Capitolo Settantadue

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Come Annekha le avevadetto, Rozsalia venne portata quasi immediatamente a Gejta. Il tragitto dallastanza di interrogatorio al portale onirico fu estremamente breve, e la donnasi rese conto che i due spazi si trovavano all'interno dello stesso edificio.

Soltanto una volta aveva attraversato quel portale, in passato, e lo aveva fatto al fianco di sua sorella, Loura, fingendosi una Djabel sfregiata, costretta su una sedia a rotelle.

Non oppose resistenza, cercando con tutto il suo cuore di trovare un lato positivo in quella situazione. Ma quello di Annekha non le era sembrato tanto umorismo quanto vero e proprio sadismo. Le sue parole erano state criptiche al punto giusto da farla preoccupare per la sorte di Solean, ma non abbastanza perché capisse che gli era accaduto il peggio.

Inoltre, vi era quella sorta di predizione. Sarebbe morta a Gejta. Questo le faceva temere il peggio per se stessa, e non era in contrasto con nessuna delle predizioni precedenti che riuscisse a ricordare. Le parole di Annekha, nonostante avessero potuto essere bugie, la lasciavano con un senso di ansia, che non l'avrebbe sicuramente aiutata, se avesse voluto pianificare una fuga. E quella era stata la sua idea dal momento in cui era stata catturata, a Telei.

Nonostante non fosse completamente sveglia, camminò abbastanza a lungo da capire che avevano intenzione di confinarla nel settore A-1, il più a sud e il più a ovest, e quindi il più lontano dalla via per Noomadel.

Rozsalia non riuscì a sentirsi fortunata, quando venne rinchiusa in una delle celle di Gejta nelle quali il vento soffiava più rumorosamente, durante l'inverno, passando indisturbato tra le sbarre di ferro che costituivano una delle quattro pareti della minuscola stanza sorvegliata da un Orsem Guardia. Avrebbe sofferto il freddo, in quel deserto, non aveva dubbi.

«Quindi quando inizieranno i lavori?» domandò il suo carceriere a un altro soldato. Rozsalia non capiva a che cosa si stesse riferendo, e non poteva nemmeno vedere l'altro Tesrat. «Pensavo che questo settore sarebbe stato liberato, entro il mese.»

«Lo sarà.» promise l'altro. A giudicare dalla sua voce, sembrava essere un uomo abbastanza giovane, e a giudicare da come l'Orsem si era rivolto a lui, con quel tono impaziente, sembrava che si trattasse di qualcuno a lui inferiore in grado. Un Tesrat Semplice, un Comandante, o un Paranx.

«Non ci credo.» commentò l'Orsem, «Volete dirmi che la condanna per questa qui è di meno di un mese? Ah!» scosse la testa, e dal movimento dei suoi ciuffi biondi, Rozsalia riuscì a intravedere il secondo uomo. Era giovane, in effetti, aveva occhi e capelli di un castano tendente al rosso, e una pelle tanto bianca che avrebbe potuto essere porcellana.

Appena anche lui la notò, la guardò con disprezzo. Rozsalia si sentì stringere il cuore. Forse era un Tesrat Comandante che la incolpava della morte di tutti i membri della sua squadra? Quanto rancore serviva a degli occhi umani per farli scintillare di odio così tanto da farli brillare?

«L'Imperatore ha già pensato a tutto, ma non posso rivelarti nulla di più.» disse il giovane, riportando l'attenzione sull'Orsem Guardia. Fece poi per andarsene, dandogli le spalle, senza neanche salutare quello che era indubbiamente un suo superiore.

«Ehi!» venne fermato, infatti.

Rozsalia si vide d'accordo con il suo carceriere. Doveva dare una lezione di disciplina a quel ragazzo.

Tuttavia, ciò che disse dopo, a voce più bassa, la sconvolse. Non se lo aspettava minimamente. «Non voglio fare la fine di Cal.» disse.

Il giovane Comandante alzò le spalle, fingendo di non capire a che cosa si stesse riferendo. Neanche Rozsalia fu sicura di aver capito.

«Tolecnal Calud.» specificò poi l'Orsem Guardia, «E tu sai come è morto. Tutti sanno come è morto.»

«E tu non morirai così, Zostron.» sembrò rassicurarlo il giovane, «Il destino non si sta ripetendo. Non vestirò i panni del disertore Endris per far fuggire quella Djabel.» disse, il disdegno ancora una volta palpabile, quando si riferiva a Rozsalia. Poi, però, aggiunse poche parole, che ebbero l'effetto opposto a quello ottenuto fino a quel momento. E l'Orsem Guardia si sentì gelare il sangue. «Io non avrò nulla a che fare con la tua morte.»

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