Capitolo Sessantasei

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Una volta attraversato il portale e giunta a Telei, Rozsalia si guardò attorno, nervosa. Era ancora buio, e la foschia che preannunciava l'alba invernale aleggiava sul suolo, impedendole di vedere la punta dei suoi stivali. La spilla che Solean le aveva regalato ora stava al colletto della sua camicia, ed era nascosta e protetta dal resto dei suoi indumenti, come un secondo cuore.

Tremò, sia di freddo che di paura – quel posto era spettrale.

Gli alberi attorno al portale erano spogli, le loro foglie portate via da un vento proveniente da molto lontano, che ancora però soffiava e turbinava attorno a lei, scompigliando di tanto in tanto alcune ciocche dei suoi capelli. Il terreno era duro, ghiacciato, e Rozsalia sentiva freddo alle punte dei piedi, nonostante stesse indossando gli stivali più pesanti in suo possesso.

Non era più abituata al freddo di Neza. Inoltre, si trovava molto più a nord della città gelida e rigida dalla quale proveniva.

Avanzò lentamente, il più silenziosamente possibile, ma i suoi piedi scrocchiarono sul terreno non appena calpestò un cumulo di neve caduto la sera precedente, e ghiacciato durante la notte.

Sospirò. Non aveva scelta che percorrere quella strada, e la nebbia bassa le impediva di distinguere i particolari sul terreno. Avrebbe potuto esserci una vera e propria trappola, e lei non ne avrebbe avuto il minimo sentore.

Con cautela, si avvicinò al rifugio. Vi aveva alloggiato, ai tempi, poco prima di partire per il suo lungo viaggio verso est. Provò una sorta di nostalgia per quei giorni, ma sapeva bene che non poteva distrarsi, al momento. I suoi sensi erano acuti, i suoi nervi tesi. Il silenzio non era mai stato amico di quei boschi, per quanto ricordava. L'ultima volta che ogni suono era svanito da Telei, era stato durante un'eclisse di Erran. I mostri erano evasi dal Vuoto, anche dal margine nord del cratere, che si trovava a poche decine di metri dal rifugio, ed erano andati in lungo e in largo a cercare la morte, verso nord. Ma prima della morte, avevano trovato Rozsalia. Una Djabel. Una loro simile.

Avevano attaccato la piccola casa, danneggiando le pareti di legno già marce per metà, sfondato alcune finestre, e cercato in ogni modo di arrivare a lei. Ma Rozsalia aveva combattuto. Aveva ucciso i mostri. E il risultato l'aveva spaventata.

Si era disfatta dei cadaveri, gettandoli nel Vuoto, ed era rimasta per giorni a piangere, aspettandosi una punizione, per essere diventata un'assassina.

Il silenzio restava. Certo, era inverno, e il sole non era ancora sorto, ma Rozsalia ricordava perfettamente il canto degli uccelli, di primo mattino. Vi era qualcosa che li turbava. Qualcosa che li spaventava. E non poteva trattarsi di lei, silenziosa com'era.

Forse il fatto di aver usato il portale, pensò. Uno scintillio di luce, un breve suono innaturale. Ma così come potevano averlo sentito i corvi avrebbero potuto sentirlo gli Ember che si trovavano nei paraggi.

Non vi erano Ember nei paraggi, si disse però Rozsalia. Tutti i Ricognitori Imperiali che aveva visto si aspettavano un attacco a Wedenak, ed era lì che si erano diretti.

Riprese a camminare, adocchiando la nebbia, e alzando poi gli occhi ai rami che si intrecciavano, in contrasto con il cielo sereno. Le nuvole che ricoprivano Neza non erano giunte fino a Telei, e il vento spirava verso sud-ovest, quindi più verso la città che il contrario. Non sarebbero arrivate a tormentarla.

Rozsalia si strinse nel suo cappotto di yak, lo stesso che aveva da quando aveva viaggiato verso Noomadel, ottenuto come dono dai popoli delle montagne che aveva incontrato lungo la strada. Non l'aveva praticamente più indossato, da allora, poiché limitava i suoi movimenti nel caso in cui si trovasse sul campo di battaglia, e perché era un ricordo, e non avrebbe lasciato che si rovinasse. Ma le teneva ben caldo, ed era vantaggioso, ora, con un inverno così rigido, mentre il suo respiro formava minuscole nuvole davanti al suo naso, che cominciava ad arrossarsi.

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