Capitolo Ottantadue

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Vinczel uscì dalla caverna quando il cielo era ancora scuro. Il sole sarebbe dovuto essere alle sue spalle, ma nella conca che era il Vuoto non era ancora giunto un singolo raggio di luce.

I suoi passi scrocchiarono rumorosamente sulla brina che ricopriva il prato. Il giovane camminò lentamente, fino alla pietra sulla quale si sedeva sempre a pensare, ad attendere.

Presto, i mostri lo accerchiarono. Prima i Barghest, che proprio come cani fedeli al loro padrone accorrevano non appena metteva piede fuori dalla caverna, e che lo seguivano ovunque andasse, a meno che non ordinasse loro di fare il contrario. Arrivarono poi Grifoni, Arpie, Manticore, Chimere, Centauri, Minotauri, e altri mostri dei quali Vinczel non conosceva nemmeno il nome, né avrebbe saputo definire. Vi erano anche un paio di Ippogrifi, ma quelli erano mostri innocui. Gli erano utili solo a spaventare i Paranx Esploratori a sud, quando si avventurava in quella direzione alla ricerca di cibo.

Ma non era certo perché erano affezionati a lui che i mostri gli si avvicinavano tanto – al contrario. I mostri rimanevano esseri famelici, e potevano sentire l'odore di un Djabel a miglia di distanza. E soprattutto in una zona tanto sperduta, tanto a nord, a qualche passo da Telei, i mostri erano più affamati.

Ciò che Vinczel stava facendo, in quel preciso momento, era convincerli tutti quanti a restare a debita distanza dalla caverna nella quale Annekha stava ancora riposando. Stava quindi ordinando a ognuno di quei mostri di reprimere i propri istinti, di non muovere un muscolo. E non soccombere a un richiamo naturale, tanto radicato in loro, era tanto difficile per i mostri quanto lo era per Vinczel convincerli a farlo.

I mostri non pensavano razionalmente. Non esistevano parole di miele che Vinczel avrebbe potuto sussurrare alle loro orecchie per persuaderli ad andarsene. I mostri sarebbero restati. Sarebbe stato lui a doversene andare, e quando lo avrebbe fatto, Annekha sarebbe stata in serio pericolo.

La giovane donna, proprio in quel momento, uscì cautamente dalla caverna, e si avvicinò a Vinczel, adocchiando i mostri a destra e a sinistra del grande masso sul quale lui era seduto, che si tenevano a distanza. Ma i loro occhi erano puntati su di lei. Lei era la Djabel del Dragone, la Djabel più potente presente nel Vuoto, forse su Zena intera. Attraeva tutti i mostri a sé, come avrebbe fatto una calamita.

«Vinczel,» disse il suo nome, raggiungendolo, e sedendosi accanto a lui. Sul suo trono.

Il giovane continuò a tenere lo sguardo fisso verso l'orizzonte, verso ovest. Nemmeno il vento freddo lo scuoteva, mentre mandava brividi infiniti lungo la schiena di Annekha.

«Li stai tenendo a bada per me?» chiese lei, a bassa voce.

Vinczel fece di sì con la testa, senza riuscire a parlare, troppo concentrato. Il suo viso era per metà nascosto dalla sciarpa, e mostrava solo i suoi occhi neri, ma non a lei. Annekha si concentrò sulle sue ciglia, lunghe, scure e folte, che sbattevano di tanto in tanto, più spesso quando una raffica di vento agitava i ciuffi di capelli della frangia del ragazzo.

All'improvviso, Vinczel scattò in piedi. «Andatevene.» sussurrò, così piano che solo Annekha poté udire quella parola. Distese un braccio, e indicò la pianura di fronte a sé.

I mostri, come se fossero stati tutti dei cagnolini ingannati dal lancio di un bastone, si diressero verso ovest, e si rincorsero, per essere i primi a raggiungere il punto all'orizzonte indicato da Vinczel.

Annekha assistette meravigliata a quel loro inaspettato esodo. I mostri più veloci erano senza dubbio le Arpie, seguite dai Grifoni, dagli Ippogrifi e altri mostri volanti. Sulla terra, invece, i più rapidi erano i Barghest, poi i Centauri, le Manticore, le Chimere, e per ultimi i Minotauri. Vi erano molti altri mostri, nella mischia, ma le loro forme erano contorte, sbagliate. Erano le corruzioni più vecchie, forse. Djabel morti forse da centinaia di anni, rimasti troppo a nord per riuscire a raggiungere Tenger e le sue onde durante un'eclisse di Erran.

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