non era solo un guerriero, ma la guerra stessa. Il suo odore, di nebbia e polvere da sparo, era soffocante e permanente. Le sue mani erano fredde, la sua presa ferrea. Le sue labbra lasciavano una scia di fuoco sulla sua pelle, ma non aveva nulla a che vedere con la passione, né con il desiderio. Erano le fiamme dell'Inferno, che uccidevano e condannavano.

E Kerol non poteva fare a meno di pregare che quella tortura finisse al più presto, ogni volta. La paura la costringeva ad ansimare, mentre i suoi occhi ormai vuoti e spenti vagavano per il nulla e il buio della stanza.

Non poteva più vedere. E ogni volta si chiedeva se fosse meglio così. E ogni volta si rispondeva di no. Perché avrebbe preferito guardare quel mostro negli occhi, fissarlo fino ad arrivare a toccare il fondo della sua anima consumata e persa, piuttosto che non sapere quale sarebbe stata la sua prossima mossa, e tremare, impaurita.

Confinata nella prigione che era il nulla per sempre di fronte ai suoi occhi. Bloccata dalle mani di Chayon attorno ai suoi polsi. Reclusa nella cella che era quella stanza buia. Rinchiusa nella gabbia che era la sua vita.

Le mani di Chayon si strinsero più forte attorno ai suoi polsi. Kerol sapeva che cosa aspettarsi, ora. Le sarebbe venuto più vicino. Avrebbe sussurrato al suo orecchio parole che l'avrebbero spaventata, che le avrebbero portato via ogni speranza che ciò che le stava facendo avesse anche solo lontanamente radici in un sentimento diverso dal dovere verso l'Alto Imperatore, che gli aveva ordinato di sposarla, e verso i suoi istinti più bestiali.

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