Capitolo Sessantaquattro

53 12 121
                                    

«Lady Kerol!» Mikhay accorse, e in un paio di passi svelti fu al suo fianco. Il sogno s'infranse.

«Lasciami andare.» disse lei, con voce calma, una mano sul serramento e una sul davanzale, pronta a darsi la spinta.

«No, Lady Kerol.» si impuntò Mikhay, «Dovete pensare a Vostra figlia! E a Vostro marito, che—» si interruppe, appena capì che cosa fosse successo. Khilents Chayon era ancora disteso nel suo letto, ma la macchina non registrava alcun battito. Per questo Mikhay era accorso. Ma presto il Djabel si sarebbe tramutato nella sua illusione. E sarebbe stato pericoloso per tutti, all'ospedale.

«Sono stata io, ovviamente.» confessò Kerol, senza alcuna difficoltà. Una folata d'aria fredda, invernale, entrò dalla finestra, e fece sbattere la porta che era rimasta aperta. Fece ondeggiare i suoi capelli castani, di quel colore non più ricco come un tempo. Sembrò ringiovanirla, persino.

«Lady Annekha avrà bisogno di Voi, ora più che mai.» continuò Mikhay, ignorando la sua confessione, ignorando tutto il male in lei, «Vostra figlia ha già dovuto piangere la sua migliore amica. Non portatele altri lutti.» la pregò.

Troppo tardi, pensò Kerol, e nulla si mosse in lei, quando parlò. «Annekha non è mia figlia.»

Mikhay temette che anche il proprio cuore avesse smesso di battere, in quel momento. Che quel beep in sottofondo provenisse da una macchina collegata a lui. Che il suo petto si fosse svuotato di aria e di vita. «Come no?» domandò una sorta di spiegazione, senza sapere che parole utilizzare.

«Non è stata una mia scelta, quella di metterla al mondo.» rispose Kerol, crudele, «O serve che te lo ricordi? Perché te lo ricordi, vero?» la sua voce si tinse irrimediabilmente di rabbia, «Quando urlavo il tuo nome, e urlavo aiuto, e tu stavi dall'altro lato della porta, zitto, immobile, senza fiatare.»

Mikhay annuì, istintivamente, colpevole, i suoi occhi traboccanti di un rimorso che si era sciolto in lacrime silenziose.

«Non ti vedo.» disse Kerol. Ma l'aveva sentito. Conosceva l'effetto che le sue parole avevano avuto sul maggiordomo. Eppure, per lei non era abbastanza. Voleva sentirglielo dire. Voleva che lo ammettesse.

«Lo ricordo, Lady Kerol.» ammise Mikhay, la sua voce roca, spenta, buia.

«Allora lo sai anche tu che cosa intendo.» disse Kerol. E ora nemmeno dai suoi occhi poteva fermare le lacrime.

Perché Annekha era innocente, avevano ragione. Ma lei era stanca. Era troppo stanca. Ed era egoista, lo era sempre stata, non aveva mai tentato di nasconderlo. E la sua vendetta sulla vita intera era più importante di sua figlia. Per questo cercava di convincersi che non lo fosse.

«Annekha non ha nulla che sia veramente mio.» continuò a dire, «Annekha non è la mia bambina. Non lo è mai stata. Annekha è figlia della tua omertà.»

Soffocò sul nascere le lacrime, il nodo che si stringeva attorno alla sua gola, così come aveva soffocato suo marito, mentre lui si era aggrappato al suo polso.

Sospirò. «Ora posso andarmene in pace.» disse ancora, «Non ti darò più fastidio, Mikhay.» si voltò appena, a sorridergli.

«Ma Voi non mi date fastidio, Lady Kerol!» cercò di convincerla lui, senza ancora osare avvicinarsi troppo, ma compiendo un passo in avanti, «Io sono davvero onorato della mia posizione, del mio lavoro, della famiglia che servo da—»

«Famiglia?» lo interruppe Kerol, la sua voce ora acida. Poi si voltò, come a guardarlo, dirigendo vagamente gli occhi nella sua direzione. «Mikhay... Sembra che tu sia più cieco di me.»

«Lady Kerol!» il maggiordomo raggiunse la finestra, non appena la donna mise il primo piede sul davanzale.

Ora era pronta alla caduta. Gli odori e i rumori provenienti dalla strada sottostante la investirono con tutta la loro forza, con tutta la loro vita. E rischiò di farsi strada, in lei, un ripensamento. Restare ancora un poco. Solo un poco. Come quando, da giovane, all'Accademia, alla mattina era solita ritardare la sveglia di quei maledetti cinque minuti, che non avrebbero mai aggiunto o tolto nulla all'intera giornata. Le risultava solo più difficile alzarsi una volta che erano finiti.

DjabelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora