La mattina è fredda, il cielo velato da nubi grigie che sembrano riflettere il carattere di mia madre. La carrozza attende nel cortile, nera e lucente, con finiture d'argento e stemmi che gridano l'appartenenza a un mondo che qui, tra le colline e il mare, sembra così lontano da ogni significato. I cavalli, perfettamente bardati, scalpitano impazienti, quasi percepissero l'urgenza della donna che sta per partire.
Matilde si erge come una statua sulla soglia della villa, avvolta in un abito di velluto nero, ornato con dettagli dorati che brillano alla luce fioca del mattino. Il mantello, lungo e ricamato con lo stemma di famiglia, ondeggia appena sotto la brezza, un simbolo tangibile della sua autorità. I suoi guanti di pelle nera, perfettamente aderenti, stringono il manico di un bastone intarsiato d'argento, un accessorio che non nasconde il suo potere.
Si volta verso di me, i suoi occhi gelidi che sembrano scrutarmi fin dentro l'anima. "Alessandro," esordisce con il tono di chi sta emettendo un verdetto, "ogni denaro e ogni rendita del nostro casato, incluso il marchesato di Orange, non ti spetta più. Tutto resterà a Torino, al futuro capo della mia casa, tuo nipote. Lui erediterà ciò che tu hai rifiutato, ciò che tu hai sprecato."
Le sue parole sono pesanti come pietre, eppure non riesco a rispondere. Il mio silenzio sembra darle ulteriore forza. "Sei stato abbandonato da tutti, Alessandro," continua. "Amalia, Pietro, Robert... non aspettarti nulla da loro. Il mondo non aspetta chi si tira indietro. Non c'è posto per te nella mia casa, nella mia famiglia. Tieniti questi sassi, questi pescatori, queste illusioni. Questo è tutto ciò che hai scelto."
Michael, accanto a me, mi stringe il braccio con forza, ma rimane in silenzio. È un silenzio che conosce troppo bene, quello che segue i colpi più crudeli.
"Quanto a tua sorella..." Matilde fa una pausa, il suo tono cambia appena, diventando quasi malinconico. "Amalia è come me, Alessandro. Non cederebbe mai il suo posto, neanche per Pietro, neanche per l'ideale romantico che voi amate tanto immaginare. Lei è ossessionata dai poveri, è vero, ma non potrebbe mai vivere senza la corte e i salotti. Sono il suo mondo, la sua vita. La capisco, perché io ero uguale. Pietro è stato il miglior compromesso possibile. E tu... beh, in questo devo riconoscerti del merito. Hai trovato l'uomo giusto da trasformare in un conte. È un peccato, però, che tu abbia rinunciato a tutto per ottenere così poco."
Ogni frase è una lama che taglia sempre più in profondità. Cerco di rispondere, ma la voce mi manca. La rabbia, il dolore, l'umiliazione si intrecciano in un nodo che mi stringe la gola.
"E Robert?" continua, il suo sorriso che si piega in qualcosa di velenoso. "Pensavi davvero che fosse dalla tua parte? Lui appartiene alla mia visione, al mio mondo. È ciò che tu avresti dovuto essere. Il figlio che avrei voluto. Anche tuo nipote seguirà il suo esempio, grazie a me. Il futuro della nostra famiglia è assicurato, Alessandro, nonostante te."
Matilde e la giustificazione di Amalia
Matilde si volta leggermente, come se stesse per concludere il suo discorso. Poi torna su Amalia, il suo tono questa volta più morbido, ma non meno tagliente. "Non odiarla, Alessandro. È il suo modo di sopravvivere. Non è mai stata abbastanza forte per vivere come vivi tu. Pietro, tuo nipote, i poveri... sono tutte distrazioni, nulla più. La corte è il suo rifugio, e io non la biasimo. Ha fatto quello che doveva per rimanere rilevante."
Michael scuote la testa. "Come può essere rilevante qualcuno che perde sé stesso per un posto in un salotto?"
Matilde lo fissa, le labbra che si incurvano in un sorriso freddo. "Voi due non potete capire, vero? L'amore, il sacrificio, le erbe... sono così poetici, così inutili. Ma non sono la realtà. Amalia, Robert, perfino Pietro hanno scelto di vivere nella realtà. E io li ho aiutati. E ora ti lascio questo rifugio, Alessandro, perché almeno tu non possa dire che ti ho lasciato senza niente. Anche se," conclude con un ghigno amaro, "persino questo è più di quanto meriti."
La partenza
Matilde si dirige verso la carrozza, il mantello che si muove con lei come un'ombra viva. Prima di salire, si ferma e si volta un'ultima volta. "Addio, Alessandro. Non aspettarti altro da me. E non aspettarti altro dal mondo."
Il rumore delle ruote della carrozza che si allontanano riempie l'aria, graffiando il silenzio come una ferita aperta. Michael mi stringe il braccio, la sua mano un'ancora nel vortice di emozioni che mi travolge. Il lupo, che fino a quel momento era rimasto immobile, si avvicina e appoggia il muso sulle mie ginocchia, il suo calore un conforto che nessuna parola potrebbe darmi.
Michael sussurra, la voce rotta ma piena di convinzione. "Non sei solo, Ale. Non lo sarai mai."
L'ultimo ricordo della Contessa
Mentre Belladonna scompare tra le ombre del bosco e la radura si riempie di un silenzio irreale, la Contessa Madre resta immobile. Il suo volto, sempre severo e imperturbabile, si contrae per un istante. È una crepa, una fessura nella maschera che ha indossato per tutta la vita.
Mi volto verso di lei, incerto. «Madre?»
Non risponde subito. Il suo sguardo è fisso sui frammenti di ciondolo ormai spenti che giacciono nello scrigno chiuso da Belladonna. Le sue mani, di solito ferme, tremano appena mentre stringono i bordi della sedia. Poi, con un sussurro, pronuncia parole che mi gelano il sangue.
«Io ricordo.»
Michael mi stringe la mano, il suo sguardo vigile su di lei.
«Cosa ricordi?» domando, con una voce che non riconosco.
Mia madre solleva gli occhi su di me, e per la prima volta non c'è né rabbia né odio, ma solo un vuoto strano, un misto di rimpianto e di sfida.
«Tutto,» risponde. «Ogni varco, ogni distorsione, ogni errore. Io ricordo. Non importa quanto Belladonna abbia chiuso le porte. Io le ho viste aprirsi e chiudersi, ho sentito il tempo spezzarsi e ricucirsi. Quel potere... mi apparteneva, e mi appartiene ancora, anche se è morto con quei ciondoli.»
Mi avvicino lentamente. «E cosa farai con questi ricordi, madre? Cercherai di ricominciare? Di distruggere ancora?»
Un sorriso amaro increspa le sue labbra. «Non posso ricominciare. Non posso fare nulla. Belladonna ha chiuso tutto, ma mi ha lasciato il peso di ricordare ciò che ho fatto, ciò che non posso più avere.»
Il suo sguardo si abbassa, e per un attimo vedo il riflesso di una donna diversa, una giovane Matilde, vittima delle ambizioni di suo padre e dei segreti della sua famiglia.
«Siete liberi,» dice infine, con un tono che ha il sapore di una resa. «Ma io non lo sarò mai. I miei ricordi sono la mia prigione. Ogni notte, Alessandro, rivedrò ciò che ho distrutto. Ogni varco, ogni sofferenza che ho inflitto. Persino l'amore che non ho saputo proteggere.»
Un addio silenzioso
Mentre io e Michael ci allontaniamo dal palazzo, la figura di mia madre rimane immobile, come una statua scolpita nel marmo. So che la sua punizione è già iniziata. Il ricordo di ciò che ha fatto sarà il suo tormento, il peso che porterà fino alla fine.
Michael si ferma, guardando la villa alle nostre spalle. «Credi che possa cambiare?» chiede, la sua voce è appena un sussurro.
Stringo la sua mano. «Non lo so,» rispondo, il cuore diviso tra pietà e rabbia. «Ma non è più un nostro problema. Lei ha scelto il suo destino. E noi... abbiamo scelto il nostro.»
E con quelle parole, ci avviamo verso il nostro futuro, lasciando alle nostre spalle non solo un palazzo, ma un'intera vita di lotte e di catene spezzate.
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HO DETTO AMORE - Il ciondolo segreto -
RomanceTorino, 1850. Può un amore sopravvivere quando il mondo lo condanna? Può un sentimento bruciare senza essere mai pronunciato? Alessandro Crepuett, giovane aristocratico, ha sempre saputo qual era il suo posto: erede di una famiglia potente, cugino d...