Capitolo Trentatré

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22 ottobre 1603

Le cinque del pomeriggio erano l'ora in cui Mikhay era incaricato di somministrare i sonniferi alla signora Khilents.

Annekha aveva passato le ultime giornate a cercare di capire dove il maggiordomo custodisse le chiavi di casa, e il giorno precedente lo aveva capito – sotto un vaso di bonsai artificiale che si trovava sul comò accanto al letto, nella sua stanza. Mikhay non chiudeva mai a chiave la porta della propria camera, né dall'esterno né dall'interno, quindi Annekha aveva potuto prendere un momento durante il quale l'uomo si stava occupando di sua madre per intrufolarvisi e commettere il suo piccolo furto.

Il maggiordomo, poi, teneva chiusa la porta d'ingresso dall'interno per tutto il tempo, ed era solo in via eccezionale che la apriva. Questo era successo solo due volte, nei giorni precedenti, ed era stato soltanto perché Mikhay stesso era dovuto uscire a svolgere commissioni per conto del padrone di casa, o a fare compere per la famiglia Khilents. E, in entrambi i casi, la porta si era aperta solo per richiudersi prontamente dietro l'esile figura del vecchio servitore.

Questo aveva fatto capire ad Annekha che non avrebbe dovuto attendere un'occasione – avrebbe dovuto crearsene una.

Il suo piano aveva avuto bisogno di due giorni per essere messo in atto – giorni in cui Mikhay non aveva avuto bisogno di uscire di casa. Il giorno precedente, Annekha aveva atteso pazientemente le cinque del pomeriggio, era entrata e uscita dalla camera di Mikhay senza destare alcun sospetto, rubando le chiavi di casa. La serata era proseguita come al solito, e il maggiordomo non si era accorto del furto.

Annekha si era messa in ascolto, in attesa del momento perfetto. Era rimasta in soggiorno, seduta su una poltrona, fingendo di leggere un qualche romanzo. E, non appena aveva sentito nominare la parola medicina, si era come congelata.

Il suo respiro si era fatto impercettibile, i suoi movimenti silenziosi e, proprio come un predatore in agguato, Annekha aveva atteso, mentre l'adrenalina scorreva nelle sue vene.

Una volta che sia sua madre che il maggiordomo erano spariti dietro il muro del soggiorno, entrando quindi nella sala da pranzo, la giovane si era alzata dalla poltrona, aveva riposto il romanzo su un tavolino, e si era avvicinata alla porta. Cauta e silenziosa, aveva infilato la chiave nella serratura, e con un colpo secco l'aveva sbloccata. Non aveva atteso alcuna reazione, ed era uscita.

Poi, come per aggiungere al danno anche la beffa, aveva richiuso la porta dall'esterno. Anche se Mikhay si fosse accorto di ciò che era accaduto, quindi, non avrebbe potuto fare nulla, almeno fino a quando non fosse tornato suo padre, che era in possesso dell'altro mazzo di chiavi.

Era lui a essere prigioniero, ora. E, per quanto ad Annekha potesse dispiacere, sapeva che era una misura necessaria. Mikhay le voleva bene, ma dava ascolto prima di tutto a suo padre. Non poteva convincerlo a fare uno strappo alle regole per lei, o sarebbe stato peggio per il povero maggiordomo.

Non sarebbe stato giusto affibbiargli delle colpe. Aveva fatto bene – rendendolo incapace di reagire, aveva anche reso Mikhay innocente. La sua unica colpa poteva essere considerata quella di non aver custodito le chiavi con abbastanza cura, ma era un errore perdonabile, anche se di certo non da Khilents Chayon.

Annekha cercò di non fare caso al senso di colpa che sentiva, e fece del suo meglio per accantonarlo, trovando ulteriori e sempre più fantasiose giustificazioni al suo comportamento. Che scusa aveva, dopotutto? Ammettere che il suo intento era quello di cercare Vinczel avrebbe significato restare confinata in casa a tempo indeterminato.

Suo padre sarebbe dovuto rimanere all'oscuro di tutto, o avrebbero passato guai sia lei che Mikhay, e ovviamente sua madre che – ora Annekha capiva – non era altro che la valvola di sfogo del marito.

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