Capitolo Ottantacinque

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18 febbraio 1604

Annekha partì all'alba, come indicato dal messaggio di Vinczel. In groppa al suo Dragone, sorvolò la nebbia e le nuvole che ricoprivano il Vuoto, e si diresse verso sud. L'orizzonte era una linea ambigua e offuscata, la costa di Tenger una vaga idea nella sua mente, nella mattina fredda e uggiosa.

Le nuvole alle sue spalle promettevano neve, e riposo. E lei prometteva pace, e morte.

Era coperta interamente dalla sua divisa da Paranx Ricognitrice. La sciarpa svolazzava, picchiettando le sue spalle e la sua schiena, insieme ai capelli, non completamente contenuti nel cappuccio. Sentiva il vento freddo infilarsi nello spazio tra i guanti e le maniche, e risalire il suo braccio, facendola rabbrividire.

Ma era fin troppo concentrata per badarvi. Controllava ogni battito d'ali, ogni minimo movimento del Dragone, ed era come se avesse dovuto controllare altre dita di una mano, o un altro paio di gambe. Si sentiva agile, in alto, nell'aria, oltre le nuvole, circondata solo dal cielo, del quale poteva apprezzare le sfumature dall'azzurro al rosa, donate dall'alba.

Sorvolò il margine meridionale del fronte del Vuoto, praticamente inosservata, grazie alle nuvole e alla nebbia. I mostri non sarebbero stati così attenti a non farsi notare, invece.

Intravide la cima di alcuni dei palazzi più alti del quartiere Imperiale, e forse anche quello in cui lei stessa abitava, e poi sbirciò alla sua destra anche il quartiere Residenziale, in cui la stava aspettando Mikhay, da giorni, ormai. Lo aveva lasciato senza dirgli niente, una mattina, per andare a scuola, ma gli aveva mentito. Doveva crederla morta, a quel punto.

Vide l'Accademia, che spiccava al centro della città. Sembrava indifesa, e fragile, tutta di vetro, ma pullulava di guerrieri giovani e forti.

La mente di Annekha era però quasi completamente occupata da un unico pensiero – il battito d'ali successivo del Dragone. Man mano che avanzava verso sud, le risultava più difficile mantenere la concentrazione, che si perdeva in mezzo a tutte le preoccupazioni che continuavano a sbucare dagli angoli più remoti della sua testa. Ed era compito suo scacciarli, uno a uno, come moscerini fastidiosi.

Aveva seguito la costa, sorvolando solo gli eventuali promontori e le piccole penisole, e ormai si stava avvicinando a Fersenvar. Doveva far fermare i mostri terrestri e volanti al fronte Sud, ma non aveva idea di come fare. Non vi erano molti Yksan, su quel fronte, quindi non poteva fare in modo che si distraessero. E, in ogni caso, pensava che i mostri avrebbero preferito seguire un Dragone, piuttosto che un qualsiasi Djabel sfregiato.

Gli unici mostri che aveva alle spalle, ora, dovevano essere quelli volanti. Quelli marini le stavano tenendo testa, in acqua, ma dopo l'ultima battaglia a Revhely erano stati decimati, e malamente rimpiazzati. Non erano molti i Djabel che controllavano creature marine, e ancora meno erano quelli che morivano sul campo di battaglia, ora che da parte di Zena non combattevano più, e che dalla parte di Noomadel stavano facendo tutto il possibile per risparmiare i pochi soldati rimasti.

Annekha scelse quindi di far volare il Dragone più in alto, e più velocemente. L'aria era ancora più fredda, lassù, e il vento soffiava più forte, trasportando velocemente le nuvole e contrastandola mentre cercava di spingersi verso sud. Ma la buona notizia era che nessuno dei mostri volanti, neanche l'Arpia più ostinata, riusciva a seguirla, ora.

Annekha si permise un sospiro di sollievo, e riprese il suo volo. Lasciò la costa per sorvolare il mare, e dopo un paio di chilometri cominciò a perdere quota, in modo da essere captata dai mostri marini più vicini, che erano molto più sensibili di quelli terrestri e volanti.

Planò sul mare grigio, fino a sfiorare l'acqua gelida con le ali del Dragone, e anche se stava solo eseguendo un ordine, si sentì libera. Volare era un'esperienza fantastica, che quasi nessun Djabel avrebbe mai potuto provare grazie alla propria illusione.

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