Alessandro aveva trascorso la notte nello studio del padre, aggirandosi come un animale braccato, avanti e indietro, dalla grande libreria in palissandro alla finestra accanto alla scrivania. La bottiglia di brandy completamente vuota cadde a terra, e pochi secondi dopo anche lui crollò.
Portò le mani sul capo, aggrottando una smorfia mentre una fitta allo stomaco gli raggiungeva prima la gola e poi il cervello. Iniziò a farfugliare sillabe a casaccio finché non pronunciò chiaramente un nome maschile: "Michael". Si strappò il cravattino bianco e si tolse la camicia, rimanendo a petto nudo e appoggiando parte del capo sul marmo del camino. Batté tre volte la nuca ripetendo: "Perché? Perché?"
Finalmente quella catena che lo avvinghiava come una morsa si allentò e riuscì a respirare. Quanta forza e volontà servono a un uomo per piangere? Si sfilò i pantaloni e rimase per un lunghissimo istante immobile fissando il suo splendido corpo riflesso nello specchio accanto alla finestra; poi strinse il capo fra le ginocchia e deglutì l'amarezza, l'inconsistente pulviscolo di una vita che gli scorreva davanti, e finalmente pianse in un lungo singhiozzo che gli scorreva sulle guance, sulle labbra e sul collo.
"Fratello, che succede? Ho sentito un trambusto." La voce di Amalia era appena un sussurro, carico di preoccupazione e di tensione.
Amalia chiuse lentamente la porta e si avvicinò al fratello, si tolse lo scialle di lana e avvolse le spalle nude di Alessandro. Accompagnò il viso del fratello fra le sue mani, gli accarezzò i capelli e si sedette accanto a lui. Lo fece distendere sulle sue ginocchia chinandosi più volte a baciargli la fronte.
"Stai soffrendo tanto," disse Amalia, la voce incrinata dall'emozione, sapendo di non ottenere risposta. Ma la risposta era di fronte a lei: suo fratello le aveva finalmente rivelato la grandezza e la debolezza della natura umana e la straordinaria immagine della compassione, del soffrire fra le braccia di un'altra persona, donando e condividendo la più intima complessità dell'esistenza.
"Ora dormi, Alessandro. Resto qui con te, prendo una coperta dalla poltrona."
"No, Amalia," sospirò Alessandro, cercando la sorella nel chiaroscuro della stanza. "Non voglio sapere nulla. Sei mio fratello. Siamo soli in questo ingiusto mondo," balbettò Amalia, proseguendo con un leggero rossore in viso. "Copriamoci, voglio dormire accanto al mio bellissimo fratello."
Alessandro la strinse a sé, appoggiò le labbra sull'orecchio della sorella, scostando qualche riccio biondo che gli stuzzicava il viso. "Tu e Pietro vi amate come penso io?"
"Sì, fratello, ma domani dovrò dirgli addio." La voce di Amalia tremava, il dolore evidente comprimeva ancora e ancora il suo petto.
"Ti accompagno io. Nostra madre non ti farà uscire neppure con Marianna." Alessandro parlava con una determinazione feroce, come se volesse combattere il mondo intero per lei. Ma in verità desiderava affrontare l'arena della società anche per il suo tormento che gli soffocava la gola.
"E tu cosa farai?" disse Amalia, arrossendo, sentendo il peso delle proprie scelte e in qualche modo, anche quelle del fratello.
"Invidio il tuo Pietro, può sposare chi vuole e per certi versi può amare chi desidera," pronunciò secco Alessandro, accarezzando disinvolto il ciondolo. "Non è giusto, Amalia. Non è giusto."
"Ma non può sposare me!"
Amalia prese il ciondolo fra le dita e guardò il fratello con un rispettoso ma intimo accenno di amore negli occhi. "Tu lo ami il ragazzo del ciondolo?"
"Sì, lo amo, sorella. Lo amo come non ho mai amato nessuno, assurdo sorella, lo amo più di te e sei la persona che adoro più di ogni altra in questa maledetta terra." La sua voce era un sussurro carico di dolore ma anche passione e evasione da un ristretto circolo che attanagliava la sua esistenza.
"Allora, fratello mio, sogniamo qualcosa di bello che possa accadere."
"Credi davvero, sorella, che basti un sogno? Se fossi il Capo della Famiglia potrei già fare di più per te. Nostra madre andrebbe nella casa vedovile a Racconigi e non potrebbe ostacolare le mie decisioni."
"Ti prego, fratello, non voglio neppure pensarci!" Amalia lo guardò con terrore negli occhi, temendo i cambiamenti che avrebbero potuto travolgerli. Anche Alessandro sapeva perfettamente che i cambiamenti dovevano essere lenti e impercettibili, l'immobilità di una pedina in uno scacchiere senza forzare il gioco. Nessuno doveva vincere, nessuno doveva perdere. Bisognava trovare una crepa per insidiarsi dentro e aspettare. E poi finalmente sferzare il colpo finale.
"Intanto, quello non te lo sposi. Asseconda nostra madre, vai in Inghilterra ti prego, non fare pazzie. A volte bisogna essere freddi. Riuscirò a convincere Sua Maestà, ti fidi di me?"
"Sì," sospirò Amalia, abbracciando il fratello mentre la leggera luce del fuoco giocava sui loro visi e il ciondolo scintillava.
"Come si chiama?" azzardò Amalia, cercando di spezzare la tensione.
"Michael."
ALESSANDRO MICHAEL E ROBERT il cugino inglese (alla destra di Alessandro)
"Un bel nome. Non è italiano, il ciondolo è un suo regalo?" chiese Amalia, cercando di sorridere.
"È di Londra, e sì, è un bellissimo nome. Il ciondolo è suo, sorella, proviene da Praga, lo ha creato un alchimista per me."
Alessandro chiuse gli occhi, ricordando il volto di Michael, sorridente dietro il grande albero tutto contorto, sul lago della tenuta di Maryfield fuori Londra, dagli zii; e un sorriso triste sulle labbra scavò una leggera ruga mentre le dita di Amalia gli accarezzavano gli occhi dolcemente.
"Fratello mio, sogna il tuo Michael."
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HO DETTO AMORE - Il ciondolo segreto -
RomanceTorino, 1850. Alessandro e Michael, due giovani di mondi opposti, sono legati da un amore proibito. Alessandro, un nobile ribelle dell'aristocrazia sotto il regno di Vittorio Emanuele II e le riforme di Cavour, nasconde il suo amore per Michael, un...