La mattina inizia come molte altre, ma ogni giorno, in questo angolo di mondo, ha il suo ritmo unico. Il sole filtra dalle finestre del cottage, proiettando giochi di luce sul pavimento in legno. L'aria ha ancora il profumo della notte trascorsa tra le coperte, mischiato a quello del caffè appena preparato.
Michael, con il solito fare rilassato, si aggira in cucina, tagliando con precisione le fette di pane e spalmandoci sopra la marmellata di more che abbiamo comprato al mercato il giorno prima.
«Perché sei sempre così serio di prima mattina?» domanda con un sorriso furbo, prendendo una fetta e premendola delicatamente sulle mie labbra.
«Sei insopportabile, Michael,» rispondo, cercando di mantenere la mia compostezza, ma la sua risata mi contagia. Alla fine cedo, mordendo un pezzo di pane. «Non ti è bastato tutto il mio sorriso di stanotte?»
Michael si siede accanto a me, posando il mento sul palmo della mano mentre mi osserva. I suoi occhi hanno quella luce maliziosa che conosco bene, ma prima che possa rispondere, qualcuno bussa alla porta. Il suono deciso e ripetuto spezza l'intimità della nostra colazione.
Michael sospira, alzando gli occhi al cielo. «E così finisce la nostra tranquillità.»
Apro la porta e trovo un uomo del villaggio, il volto segnato dalla preoccupazione. «Dottore, abbiamo bisogno di voi. È urgente. Un uomo è caduto dalla scogliera durante la tempesta della notte scorsa. Altri due sono malati, tossiscono sangue. E... c'è anche una donna, ma non capiamo cosa abbia.»
Le ultime parole mi fanno gelare il sangue. Non ho bisogno di altre informazioni per capire che potrebbe trattarsi del mal sottile, la tubercolosi.
Michael e io ci scambiamo uno sguardo rapido, poi iniziamo a prepararci in silenzio. Lui afferra la borsa con gli strumenti e le bende, io prendo un quaderno e una bottiglia di alcool per la disinfezione, insieme a un pezzo di sapone carbolico, una rarità che ho ottenuto da un farmacista londinese.
L'intervento medico
Quando arriviamo alla locanda del villaggio, ci accoglie una scena caotica. Sul pavimento, un uomo è disteso su una coperta, il volto pallido e contratto in una smorfia di dolore. Un altro, un giovane pescatore, siede su una sedia con la gamba fasciata malamente, mentre un terzo paziente tossisce in un fazzoletto già intriso di sangue.
In un angolo della stanza, una giovane donna è accasciata a terra, il petto che si alza e si abbassa in respiri irregolari. Le sue mani si contorcono, le unghie affondano nei palmi mentre il corpo trema in spasmi incontrollati. Il suo sguardo è assente, perso in un terrore che sembra averla consumata dall'interno.
Accanto a loro, con un'aria composta ma attenta, c'è un uomo distinto, vestito con abiti eleganti. Capisco subito che non è lì per caso. Il suo sguardo osserva ogni nostro movimento con una freddezza che tradisce un giudizio ancora sospeso.
«Dottore, suppongo,» dice, incrociando le braccia. «Sono qui per... osservare.»
Non rispondo subito. Prima mi lavo accuratamente le mani in un catino con acqua calda e sapone, strofinando bene tra le dita. Michael, abituato ai miei metodi, mi porge un panno pulito per asciugarmi.
Il medico scrutatore solleva un sopracciglio.
«Un'abitudine insolita per un dottore di campagna,» commenta con tono sprezzante.
Non mi degno di rispondere. Mi inginocchio accanto all'uomo disteso sul pavimento. Il suo respiro è affannoso, la pelle sudata e fredda. Quando apro la camicia, scopro una brutta ferita sul fianco, coperta da un bendaggio improvvisato e ormai sporco di sangue secco.
«Come è successo?» chiedo, senza distogliere lo sguardo dalla ferita.
Uno dei presenti risponde: «Ha perso l'equilibrio vicino alle scogliere durante la tempesta. Lo abbiamo trovato stamattina, era privo di sensi.»
Michael mi porge una soluzione di alcool, che uso per pulire la ferita. L'uomo sussulta al bruciore, ma rimane immobile mentre lavoro con precisione.
«Dovete tenerlo al caldo e dargli da bere solo acqua con miele per le prossime ore. La ferita è profonda, ma non sembra infetta per ora,» spiego.
Mi sposto poi verso il giovane pescatore con la gamba fasciata. Quando sciolgo la benda, un odore pungente mi assale: la ferita è già infetta.
«Questa ferita doveva essere trattata subito,» dico con un tono più duro di quanto avrei voluto. «Dovremo incidere e drenare il pus prima che si diffonda.»
Michael prepara un bisturi che disinfetto con alcool prima di incidere con attenzione. Il pescatore sussulta, stringendo i denti per il dolore, ma non si tira indietro.
L'isteria
Infine, mi avvicino alla donna ancora accasciata a terra.
«Da quanto è in questo stato?» chiedo.
«Ha iniziato questa mattina. Non riesce a smettere di tremare, non parla, piange e urla a intermittenza. Il marito dice che è sempre stata una donna fragile, ma non l'abbiamo mai vista così.»
Mi inginocchio accanto a lei, cercando di catturare il suo sguardo. Le sue pupille si muovono incerte, come se fosse prigioniera di un incubo dal quale non riesce a svegliarsi.
Michael si avvicina con un bicchiere d'acqua e qualche goccia di valeriana.
«Proviamo a farle bere questo,» suggerisce.
Le porto il bicchiere alle labbra, ma le sue mani tremano così forte che non riesce a tenerlo. Michael mi aiuta a sorreggerla, e finalmente riesce a bere qualche sorso.
Dopo qualche minuto, il suo respiro si calma, gli spasmi si attenuano.
Mi volto verso il medico osservatore.
«Ecco il mio miracoloso rimedio,» dico con un sorriso appena accennato.
Lui annuisce, pensieroso.
Il malato di tubercolosi
Ha il viso smunto, le mani tremanti e il respiro sibilante. Quando tossisce, noto il sangue fresco sul fazzoletto.
Il medico elegante si avvicina, la sua voce priva di emozione. «E per lui? Quale sarebbe il vostro miracoloso rimedio?»
Lo guardo, capendo che sta mettendo alla prova le mie capacità.
«Aria fresca, riposo e una dieta nutriente. Ma soprattutto, separarlo dagli altri.»
Il medico solleva un sopracciglio. «Separarlo? Lo trattereste come un lebbroso?»
«No,» rispondo con fermezza. «Lo tratterei come un uomo che merita di vivere. Ma se resta qui, rischia di contagiare tutti.»
Michael si avvicina, posando una mano sulla spalla del malato con un gesto di conforto. «Lo porteremo in un luogo sicuro, dove avrà cure adeguate.»
Il medico resta in silenzio per un lungo momento. Poi, con un cenno della testa, dice: «Vedo che il vostro approccio non è del tutto privo di logica.»
È il massimo complimento che mi aspetto da lui.
Più tardi, mentre torniamo al cottage, Michael mi guarda e dice:
«Sai che oggi eri sotto esame, vero?»
«Lo so,» rispondo con un sorriso stanco.
«E secondo te, come te la sei cavata?»
Mi fermo un attimo, guardando il mare in lontananza.
«Direi che ho fatto ciò che era giusto.»
Michael mi prende per mano.
«Ecco perché sei il migliore.»
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HO DETTO AMORE - Il ciondolo segreto -
RomanceTorino, 1850. Può un amore sopravvivere quando il mondo lo condanna? Può un sentimento bruciare senza essere mai pronunciato? Alessandro Crepuett, giovane aristocratico, ha sempre saputo qual era il suo posto: erede di una famiglia potente, cugino d...