Una descrizione di me? Vediamo...
Nella vita sono sempre stato un completo disastro. Ho dimostrato fin da piccolo di essere la peste della famiglia, insomma...la cosiddetta "pecora nera". E, come potrete immaginare, ho fatto sgolare mia madre fin troppo per tutti i guai in cui puntualmente mi mettevo (e mi metto tutt'ora). Sono sempre stato tanto vivace, per non dire irrequieto. Stare fermo nello stesso posto per più di due minuti? Praticamente impossibile per il piccolo Jack Nicholson. E beh... le cose non sono cambiate affatto col passare degli anni. A scuola sono sempre stato il più popolare: capitano della squadra di calcio, rappresentante d'istituto, eletto ben due volte re del ballo di primavera. Chiunque sarebbe stato felice di vivere una vita come la mia, non è così? Ed effettivamente sì... la mia vita mi piaceva, e anche tanto. Potevo avere qualunque cosa volessi, qualunque ragazza volessi, con un semplice schiocco di dita, e non dovevo faticare per arrivare a nulla. Forse è in parte anche questo che mi ha spinto a sentirmi così. Quella sensazione di non aver mai guadagnato nulla con le mie mani, come se tutte le cose della mia vita non contassero poi più di tanto, perché mi spettavano già di diritto fin dalla nascita. Tutte le mie amicizie, tutti i miei successi. Mi sembrava tutto... finto. Jack Nicholson, il più figo, il più popolare, uno dei ragazzi più intelligenti della scuola e per di più anche erede della fabbrica di tessuti della sua famiglia. Nessuno poteva aspirare ad essere migliore di così. Era già tutto scritto, tutto programmato. Arrivato all'età di diciassette anni mi resi conto che tutto quello che facevo, tutti i miei interessi e le mie passioni, in realtà non erano davvero miei. Tutto era stato come deciso perfettamente in ogni minimo dettaglio nel momento in cui mia madre mi aveva dato alla luce. Per non parlare della continua pressione che portavo sulle spalle: troppe responsabilità, troppi doveri. Insomma... non era affatto tutto rose e fiori come chiunque altro potesse immaginare da un punto di vista esterno.
Forse è proprio per questo che, per stare meglio, all'età di diciassette anni iniziai a bere. In breve tempo, quel passatempo che riusciva a darmi sollievo da quella vita estenuante per poche ore divenne un vero e proprio vizio, sempre più difficile da cancellare del tutto. Fu all'età di diciotto anni che incontrai Ivy, alla fine del mio quarto anno di liceo. Stavo camminando per i corridoi della nostra scuola, quando vidi una strana ragazza sferrare pugni contro il distributore automatico."Maledetta macchina del cazzo! Dammi le mie croccantelle!" urlò, scuotendo la macchinetta.
"Hey... hai bisogno di una mano?" le chiesi, vedendola in chiara difficoltà.
"No, me la cavo da sola." rispose con tono duro, voltando il capo non appena incontrò il mio sguardo e capì chi fossi, come infastidita dalla mia presenza.Pensai fosse strano, perché qualunque altra ragazza della mia scuola sarebbe stata più che contenta di farsi aiutare dal sottoscritto. Eppure lei no. Lei non era come le altre. Lei era diversa.
"Sei sicura?" le chiesi, sorridendole leggermente, non restando indifferente ai suoi occhioni verdi.
"Cosa c'è, lo trovi divertente?" ribatté, estenuata, colpendo ancora il distributore.
"Lascia fare a me..." dissi. "... mi è successo già un milione di volte."
"Non ho bisogno del tuo aiuto."
"Vedo che hai la testa dura..."La vidi sorridere leggermente, per poi ritirare il sorriso all'istante non appena si accorse che l'avevo notato. La spinsi leggermente, mettendomi di fronte al distributore.
"Hey!" urlò.
Diedi un colpo secco alla macchinetta, e finalmente il gancio lasciò cadere le sue croccantelle. La guardai con fare soddisfatto.
"Visto?"
"Potevo cavarmela anche da sola..." rispose, ancora freddamente.
"Al mio paese ora dovresti semplicemente dire grazie."
"Beh... il tuo paese non è il mio paese" rispose, facendo per andar via.
"Aspetta..." la fermai, trattenendola per un braccio. "Non mi dici neanche come ti chiami?"
"Perché mai dovrei, Nicholson?" ribatté, sorridendo. Poi si liberò dalla mia presa e se ne andò.
Che tipa strana, pensai.Quell'estate poi ci conoscemmo meglio e ben presto capii di provare qualcosa per lei. Siamo stati bene insieme per qualche mese, ma poi i miei problemi con l'alcol hanno rovinato tutto.
Mi sono sempre sentito in colpa per ciò che le ho fatto e fin da subito, dopo il tradimento, ma soprattutto dopo quel dannato pomeriggio a casa sua, ho provato a cambiare le cose, ho provato a smettere. E, dopo esserci riuscito, finalmente sono riuscito a sistemare tutto. Ma ormai era tardi, e il suo cuore apparteneva a un altro uomo. Un uomo che, francamente, aveva dimostrato di meritarla molto più di me. Anche dopo che Mark se ne è andato, non ho mai tentato di riavvicinarmi a lei in quel senso. Eravamo amici, e questo mi andava bene. Mi bastava. Lei era stata l'unica donna che avevo davvero amato, ma sapevo non avrebbe mai ricambiato i miei sentimenti. E siccome non mi andava di rovinare di nuovo le cose tra noi, decisi di aspettare e di sperare che tutto passasse, che quel sentimento svanisse. E, per fortuna, così fu.
Poco dopo aver terminato le superiori, mi innamorai della donna più intelligente, più generosa, più buona e più bella al mondo. La mia Sophie. Ricordo che quando mi trovavo vicino a lei mi sentivo una persona migliore. Lei riusciva a capirmi come nessun altro al mondo. Avevo avuto persino intenzione di chiederle di sposarmi, poco prima che tutto degenerasse.
Ebbi infatti una ricaduta, mi rigettai nell'alcol, e, come ero e sono tutt'ora solito fare, rovinai tutto.
Un'altra volta. Anche con lei. E così, dopo esser stato gettato fuori di casa per aver rifiutato il posto di direttore della fabbrica di tessuti di mio padre, decisi di andare da Ivy a Milano.
Il lavoro? L'avevo lasciato.
Nessuno mi aveva chiamato per scattare alle sfilate della settimana della moda. Quella era solo la scusa che mi ero inventato per farmi ospitare da Ivy senza farle creare troppi sospetti. Era questo che ero diventato: un bugiardo buono a nulla e disoccupato. E per di più, pur sapendo dei miei problemi, non avevo esitato a mettere a rischio l'incolumità della mia migliore amica.
Mi conoscevo, sapevo l'effetto che l'alcol aveva su di me: riusciva a farmi diventare un mostro, il mostro che sapevo non essere. E sapevo sarei stato in grado di fare stupidaggini se avessi bevuto ancora. Ma ciò non mi aveva affatto fermato. Francamente, mi facevo schifo.

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Just be with me
RomanceSpin-off di "My professor" e "I still love you" La storia continua da dove si era interrotta, ma i fatti da questo momento in poi vengono narrati dal punto di vista di Jack, il quale si innamorerà presto di chi non avrebbe mai immaginato. __________...