Capitolo Settantanove

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Per la notte, i due giovani avevano a disposizione un solo sacco a pelo, ma Annekha non sembrava provare troppo imbarazzo nel doverlo condividere – questo, tuttavia, era solo perché era molto brava a nascondere le proprie emozioni.

A poco serviva questa sua abilità, però, con Vinczel. Il ragazzo capiva perfettamente il suo stato d'animo, ma fingeva di non notarlo, e restava in silenzio. Non si sarebbe mai azzardato a scherzare riguardo a qualcosa che, in un certo qual modo, metteva in imbarazzo anche lui.

Nonostante il pavimento della caverna fosse tiepido, non sembrava essere abbastanza per proteggere i due giovani dal freddo notturno. Il vento spirava verso est, e quindi verso quel lato della parete al margine del Vuoto. Si infiltrava anche nei cunicoli alle loro spalle, fischiando nelle gallerie, e sfiorando la roccia con le sue dita gelide.

Vinczel aveva scelto quella caverna per stabilirsi proprio perché l'unico punto negativo a riguardo era quel dannato vento, che tra l'altro era stagionale, e se ne sarebbe andato con l'arrivo della primavera. Non vi erano infiltrazioni dal soffitto, vi erano acqua e calore, era al riparo dal sole e dalla vista dei Tesrat grazie all'entrata bassa e nascosta parzialmente dai massi che la circondavano, e i cunicoli collegati alla sala principale della caverna, nella quale si trovava il suo sacco a pelo, erano così stretti che persino un ratto avrebbe avuto difficoltà a raggiungere le altre sale.

Annekha tremò ancora di freddo, e si accoccolò nel sacco a pelo, stringendosi al suo margine, e tirando leggermente, per paura di svegliare Vinczel, che forse si era già addormentato. Si stavano dando le spalle l'un l'altra – Annekha era rivolta verso la parete della sorgente termale, e Vinczel verso l'interno della caverna, che si diramava poi negli infiniti cunicoli che solo lui conosceva. Nemmeno i Paranx Esploratori più esperti si erano mai avventurati tanto a nord.

Annekha si chiese se avesse potuto davvero dirsi al sicuro. Si fidava di Vinczel, ma la sua fiducia era stata così spesso malriposta, ultimamente, che rischiava di non credere più nemmeno in se stessa.

Anche Vinczel si mosse, quasi impercettibilmente, ma quel movimento, unito a ciò che suonava vagamente come uno sbadiglio, era abbastanza per far capire ad Annekha che il giovane era ancora sveglio.

E, certo, avrebbe voluto dormire, ma aveva ancora una domanda, in gola. Una che non era riuscita a porre, prima, forse per orgoglio. Vinczel le era sembrato molto più forte di quando si erano lasciati a Magastor – come era possibile che lo stare da solo per così tanto tempo lo avesse reso una persona migliore, più tenace e più coraggiosa? E dove trovava la forza d'animo e l'abilità per adattarsi a quello che sapeva essere il suo destino?

«Come fai ad accettarlo?» chiese, quindi, senza specificare.

Quando Vinczel non rispose, per un attimo temette che stesse dormendo. Ma no, si disse poi. Era proprio questa insicurezza che doveva combattere. Era sicura di averlo sentito muoversi. Vinczel era sveglio. «Dopo aver messo fine alla guerra, non avrai idea di quanto tempo ti rimarrà da vivere, ma il tuo destino sarà quello di morire a causa mia. Come puoi—»

«Oh, quello...» Vinczel scosse lievemente la testa – unico sentore ne fu il lieve fruscio dei suoi capelli sulla parte inferiore del sacco a pelo. E aveva parlato come se si trattasse di una faccenda meno importante di quelle che aveva per la testa. A che diavolo stava pensando? «Quello è un dato di fatto.» continuò lui, «Dovrò pur morire, prima o poi. Tu cerca di non uccidermi inutilmente, almeno.»

«Ecco, vedi? È proprio questo che intendo.» riprese Annekha, «Come fai ad accettarlo... così? Con tale umorismo?»

«Be', che dovrei fare? Piangere?» si chiese Vinczel, «Ho pianto, te l'assicuro. Ho pianto fin troppo, per i tuoi gusti.»

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