Il mio diario è aperto sullo scrittoio, la penna tra le dita. Scrivo. Scrivo perché ho bisogno di dare un senso a ciò che mi circonda, di fermare su carta ogni dettaglio prima che svanisca nel nulla.
In una serata affannosa, mentre Torino si avvolge in una calma irreale, mi aggiro inquieto nello studio di mio padre. La luce tremula delle candele danza sulle pareti rivestite di legno scuro, deformando le ombre degli scaffali di palissandro, quasi fossero spettri pronti a inghiottirmi.
Il silenzio della casa è assordante, un vuoto che rimbomba nelle stanze come un sussurro di solitudine e pesa su di me come un macigno.
Un nome mi sfugge dalle labbra, quasi un grido soffocato: "Michael."
La gola si stringe, il petto si contrae in un dolore sordo e bruciante, come se qualcosa dentro di me si stesse frantumando, pezzo dopo pezzo. Mi strappo il cravattino con un gesto rabbioso, lo scaglio lontano, poi la camicia, rimanendo con il petto nudo contro il marmo gelido del camino. La sua freddezza è un pugno alla carne, un contrasto feroce con il fuoco che mi divora dentro.
Batto tre volte il capo contro la pietra, come se potessi ricacciarlo via, come se bastasse il dolore fisico a soffocare quello che mi lacera dentro. Ma il nodo alla gola si scioglie, e un singhiozzo mi sfugge, crudo, inarrestabile. Un suono che odio, perché mi rende fragile, vulnerabile. Io, Alessandro Crepuett, Conte, uomo, figlio della mia epoca. Ma cosa sono adesso, se non un involucro svuotato?
Sollevo lo sguardo e vedo il mio riflesso nello specchio accanto alla finestra. Un uomo disfatto. Gli occhi arrossati, i capelli scompigliati, il respiro affannoso. Un corpo che regge a fatica il peso di un'anima appesa a qualcosa. Un uomo senza il suo amore.
E poi lo vedo. Michael. Il suo sorriso gentile sotto il grande albero della tenuta di Maryfield. L'aria fresca d'Inghilterra che arriccia i suoi capelli, la camicia aperta sul collo, le mani sporche di terra perché quel giorno aveva riso, aveva giocato, aveva corso senza pensieri. Lo vedo come se fosse qui, davanti a me, come se il tempo non avesse importanza, come se ogni distanza potesse essere cancellata con un battito di ciglia.
Ma è solo un'illusione. Un inganno crudele della mia mente.
L'immagine si dissolve, si sgretola, mi lascia solo con il mio tormento. Lui è lontano. E forse, tra qualche tempo, anche il suo amore sarà un ricordo.
Sento il vuoto risucchiarmi, la disperazione farsi carne, ossa, sangue. Mi stringo le braccia attorno al petto, come se potessi tenere insieme i pezzi di me che vanno in frantumi.
"Michael," sussurro ancora, la voce spezzata, sapendo che non può sentirmi. E sapendo che senza di lui, niente ha più senso.
Un leggero rumore mi desta. La voce di Amalia, dolce ma piena di preoccupazione, rompe il silenzio. «Fratello, che succede? Ho sentito un trambusto.»
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HO DETTO AMORE - Il ciondolo segreto -
Historical FictionTorino, 1850. Può un amore sopravvivere quando il mondo lo condanna? Può un sentimento bruciare senza essere mai pronunciato? Alessandro Crepuett, giovane aristocratico, ha sempre saputo qual era il suo posto: erede di una famiglia potente, cugino d...