Capitolo Sessanta

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2 novembre 1603

Vinczel avrebbe impiegato circa tre giorni a coprire la distanza che con il Dragone lui e Annekha avevano percorso in un paio d'ore.

Le gambe gli sembravano bruciare, mentre si costringeva a trascinarsi in salita, verso la scogliera di Fersenvar. Aveva camminato almeno per otto ore, da quella mattina. Il giorno prima l'aveva passato a camminare, e così quello precedente, una volta corso abbastanza lontano dal campo di battaglia.

Tirò su con il naso, e si coprì il volto con la sciarpa. Il freddo della sera cominciava a farsi strada nelle sue ossa, inumidendole e appesantendole, e qualsiasi fuoco fosse riuscito ad accendere sotto quella persistente pioggerella non sarebbe riuscito a scaldarlo.

Come se non bastasse, poi, il vento continuava a mandargli un ciuffo di capelli negli occhi, e si infilava sotto la sua giacca, entrando dalle maniche. Spirava da sud, e da Tenger, trascinando con sé l'odore acre dei pesci morti – tipico del mare grigio.

Come i colori del cielo stavano passando da un grigio chiaro a uno più rosato, anche il terreno stava cambiando sotto i suoi piedi, quasi impercettibilmente. La costa si stava facendo più dura e scoscesa, e pian piano Vinczel si stava alzando di quota. Quando avrebbe raggiunto la cima del promontorio di Fersenvar, poi, avrebbe dovuto trovare un luogo abbastanza riparato dal vento, come una qualche insenatura. Da lì avrebbe avuto una vista ottimale della costa, e se fosse stato abbastanza fortunato non avrebbe nemmeno dovuto camminare molto per trovare un rifugio per la notte.

Le sue provviste non gli sarebbero bastate a lungo, e una volta giunto nel Vuoto, avrebbe dovuto ingegnarsi per procurarsi da mangiare. Perché non poteva cacciare i mostri. I mostri erano Ember. Non poteva farlo. Non importava il grado della sua disperazione.

Avrebbe dovuto probabilmente addentrarsi verso il centro del cratere del Vuoto. Quella sarebbe dovuta essere una pianura, come quelle attorno a Noomadel, prima delle colline, in cui quindi avrebbe trovato la vita. Inoltre, più si scostava dalle pareti, meno era probabile incontrare dei mostri, e più luce raggiungeva il terreno. I mostri dovevano amare l'oscurità e il freddo delle caverne, ma ancora Vinczel non avrebbe saputo spiegare il perché.

Non aveva un piano di riserva, se le cose si fossero messe male, ma era abbastanza determinato da continuare a camminare anche per mesi, se necessario. Era pronto a compiere lo stesso itinerario che aveva compiuto sua zia tanti anni prima, per raggiungere Noomadel, partendo da Telei. Ci aveva impiegato più di un anno, ma ci era riuscita.

E poi, Vinczel sarebbe dovuto arrivare soltanto a Telei. Non era poi così distante, continuava a ripetersi, e lì sarebbe stato abbastanza vicino al portale onirico che conduceva ad Azuda, la cittadina fantasma che a sua volta era collegata con Noomadel. Se avesse avuto bisogno di provviste, avrebbe potuto chiedere aiuto a Rozsalia. Sapeva che lo avrebbe aiutato, senza pretendere nulla in cambio. Fino a che non le sarebbe servito davvero, si disse poi.

Doveva rendersi autosufficiente, in qualche modo. Avrebbe potuto sfruttare i mostri, e chiedere a loro di procurargli da mangiare, magari. Un Barghest era un cane da caccia, se addestrato a dovere, dopotutto.

Mentre rifletteva, Vinczel scuoteva la testa, mettendo da parte un'idea dopo l'altra. E le parole dolci e amorevoli della sua mente facevano poco per consolare il pianto del suo cuore.

Vinczel si sentiva colpevole. Colpevole di aver abbandonato i suoi doveri, la guerra, e Annekha. Era davvero importante per lui, e avrebbe solo voluto dimostrarglielo, ma al contempo aveva scelto di fuggire dalle sue responsabilità, e dal suo destino. Naturale che lo considerasse un codardo, ora.

No. Non stava nemmeno fuggendo dal suo destino. Fuggire dal proprio destino è impossibile. Stava solo facendo ciò che era destinato a fare. Era destinato a fuggire.

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