Capitolo Quarantasette

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Ogni suono che non fosse quello dei suoi passi sull'erba inumidita e irrigidita dalla brina faceva rabbrividire Vinczel, ben più di quanto avrebbe dovuto. Il giovane uomo tentava di controllarsi, e sospirava. Perché erano i mostri, e lui aveva il potere di controllare anche i mostri. Per questo si trovava lì.

Si era già addentrato abbastanza nel Vuoto per poter dire con certezza che non sarebbe stato trovato, almeno in giornata. Aveva costeggiato la parete rocciosa, proprio perché non temeva che i mostri sbucassero da un momento all'altro dai cunicoli e dalle caverne. Inoltre, avrebbe avuto bisogno di un continuo rifornimento d'acqua. Le cascate più grandi erano salate, ma gran parte dell'acqua che filtrava nei vari anfratti era pulita e potabile. Lo insegnavano all'Accademia. Vinczel era preparato per sopravvivere all'ambiente ostile del Vuoto.

L'unica cosa che a scuola non riuscivano a insegnare era come affrontare i mostri, ma Vinczel non aveva bisogno di lezioni – era l'unico Ember che potesse essere in grado di sopravvivere in quell'ambiente per un tempo indeterminato.

Ma, a quel punto, era corretto, da parte sua, considerarsi un Ember? La sua abilità speciale era ciò che lo contraddistingueva sia dagli Ember che dagli altri Djabel, dopotutto. Ma, come aveva detto Rozsalia, tutti i Djabel avevano una sorta di abilità speciale.

La domanda rimaneva la stessa – questo non li discriminava dagli Ember in quanto tali?

L'interrogativo si ripeté nella mente di Vinczel, ormai giunto in una caverna, mentre preparava ciò che era necessario per accendere un fuoco. E, ogni volta, si dava una giustificazione diversa, ma la risposta per lui rimaneva sempre la stessa.

. Certo che era un Ember. Che cos'altro avrebbe potuto essere?

Magari un mostro? Fu una sorta di voce a suggerirlo. Una voce che era rimasta inascoltata per molto tempo. La voce degli altri. La voce della gente. Non gli era mai importato realmente che cosa dicesse, ma la sua memoria aveva accumulato tutto l'odio e l'invidia che i non-Djabel emanavano.

No. Sono un Djabel. È diverso, cercò di giustificarsi, come se si trovasse davvero circondato da una corte di accusatori.

Il Djabel è il tramite tra Ember e mostri, allora, propose qualcuno tra la folla.

Sì, può essere, ammise Vinczel, e con questo?

Non puoi essere tutti e due, caro, suggerì una voce spocchiosa, come a chiamarlo un'idiota, o sei l'uno, o sei l'altro.

Allora non sono nessuno dei due, risolse Vinczel.

Allora che cosa sei?

Il giovane lasciò che la domanda riecheggiasse per un po' nella sua mente. Non voleva dare una risposta avventata a chiunque l'avesse posta. Era una voce diversa. Non era una sfida, quella domanda. Era curiosità. Era la sua stessa voce, forse.

Tuttavia, anche dopo un minuto buono, Vinczel non trovò altra risposta se non quella che conosceva già. Sono un Djabel.

La scarsa legna che trovò nei dintorni era bagnata, e per giunta non era molta. Avrebbe sofferto il freddo, quella notte. Si era scelto una piccola caverna, al riparo dal vento, e che quindi aveva un'unica uscita, rivolta verso nord.

Quella zona del Vuoto era raramente raggiunta dalla luce del sole, e quindi cresceva meno vegetazione. Ma, essendo uno degli angoli più angusti e meno adatti all'esplorazione, era anche l'ultimo posto in cui qualcuno sarebbe venuto a cercarlo.

Si sarebbe svegliato molto presto, il giorno seguente, sicuramente per il freddo, e anche per la fame – aveva scelto di non mangiare molto, sempre per costringersi a svegliarsi alle prime luci dell'alba, che non lo avrebbero raggiunto, all'interno di quel buco.

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