Capitolo Sessantacinque

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2 febbraio 1604

La neve aveva cominciato a cadere, a Noomadel. Imbiancava i tetti, le strade e i giardini. Le nuvole nere nel cielo notturno sembravano le infinite dita di una mano infernale, ed era come se si stessero sfaldando, in cenere e polvere che ricadeva sulla città.

Alcune delle luci che costeggiavano le strade erano già state ricoperte dalla neve, e la loro luce era soffusa, le tonalità più gialle in contrasto con il bianco.

Il vento, gelido, bussava a ogni porta, insistente, scivolava lungo i muri delle case e le finestre e si infiltrava dai serramenti.

Solean aveva suggerito a Rozsalia di passare più tempo in salotto, accanto al fuoco, ma la donna preferiva la comodità della camera da letto. Soprattutto quando si trattava di parlare con lui.

Era appena rientrato dallo studio. Ancora, aveva mandato l'avanscoperta fin nel cuore della città di Neza. La squadra di Veletlen Laniya stava facendo un ottimo lavoro. Era come avere dei veri e propri occhi all'interno dell'Impero di Zena.

Tuttavia, quella sembrava essere l'unica buona notizia. Non avevano più uomini. Nell'ultimo mese, avevano cominciato a rubare dispositivi dal fronte Sud, sempre tramite l'avanscoperta, in un distaccamento subordinato all'unità di Laniya. Era stata lei a coordinare i diversi furti, ed erano andati quasi tutti a buon fine.

In questo modo, Noomadel poteva sopperire alla mancanza di uomini, utilizzando i droni e le macchine da guerra anche sugli altri fronti, anche se non avevano più molto da difendere. Potevano utilizzare le macchine solo al fronte Sud e al fronte del Vuoto. Oltre a quei due, rimaneva aperto il conflitto al porto di Revhely.

Solean stava facendo del suo meglio. Tuttavia, quando le navi degli Yksan venivano danneggiate, il loro esercito si indeboliva irrimediabilmente. Non vi era più personale a Noomadel che costruisse, assemblasse, o riparasse le navi. E stavano anche finendo le scorte di carburante, che non veniva più fornito da Zena.

Per Solean, era chiaro che l'Alto Imperatore volesse mettere fine alla guerra, e volesse che gli Ember si sentissero fieri e forti, per aver trionfato sui loro nemici. Questo avrebbe portato alla loro felicità, ed era tutto ciò che interessasse all'Imperatore.

«Non pensi anche tu che sia una mossa troppo sconsiderata?» domandò Rozsalia, infilandosi sotto le coperte, per ripararsi dal freddo, ma rimanendo seduta, la schiena appoggiata a un cuscino, posto contro la testiera del letto, «Voglio dire, dopo la fine della guerra, come farà l'Imperatore a tenere gli Ember impegnati? A tenere le industrie impegnate?»

«Ne inizierà un'altra.» rispose Solean, spogliando la camicia, e gettandola su una sedia, «E sarà contro i mostri, probabilmente.» aggiunse, costeggiando il letto, per poi entrarvi a sua volta, ma sdraiandosi subito, gli occhi rivolti ora verso il soffitto.

«Ma i mostri sono Djabel, in realtà.» si preoccupò Rozsalia, guardandolo dall'alto.

«Be', terranno quegli stupidi Ember impegnati per un bel po', allora.» disse Solean, avvilendosi come Ember, con quelle parole, come dimenticandosi di essere a sua volta un essere umano.

«Spero di non essere più qui, quando arriverà quel giorno.» mormorò Rozsalia, portandosi una mano sul cuore, e una sulla pancia. Sapeva quanto pericolosi e aggressivi gli Ember potessero diventare. Li aveva visti combattere ciecamente per il loro Imperatore, assetati di sangue. Li aveva visti morire per lui.

Combattere qualcosa ci rende più simili a esso, perché siamo costretti a pensare come il nemico, se vogliamo sconfiggerlo. Combattere gli Yksan aveva reso gli Ember ciechi. Combattere i mostri avrebbe scatenato i loro istinti più profondi e oscuri.

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