Capitolo Quaranta

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I passi di Vinczel erano svelti sulle scale, come se avesse fretta di fuggire, timore di essere scoperto. Si sentiva un criminale, un clandestino nel mondo che aveva sempre abitato, un profugo nel luogo che aveva sempre chiamato casa. Era come se stesse per tornare, in segreto, al suo vero luogo d'origine. Ed era come se il suo vero luogo d'origine fosse il Vuoto.

Appoggiò la sua pesante borsa accanto allo stipite della porta d'ingresso, in prossimità della scarpiera. Lì si trovavano gli stivali pesanti, che avrebbe indossato poco prima di uscire, i suoi mocassini – parte dell'uniforme che indossava quando andava all'Accademia – e due paia di scarpe da ginnastica. In effetti, ora come ora, il suo aspetto era alquanto ridicolo – un Paranx Ricognitore in un paio di vistose e soffici ciabatte azzurre.

Vinczel non sostenne il suo riflesso per più di una frazione di secondo. Si voltò verso la cucina, la prima porta sulla sinistra, aperta, invitante come l'odore della colazione che sua madre stava preparando.

Gli Ilyun sapevano che stava per andarsene. Vinczel non aveva nulla da nascondere ai suoi genitori. Nulla, tranne quel gravoso segreto che – già lo sentiva – sarebbe stato la sua rovina.

Si costrinse a sedersi a tavola. Suo padre, come al solito, stava spalmando del burro su una fetta biscottata. Sua madre, invece, stava per portare in tavola il tè. Vinczel le sorrise, e lei ricambiò. L'aroma che fuoriusciva dalla teiera era quello dei frutti di bosco.

La colazione proseguì in silenzio, e con una sorta di malinconia precoce – agli Ilyun sarebbe indubbiamente mancata la presenza del giovane divoratore di biscotti fatti in casa. E, senza più lui a mangiarli, Hayna non si sarebbe più sentita tanto apprezzata.

Vinczel combatté per mantenere lo sguardo fisso sul suo piatto, e tentò con tutte le sue forze di concentrarsi sul movimento del cucchiaino nella sua tazza, ma fallì. I suoi occhi sorvolarono la tavola, e il suo sguardo andò a posarsi prima sulle mensole, straripanti di chicchere e barattoli pieni di spezie. Poi si spostò sui mobili della cucina, più in basso – la dispensa accanto alla finestra era ornata da una tovaglia a quadretti bianchi e rossi, e su di essa si trovava un cesto di vimini, nel quale Hayna riponeva gli avanzi dei suoi biscotti o le sue marmellate.

Senza di lui a divorare tutto quanto, il cesto si sarebbe riempito molto più spesso, pensò Vinczel. Hayna avrebbe potuto persino pensare di regalare i suoi prodotti ai vicini di casa. O peggio, avrebbe potuto smettere di farli.

La prospettiva terrorizzò il giovane, che abbassò di nuovo lo sguardo al suo piatto, per trovarlo vuoto. Allora prese un altro biscotto, lo inzuppò nel tè, e se lo portò alla bocca. Era dolce. Forse fin troppo dolce, ma non avrebbe osato commentare negativamente il frutto di tanto amore. Lo apprezzava. E tentò di imprimere nei suoi ricordi quel sapore, anche se sapeva che non avrebbe mai potuto recuperare quella sensazione.

Una volta sull'uscio, fu tentato di chiedere di potersi portare via i biscotti che erano avanzati, ma non fu necessario – Hayna li infilò in una tasca laterale del suo zaino, avvolti in un tovagliolo di carta.

Vinczel portava una pesante borsa sulle spalle. Ed era piena della sua vita, o almeno di tutte le parti della sua vita dalle quali sentiva di non potersi assolutamente separare. Ed erano, per lo più, oggetti essenziali alla sua sopravvivenza nel Vuoto, come il voluminoso sacco a pelo e una scorta di provviste che gli sarebbe bastata per un paio di mesi.

Nonostante gli anni, non si sentiva particolarmente legato a quell'appartamento, alla sua stanza, ai suoi averi. Dopotutto, quando era stato portato a Noomadel, non aveva nulla di suo, ed era sopravvissuto ugualmente. A mancargli erano state le persone a lui care. Ma quelle mancano sempre.

Gli sarebbero mancate le sensazioni, le situazioni. Non era la cucina stessa a evocare in lui quel malumore, quella nostalgia, ma la consapevolezza che se mai vi fosse tornato, non sarebbe stato nella medesima situazione in cui si era ritrovato per tutti quegli anni.

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