LAVANDA E TABACCO SPEZIATO

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Il giardino di Racconigi si stende intorno a me come un sogno sospeso nel tempo, una tela di quiete solenne dipinta dalla luce dorata del tramonto che accarezza i petali dei fiori e le fronde degli alberi antichi. L'aria è fresca, un respiro umido che porta con sé il profumo della terra bagnata, un sussurro di muschio e lavanda selvatica che mi avvolge come un ricordo che non so collocare. Il vento danza tra i rami, un soffio leggero che fa tremare le foglie di un castagno secolare, e io mi fermo sul vialetto alberato, i ciottoli che scricchiolano sotto i miei stivali come un canto antico. Oltre il laghetto, l'acqua riflette il cielo in un gioco di specchi dorati e arancioni, un'immobilità che mi cattura lo sguardo e mi trascina indietro, verso due date incise nella mia anima: il 1847 e il 1849. Due giorni, due incontri in due distinti anni, momenti in cui Michael entrò nella mia vita con la forza di una tempesta, un uragano di tabacco speziato e occhi che bruciano come il mare sotto il sole.

La prima volta fu a Hall Park, in Inghilterra, un'estate che profumava di rose selvatiche e ginestre, ospite di mio cugino Robert in una dimora avvolta da siepi di bosso e prati verdi che si perdevano all'orizzonte. Avevamo ventidue anni, io e Michael, e quel ricevimento tra giovani aristocratici era un balletto di maschere: sorrisi calcolati, parole che pesavano come titoli nobiliari, il tintinnio dei calici di cristallo che echeggiava nell'aria tiepida della sera. La musica di un quartetto d'archi si mescolava al fruscio delle sete e al profumo di cera delle candele che illuminavano il salone, ma io mi ero rifugiato in un angolo del giardino, lontano dalla danza e dai brindisi, il cuore stretto da un'inquietudine che non sapevo nominare. Fu allora che lo vidi per la prima volta, una figura che emergeva dall'ombra delle querce come un'apparizione: Michael Stone, figlio di un ricco commerciante delle Indie, ma con l'anima di un poeta e lo sguardo di un avventuriero che aveva attraversato mari e tempeste. I suoi occhi—marroni e blu, profondi come la terra e l'oceano—mi catturarono con una forza che mi fece tremare, un sorriso sfrontato, quasi arrogante, che mi sfidava senza parole. Indossava un completo di lino beige, la cravatta sciolta con una noncuranza che strideva con l'eleganza rigida degli altri, e i suoi capelli castani, mossi dal vento, profumavano di tabacco speziato, un aroma che mi avvolse come un incantesimo.

Non fu solo un incontro—fu una collisione, un impatto che mi squarciò il petto e mi lasciò senza fiato. Mi studiò un istante, come se potesse leggermi l'anima attraverso la mia giacca di velluto nero, poi si avvicinò con passo felpato, un predatore divertito dalla preda, il suo calore che mi sfiorava prima ancora delle sue parole. «Alessandro,» disse, la voce bassa e morbida, quell'accento inglese che scivolava come seta sulle sillabe del mio nome, «hai del tabacco? Ne avrei bisogno per rilassarmi.» Lo fissai, il cuore che martellava contro le costole, un ritmo selvaggio che mi faceva arrossire mentre cercavo di rispondere. «Sì, certo,» dissi, quasi senza rendermene conto, la voce che tremava appena, «ma non possiamo farlo qui.» Un sorriso gli incurvò le labbra, un lampo di malizia che mi fece rabbrividire, e mi fece cenno di seguirlo dietro la grande quercia accanto al laghetto, lontano dalle luci della festa, il fruscio dell'erba sotto i nostri piedi che si mescolava al canto dei grilli e al profumo dolce dell'acqua stagnante. I suoi passi erano sicuri, i miei esitanti, un'onda di calore che mi bruciava il petto mentre lo seguivo, sapendo—sentendo—che più del tabacco, Michael desiderava me.

Ci fermammo nell'ombra della quercia, il tronco ruvido contro la mia schiena, il cielo sopra di noi un manto di stelle che brillavano come diamanti sparsi. «Lo sai cosa stiamo facendo?» chiesi, il respiro corto, il cuore che batteva così forte da farmi male mentre lo guardavo, smarrito nei suoi occhi che scintillavano nella penombra. «Ti sto baciando,» rispose, la voce un sussurro caldo che mi avvolse come un abbraccio, e poi lo fece davvero. Le sue mani trovarono i miei capelli, le dita che si intrecciavano tra le ciocche con una dolcezza che mi spezzò, e le sue labbra sfiorarono le mie, un tocco leggero che si trasformò in un fuoco, una vittoria che mi reclamava senza chiedere permesso. Il mondo intorno scomparve—il suono della festa, il profumo delle rose, il peso del mio nome—e restammo solo noi, un bacio rubato al tempo, un atto di sfida contro il destino che mi fece tremare di gioia e terrore, il sapore di tabacco speziato e lavanda che mi riempiva la bocca, un incantesimo che non avrei mai dimenticato.

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