Arrivati nel suo ufficio, mi fece sedere sul suo divanetto. Inutile dire che crollai completamente, mentre lui si mise a preparare due caffè alla macchinetta.
"Vuoi dirmi cos'è successo?" mi chiese qualche minuto più tardi, sedendosi accanto a me, guardandomi con sguardo preoccupato, per poi passarmi una tazza di caffè bollente.
"Non mi piace il caffè..."
"Bevilo, ti farà stare meglio." disse allora. E così, a malavoglia, decisi di dargli ascolto e afferrai la tazza. La situazione mi sarebbe di certo parsa molto imbarazzante, se il mio tasso alcolemico non mi avesse reso in quel momento privo di ogni genere di inibizione.
"Allora?" mi incitò a parlare.
"È una storia complicata..." risposi, in un momento di lucidità, bevendo un sorso.
"Abbiamo tutta la notte." constatò lui.
"Non credo sia adeguato confidarmi con il mio capo, sa..." scherzai.
"Perché no?" ribatté.
"Confidarle i miei segreti in questo modo? Non lo faccio neanche con i miei amici..."
"Proprio perché non siamo amici, puoi dirmi qualunque cosa senza che io ti giudichi."
"Potrebbe usare le mie parole contro di me." risposi. "E in ogni caso... in questa storia non sono io quello da giudicare, si fidi."
"Lascia che sia io a giudicare." mi interruppe allora, sorridendo maliziosamente. Sentii un brivido percorrermi tutto il corpo, ma poi tutto ciò che era accaduto mi tornò in mente come un fiume in piena, incapace di essere arginato, e così gli occhi mi si offuscarono, al punto da non riuscir quasi più a trattenere le lacrime. Lui se ne rese conto immediatamente.
"Hey, hey, hey. Dio mio, perché piangi?" mi chiese, poggiando frettolosamente la sua tazza sul tavolo e ponendo la sua mano sulla mia guancia, per poi usare il pollice per asciugare la lacrima che mi aveva appena rigato il volto.
"Dio santo, le sembrerò ridicolo..." risposi, cercando di evitare il suo sguardo.
"Certo che no." disse, rassicurandomi.
"Non riesco a credere a tutto questo. Sembra un incubo. E poi lei..." esitai. "Posso fidarmi di lei?" gli chiesi, in preda al panico.
"Mio Dio Jack... certo! Ascolta, tu puoi dirmi tutto quello che vuoi." rispose, accennando un leggero sorriso, colmo di preoccupazione. Ne fui stupito, ma non ci pensai più di tanto: in quel momento la mia mente era altrove. Feci un lungo respiro profondo, cercando di mettere a posto i pensieri e al contempo facendomi coraggio.
"Ieri sera è arrivato mio fratello da Roma. Ero così felice fosse venuto, siamo stati lontani per così poco tempo eppure mi è mancato davvero tanto. Siamo sempre stati inseparabili, fin da bambini. È sempre stato il mio migliore amico. Abbiamo passato una bella giornata insieme, insomma... sembrava andare tutto bene, ma poi..." dissi, non riuscendo più a trattenere i singhiozzi, né tantomeno le lacrime. Lui mise la sua mano sul mio avambraccio, come per darmi forza, invitandomi al contempo a continuare.
"Mi ha detto di essere stato con Sophie." riuscii finalmente a dirlo. "Sa... la delusione amorosa che aveva ipotizzato quel mattino, il giorno del nostro primo shooting... è lei. È stata lei la ragione che mi ha spinto a cambiare aria per un po', a trasferirmi qui e a trovare questo lavoro. Quei due mi hanno trattato come un completo idiota, e la cosa peggiore è che ci sono riusciti alla grande! Non ho mai minimamente sospettato nulla, sono stato cieco, uno stupido che si fida sempre troppo delle persone..."
"Non c'è nulla di male nel fidarsi delle persone." disse lui, con lo sguardo perso per un attimo nel vuoto, come estraniatosi per un attimo dalla realtà.
"Sì... ma finisco sempre per essere deluso, ogni cazzo di volta! Forse la verità è che non merito di essere amato, perché sono una persona orribile e-"
"Tu? Una persona orribile? Nicholson, che cazzo stai dicendo?" mi interruppe, guardandomi come se fossi pazzo.
"Lei non mi conosce, non sa nulla del mio passato. Io... io ho fatto cose di cui mi pento amaramente..." lo fermai.
"Non mi importa un cazzo del tuo passato. Io vedo come sei ora, Jack. Io ti vedo. Ti conosco da poco, è vero, ma so che hai un cuore d'oro..."
Deglutii, enormemente sorpreso da quelle parole, e immersi il mio sguardo nel suo. Era la prima volta che una persona mi diceva una cosa del genere. Parole così semplici, eppure così significative. Forse era l'alcol a farmi emozionare a tal punto, o forse lui era riuscito a smuovere qualcosa dentro di me, qualcosa che sembrava essersi rotto tempo prima. Non facemmo altro che guardarci negli occhi per quella che mi sembrò essere un'eternità.
"Cosa... cosa è successo dopo?" mi chiese, dopo qualche altro istante, esitando leggermente.
"Sì... ecco..." risposi, risvegliandomi da quel sogno. "...Lorenzo mi ha detto di amarla, e la verità è che credo anche lei sia innamorata di lui. Non mi ha lasciato perché avevamo problemi, o almeno non solo. La verità è che mi ha lasciato per stare con lui. Mi ha lasciato perché l'ha preferito a me..."
Mi fermai, paralizzato dalle mie stesse parole. Non riuscivo a muovermi, mi mancava il respiro e mi sembrava quasi di non sentir più neanche gli arti attaccati al corpo. Evans non fece nulla, se non guardarmi con sguardo rotto.
"Mi dispiace tanto." riuscì a sussurrare leggermente, quasi vergognandosi.
"Non c'è bisogno che faccia finta di essere dispiaciuto per me, dottore." replicai allora, in parte rammaricato, in parte tentando di allentare la tensione.
"Mi dispiace sul serio." ribatté lui, con tono serio.
"Sì, certo..." dissi, sorridendo, passandomi una mano in volto per tentare di asciugarmi le lacrime e alleggerire la situazione. "Sa, è strano..." continuai poi. "...Credevo le facesse piacere vedermi soffrire."
"Ma cosa dici?" mi interruppe subito, gettandomi uno sguardo che gridava "sei davvero un idiota!"
"Non mi sembra di piacerle per nulla, ecco..." constatai, dal momento che quei pochi giorni passati a lavorare insieme non mi avevano di certo dimostrato il contrario.
"Non è così." replicò, per poi avvicinare cautamente le sue dita al mio volto. Lo guardai, stranito, ma non mi mossi di un millimetro. I miei occhi si fissarono nei suoi, mentre le sue dita tremanti mi sfiorarono candidamente il volto, quasi con timore. Il calore del suo tocco sulle mie guance, già arrossate dal pianto, mi bruciava come ghiaccio al sole.
"Ti senti bene?" mi chiese poi, dopo qualche istante di silenzio, come preso da un guizzo di terrore vedendo il mio volto impallidire.
"No, probabilmente sto per..." tentai di parlare, ma poi mi portai una mano alla bocca, fiondandomi di corsa verso il bagno del suo ufficio, consapevole di quanto stesse per accadere. Mi accasciai subito sul gabinetto e cominciai a rimettere. Lui, che mi aveva seguito immediatamente, si mise dietro di me e, poggiando le sue possenti mani sulle mie spalle, tentò di aiutarmi. "Va tutto bene, continua così. Vedrai che dopo ti sentirai meglio." disse, preoccupato come non l'avevo mai visto fino ad allora.
"Lei non dovrebbe essere qui." risposi, quando mi fui leggermente ripreso. Ma poi cominciai di nuovo a vomitare dopo qualche secondo. "È così imbarazzante..."
Continuai ancora per qualche minuto, poi cercai di alzarmi in piedi, anche se mi sentivo davvero debole."Stai bene?" mi chiese Evans.
"Sono patetico." constatai.
"Sei solo ferito." ribatté lui, tentando di consolarmi. Mi guardò con occhi dolci e comprensivi, prima di tornare di nuovo assieme sul suo divano."Forse dovresti dormire." disse una volta che mi fui accasciato, con la chiara intenzione di voler andar via dal suo ufficio.
"No, ti prego, no." lo interruppi immediatamente, capendo il suo intento.
"Cosa c'è?" mi chiese.
"Ti prego, ti scongiuro..." lo implorai.
"Cosa...?" chiese ancora, confuso.
"... resta qui con me." lo pregai ancora, sul bilico di una crisi di pianto ancora più aggressiva.
"Non... non avevo intenzione di andare da nessuna parte, idiota. Volevo solo prendere una bacinella da qualche parte, nel caso dovessi rimettere ancora." disse guardandomi, a tratti preoccupato, per poi sorridere leggermente, probabilmente perché avevo ancora una volta superato le barriere e gli avevo dato del tu. Sembrò comunque non farci tanto caso, comprendendo il mio stato.
"Ti prego non... non mi lasciare."
Il sorriso sul suo volto improvvisamente svanì.
"Jack, stai delirando." disse, ponendo la sua mano sulla mia fronte. "Credo tu abbia la febbre. Vado a prendere un termometro." aggiunse poi, alzandosi immediatamente.
"No, ti prego..." lo trattenni per il braccio, impedendogli di alzarsi e abbandonare la stanza.
"Non vado da nessuna parte, devo solo prendere il termometro. Sta' tranquillo." tentò di rassicurarmi.
"Rimani qui, per favore." lo pregai ancora.
"D'accordo." disse, avvicinando ancora una volta la sua mano al mio volto, scostandomi delicatamente una ciocca di capelli dal viso. Mi guardò preoccupato, poi, come arrendendosi, decise di restare seduto accanto a me. Ci fu qualche attimo di silenzio, in cui lui restò lì a fissarmi, probabilmente per tenermi sotto controllo. Io nel frattempo, steso, fissavo il soffitto del suo ufficio."Dimmi un po', perché sei venuto proprio qui in azienda?" mi chiese, dopo quell'interminabile silenzioso silenzio. "Intendo... insomma... con tutti i posti in cui saresti potuto andare..." tentò di fare il vago.
"Perché speravo di trovarti." risposi, e fu come se le parole mi fossero volate via dalla bocca, senza che fossi stato minimamente in grado di fermarle. Perché avevo detto quella cosa? Cosa diamine mi era successo? Avrei potuto dire che l'avevo fatto perché non avevo nessuno che mi avrebbe ospitato, che l'azienda era vicina al bar in cui mi ero sbronzato...
Ma la verità è che mi accorsi solo in quel momento, in quel preciso istante, di quanto ciò che avevo detto fosse vero. Io ero andato lì perché speravo di trovare lui. Perché inconsciamente volevo fosse lì.
"C-cosa?" chiese, guardandomi ancora più intensamente, sorpreso dalle mie parole. Lentamente mi drizzai sul divano, avvicinandomi a lui.
"Quello che ho detto." dissi, immergendo i miei occhi nei suoi, deglutendo leggermente.
"Sta' steso, devi riposare..." rispose, tentando di cambiare argomento, poggiando i palmi delle sue mani sulle mie spalle e spingendomi leggermente indietro, come per invitarmi a riappoggiarmi al divano.
"Shhh." lo fermai, ponendo un dito sulle sue morbide labbra. "Sta' zitto, per favore."
Lo vidi chiudere gli occhi per un istante, come ammaliato da quel gesto.
"Jack..." sussurrò, confuso, aggrottando leggermente la fronte, ancora a occhi chiusi.
"Sto per fare una cosa, ma promettimi che poi non mi odierai." lo fermai, scostando leggermente il dito dalla sua bocca.
"Come potrei odiarti?" rispose lui, aprendo gli occhi e immergendoli nei miei, ormai a pochi centimetri dai suoi, deglutendo. Con uno scatto, spinsi le mie labbra contro le sue.
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Just be with me
RomanceSpin-off di "My professor" e "I still love you" La storia continua da dove si era interrotta, ma i fatti da questo momento in poi vengono narrati dal punto di vista di Jack, il quale si innamorerà presto di chi non avrebbe mai immaginato. __________...