Capitolo Dieci

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15 marzo 1603

Vinczel si svegliò prima di Annekha. Diede uno sguardo alla propria sinistra, e la trovò raggomitolata nel suo sacco a pelo, mentre ancora dormiva. Non gli dava più la schiena – nel sonno doveva essersi rigirata, e ora riposava sul fianco destro, rivolta verso di lui.

Non osò neanche provare a svegliarla, e si alzò nel modo più silenzioso possibile, scivolando fuori dal proprio sacco a pelo senza sfiorarla. Camminò a passi leggeri, recuperando i suoi stivali e infilandoseli senza fare rumore quando aveva raggiunto ormai il margine della caverna, in modo che il suono dei tacchi non infastidisse la ragazza.

Superò il cumulo di cenere e carbone che era ciò che rimaneva del fuoco appiccato la sera precedente, e uscì all'esterno, a respirare aria più pulita.

Era una mattina uggiosa, e forse avrebbe nevicato. La rugiada che ricopriva la prateria che era il fondo del Vuoto si era già tramutata in brina e cristalli di ghiaccio. Non si riusciva a vedere molto in lontananza, poiché la nebbia era tornata ad adagiarsi sul fondo dell'enorme cratere. Vinczel costeggiò la parete del Vuoto, e camminò verso sud, verso le cascate, passeggiando in solitudine.

Non avrebbe saputo dire se il suo era davvero un dono o qualcosa d'altro. Era pieno di insicurezze. Non sapeva perché aveva quel potere. Non sapeva nemmeno perché era un Djabel. Aveva preso da suo padre o da sua madre? O forse nessuno di loro due era un Djabel? A chi dei due assomigliava di più, fisicamente? Quale sarebbe dovuto essere il suo vero cognome? Proveniva forse da una famiglia importante? Il suo posto poteva essere, magari, nel quartiere Imperiale, nel grattacielo accanto a quello nel quale viveva Annekha?

Queste e altre infinite domande si accavallarono nella sua mente, e nessuna trovò una risposta, mentre la sua fantasia viaggiava, immaginando scenari in cui gli Ilyun, i suoi genitori adottivi, prendevano un nome diverso, si vestivano con abiti eleganti, e invitavano la famiglia di Annekha a casa loro per un pomeriggio, mentre loro due erano ancora bambini, e si divertivano insieme con la sua collezione di macchinine giocattolo, che contava molti più modelli di quelli che in realtà possedeva, perché avrebbe potuto permetterseli.

Vinczel scosse la testa, e smise di immaginare, riprendendo a camminare. Avrebbe tanto voluto dedicare del tempo alla ricerca delle sue radici, ma al contempo avrebbe voluto allontanarsi da tutto ciò che aveva sempre conosciuto, per essere libero, in qualche modo.

Era impossibile, lo sapeva, più improbabile dello scenario fittizio che aveva appena proiettato nella sua mente. E non poteva evitare di continuare a farsi domande. Sapeva che sua madre era morta, ma che ne era di suo padre? Era fuggito? Era un vigliacco? Lo avrebbe mai incontrato? Oppure era morto anche lui? Il non sapere non gli aveva mai dato tanto fastidio. Il non avere la conoscenza non lo aveva mai ferito così tanto come ora, quando aveva bisogno di risposte, che forse i suoi genitori avrebbero potuto fornirgli.

Continuò a camminare, sempre costeggiando la parete, superando una grande cascata – si stava riavvicinando al margine meridionale, e sarebbe dovuto tornare indietro, presto. Notò che, ai lati della cascata, vi erano delle candele di ghiaccio. Il freddo doveva essere stato pungente, quella notte, per aver ghiacciato l'acqua di Tenger, che era salata.

Vinczel si coprì il naso con la sciarpa, per evitare di congelare. I guanti gli lasciavano scoperte le punte delle dita, per permettergli una migliore presa, così il giovane teneva le mani in tasca, per evitare il freddo.

Un leggero vento stava cominciando a spirare da nord. Vinczel rabbrividì, e si voltò per valutare quanto lontana fosse da lui la caverna. Meno di un centinaio di metri, si rispose.

Si voltò di nuovo, e riprese a camminare, fino a che non sentì un verso provenire da una delle caverne alla sua sinistra. Si fermò sui suoi passi, sperando di udirlo di nuovo e di esserselo immaginato nello stesso momento.

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