Capitolo Settantasette

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Vinczel non era più loquace come un tempo, notò Annekha, dopo qualche minuto di silenzio, nella caverna. E questo le dispiaceva più immensamente di quanto avesse mai voluto ammettere anche solo a se stessa.

Amava sentirlo parlare tanto animatamente delle sue idee per implementare l'uso dei droni e della tecnologia al fronte Sud. Aveva una sorta di luce, negli occhi, e una passione nella voce, quando ne parlava, che il suo discorso incuriosiva ed entusiasmava anche lei, nonostante sapesse poco o niente dell'intera faccenda.

«Non fa niente, anche se si accorgeranno dell'imbroglio.» disse Vinczel, a un tratto, come se avesse avvertito la sua preoccupazione. Come se sapesse che non poteva essere passata. «Intanto, perderanno tempo.»

Annekha annuì, sospirando. Ora era davvero più tranquilla. Si sistemò, sedendosi più comodamente sul sacco a pelo, la schiena appoggiata al muro della caverna, accanto alla sorgente, per ricevere calore.

Vinczel era al suo fianco. «In più, ho piazzato alcuni mostri, nei dintorni.» continuò lui, «Non credo che qualcuno dei tuoi fidati compagni avrà la malsana idea di venire a cercarti proprio qui dentro.»

Annekha fece di sì con la testa, di nuovo, rivolgendo lo sguardo all'entrata della caverna. Stava cominciando a farsi buio, e di conseguenza all'interno della caverna risultava difficile anche solo distinguere i contorni. E non potevano accendere fuochi o lanterne, per ovvi motivi.

Ma nel buio è più facile parlare, e aprire il proprio cuore. Annekha lo sapeva. E ne aveva bisogno. Aveva bisogno di rivelarsi. E aveva bisogno che Vinczel la ascoltasse, e facesse lo stesso.

Per questo iniziò a parlare. «Hai davvero intenzione di combattere?» chiese.

Vinczel alzò le spalle – unico segno ne fu il fruscio del suo mantello contro la parete di roccia. «Non credo di avere scelta.» sospirò.

Il muro di pietra era freddo, e nonostante si trovasse più vicino alla vera e propria sorgente termale, rispetto a Vinczel, Annekha prese a tremare di freddo. «Che cosa faresti, se fossi libero?» gli chiese, ancora.

Vinczel si tirò a sedere in maniera più confortevole, valutando le possibili risposte. Era da tanto che aveva smesso di chiederselo. Sognare faceva troppo male. «Che cosa non farei?» si chiese lui.

«Combatteresti comunque?» volle sperare Annekha.

«Non credo proprio.» rispose Vinczel. Il suo tono lasciava intendere quanto odiasse l'idea. «Credo che andrei da qualche parte, lontano dall'Impero, a godermi la mia giovinezza. Vino, gioco, belle donne...» scherzò, «Tutto ciò che possono permettersi solo i veterani del quartiere Imperiale.»

«Prima dovresti essere un veterano.» gli fece notare Annekha.

«E chi lo dice?» Vinczel alzò di nuovo le spalle, «Mi hai chiesto che cosa farei se fossi libero

«Sì, ma si tratta comunque di una legge, nell'Impero.» disse Annekha. Infatti, era difficile che a chi non avesse o non stesse contribuendo alla Guerra di Zena fosse solo permesso di mettere piede nel quartiere Imperiale. Solo i guerrieri e le loro famiglie potevano viverci, poi.

«Allora rettifico.» disse Vinczel, alzando una mano, vagamente visibile nell'oscurità, «Se fossi libero, per prima cosa cambierei la legge. Poi andrei a spassarmela.» sogghignò, brevemente, e fu felice di sentire anche Annekha ridacchiare. Averle portato un sorriso lo rendeva più felice di quanto tutte quelle malsane e irrealizzabili idee avrebbero mai potuto fare. Ma non poteva dirglielo.

La sentì tremare, però. Di freddo, non aveva dubbi. Ormai Annekha non aveva più paura.

Erano entrambi distrutti, in realtà, si rese conto Vinczel. Stavano cadendo a pezzi. Ogni risata era dolorosa come lo era ogni colpo di tosse per un moribondo, pressante e insistente sul petto. Tutto ciò che potevano fare, ormai, era tentare di impedire che l'altro andasse in frantumi.

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