Hai paura di me?

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"Le ho detto di no, cazzo!"
Con uno scatto, lo afferrai per il colletto della camicia, spingendolo contro la parete del bagno. I nostri occhi si immersero gli uni negli altri. A separarci, solo un filo d'aria. Esitò un istante, sorpreso da quella situazione, tenendo saldamente i suoi occhi sui miei, come per dimostrare di essere più forte di me.
"Cosa c'è, non ti piace sentire la verità?" disse allora, di nuovo con quel suo sorrisino del cazzo stampato in faccia. Lentamente, feci qualche passo indietro, come tornando alla realtà.
"Sta straparlando." ribattei, tenendo lo sguardo basso per non incontrare i suoi occhi.
"Non credo, Nicholson. Sai-"
"Buona serata, dottor Evans." lo interruppi, voltandomi e uscendo dalla stanza. Non ce la facevo più a sopportare le sue insinuazioni.

Ma cosa cazzo mi è preso?

Tornai velocemente al mio tavolo, sotto lo sguardo incuriosito di tutta la sala.

"Jack, che diavolo hai fatto?" mi chiese immediatamente Lizzie, guardandomi preoccupata. I miei capelli e il colletto della mia camicia erano completamente fradici.
"Nulla, nulla..." risposi, rassicurandola. "Tornate a mangiare, forza. Non è successo nulla." aggiunsi ancora.
"Ma come non è successo nulla?! Forza, tieni la mia giacca. Ti prenderai un accidenti con quest'aria condizionata." mi disse poi.
Consapevole di non poter rifiutare, accettai la sua giacca che, ovviamente, non mi sarebbe mai entrata. La poggiai semplicemente sulle mie spalle, per poi pensare immediatamente iniziare a pensare a quanto dovessi sembrare davvero ridicolo agli occhi di tutti i presenti. Dopo qualche istante, vidi Evans uscire finalmente da quel bagno, ancora cercando di aggiustarsi il colletto della camicia e la cravatta, leggermente allentata a causa della mia presa. Mi guardò per qualche istante, come divertito. Poi tornò da quella donna.

"C'entra Evans, non è vero?" chiese Lizzie, notando come lo guardassi.
"No, certo che no." dissi, senza neanche aspettare che finisse di parlare. "Avevo solo un po' caldo, forse non sto tanto bene."
Pose la sua mano sulla mia fronte e mi guardò negli occhi profondamente. Era davvero bellissima, ma questo l'avevo notato già dal primo momento in cui l'avevo incontrata.
"No, non sembri avere la febbre..." disse dopo qualche istante, facendo scendere la sua mano lungo la mia guancia, accarezzandomi. Poi distolse lo sguardo, come imbarazzata. Mi tornò in mente come pochi minuti prima Evans, al contrario di lei, era riuscito a sostenere i miei occhi, come se fosse la cosa più naturale di questo mondo. Così, d'istinto, il mio sguardo tornò per l'ennesima volta su di lui e su quella donna che ormai sembrava così poco di suo interesse, dal momento che lo trovai ad osservare me e Lizzie.

"Tranquilla, sto molto meglio adesso. Credo sia stato solo il vino..." dissi, quasi esortandola a farsi da parte. Al che lei tornò al suo posto.
"Anzi, qualcuno prenda il mio bicchiere. È meglio che non ne beva più. Continuiamo a mangiare." dissi poi. Ivy, comprendendomi, prese il mio bicchiere, tra gli sguardi confusi di tutti gli altri.
Il resto della cena fu sicuramente più piacevole del momento in cui dovetti pagare il conto. Tutto sommato, fu una serata... come dire... interessante.

Siccome Mark ci aveva lasciati a piedi, Oliver e Chris si offrirono di accompagnarci a casa. E ovviamente l'invito fu esteso anche a Lizzie, nonostante abitasse poco lontano dal ristorante.
Così io, Ivy e Lizzie ci accomodammo nei sedili posteriori.

"Quasi dimenticavo." dissi, togliendomi la giacca di Lizzie dalle spalle e passandogliela. "Tieni, e grazie mille."
"Figurati." rispose, arrossendo leggermente. "Sei sicuro di star bene adesso?"
"Certo, non preoccuparti."

Ci fu qualche breve istante di imbarazzante silenzio in auto.

"Posso farti una domanda?" Lizzie interruppe il silenzio. Ero sorpreso, ma annuii.
"Tutto quello che vuoi."
"Il graffio sulla guancia... come te lo sei fatto?" chiese, osservando la cicatrice che Mark mi aveva causato la sera in cui avevo quasi ricomesso il più grande errore della mia vita, solo poco più di una settimana prima. Rimasi in silenzio, non sapendo esattamente come giustificarmi.
"Diciamo che non sono esattamente un santo." dissi. Nella mia mente doveva suonare come qualcosa di divertente, ma il tono in cui pronunciai quella frase non lo fu affatto.
"Non ti va di parlarne?" chiese allora lei.
"Lizzie per favore, lascialo in pace." si intromise Ivy, toccandosi la fronte, come esasperata.
"Cosa c'è?" le chiese.
"Se non vuole dirtelo ci sarà un motivo, quindi per favore sta' zitta una buona volta!"
Lizzie la guardò, mortificata. Sembrava davvero essersi offesa di fronte a quelle parole.
"Non ascoltarla, Lizzie. È ancora nervosa per ciò che è accaduto con Mark. Per quanto riguarda il graffio... è una storia lunga, che ti racconterò quando sarà il momento. E poi ora siamo praticamente arrivati..." dissi, indicando la strada dal finestrino. Eravamo già sotto casa sua.
"D'accordo. È stato davvero divertente, ragazzi. Dovremmo rifarlo."
"Basta che la prossima volta offriate voi!" dissi ridendo.
"Contaci." rispose, sorridendomi ancora. "Buonanotte."
"Buonanotte." la salutarono tutti.

Dopodiché Chris e Oliver ci accompagnarono anche al nostro appartamento e ci salutammo velocemente.

"Secondo te andrà via?" chiesi ad Ivy, mentre era intenta ad aprire il portone.
"Che cosa?"
"Il graffio... secondo te andrà via?"
"Sta' tranquillo. È solo un taglio superficiale, andrà via di certo. E in ogni caso, anche se rimanesse una cicatrice, non sarebbe un gran dilemma. In fondo ti dà l'aria da cattivo ragazzo." disse, sorridendo leggermente. Ma riuscivo a percepire chiaramente nei suoi occhi un velo di preoccupazione. Entrammo nell'atrio e chiamammo l'ascensore.
"Hai paura di me, non è così?" le chiesi, dal momento che avevo notato quanto fosse impallidita visivamente da quando eravamo rimasti soli.
"No, certo che no."
"Lo capisco, davvero." le dissi, rassicurandola. "Ma sta tranquilla, non sarà un bicchiere scarso di vino a farmi perdere la lucidità."
"D'accordo." rispose, sorridendo. Sembrava davvero sollevata dalle mie parole.

Contrariamente a quanto ci aspettassimo, la casa non era vuota. Mark era seduto sul divano del soggiorno, con i primi bottoni della camicia sbottonati, una sigaretta accesa tra le mani e uno sguardo, al contrario, spento. La sua cravatta era stata gettata a terra, come non la sopportasse più e avesse bisogno di togliersela per tornare a respirare.

"Che ci fai qui?" gli chiese subito Ivy. "Non avevi detto che non saresti tornato?"
Mark la guardò per qualche istante, poi il suo sguardo passò su di me. "Credevi davvero ti avrei lasciata sola con lui?"
"Quindi è solo per questo?" ribatté lei.
"No... non è solo per questo, ovviamente."
"Cos'altro c'è?" lo invitò a continuare.
"Credo che dovremmo parlare."
Lei rimase in silenzio per qualche istante, poi fece un cenno di assenso con la testa.

"Vi lascio soli allora." dissi, dirigendomi verso il bagno.

Non tentai di ascoltare la loro conversazione. Pensai dovesse rimanere privata e così fu. Ma so di certo che fecero pace, perché quella notte, nonostante i tappi per le orecchie che mi avevano regalato, non riuscii a prendere sonno, e non c'è bisogno di spiegare di che natura fossero le loro urla. E infatti il mattino successivo tutto sembrava tornato alla normalità. Mark era sempre l'ultimo a svegliarsi, e, sorprendentemente, il primo ad essere pronto. Ivy ci metteva sempre un'eternità a prepararsi, ed io, vedendoli felici, come sempre, mi sentivo solo come un cane. L'ordine delle cose era perfettamente ristabilito.

Arrivammo in ufficio in orario. Salutai Mark e Ivy una volta arrivato al sedicesimo piano e subito mi diressi verso Chris.

"Ohh, chi si vede! Il nuovo fotografo della Ferreri!" disse Chris, vedendomi arrivare.
"Eh già." risposi, sorridendogli.
"Allora, programmi per oggi?"
"Non ne ho la più pallida idea! Credo debba andare a parlare con Evans di questo. Almeno così mi aveva fatto intendere ieri." dissi, con tono leggermente infastidito. Non mi andava di rivederlo dopo ciò che era successo la sera precedente. Senza voglia, mi avviai verso il suo ufficio.
"Hey, Jenny." dissi, vedendola come sempre alla sua postazione. "Evans è in ufficio?"
"No, ha detto che farà tardi. Credo abbia fatto le ore piccole stanotte." disse con tono infastidito.
"Cosa c'è? Non ne sei felice? Così avrai meno lavoro."
"Ma si... certo. Non è quello." disse lei, guardandomi con sguardo distratto.
"Il problema è con chi ha passato la notte, allora?" ribattei, consapevole di quanto mi desse fastidio che lei pensasse ad Evans in quel senso.
Cos'aveva quell'uomo più di me? I soldi, forse? Contrariamente a ciò che dicevano i miei amici, a a mio parere Jenny era una persona molto più trasparente di quanto credessero, e non mi sembrava davvero attratta da queste sciocchezze. Forse le piaceva semplicemente intimidire le altre donne a causa di quel sentimento non corrisposto che la logorava ogni giorno. Di solito sapevo inquadrare fin dall'inizio il carattere delle persone, per cui mi piaceva seguire il mio istinto. E il mio istinto mi diceva che era una brava persona.

"È così evidente?" disse lei, amareggiata.
"Non ci credo. Davvero ti interessa uno come lui?"
"Sono anni che gli sto dietro con tutti i suoi capricci e la sua testardaggine. Sono la persona che lo conosce meglio qui dentro. E ti assicuro che quando trascorri così tanto tempo insieme a lui, ti accorgi di quanto sia una persona sensibile, educata, affascinante..." ne parlava con occhi sognanti, e al contempo io sentii il sangue ribollirmi nelle vene.

Evans sensibile, educato e affascinante?!

"Quindi suppongo tu sia gelosa di quella Claire."
"Sinceramente non sono neanche sicura stiano davvero insieme. In fondo si vedono così poco. E davvero troppo poco spesso lo sento parlare con lei a telefono."
Mi guardò per un istante, come se le fosse venuta un'idea geniale.

"Jack, tu sei mio amico, non è vero?"

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