Lascia questa città, Ethan

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Rimasi immobile a fissare l'email. Non era tanto il contenuto del messaggio a spaventarmi, quanto la ripetizione di quelle parole.

Così solo. Così solo.

Le pronunciai in silenzio dentro di me, senza riuscire ad allontanare gli occhi dal monitor del computer.

Come aveva fatto ad ottenere il mio indirizzo di posta elettronica?

Io ti conosco, Ethan.

Rilessi più e più volte, lentamente.

Si rivolgeva a me come se mi conoscesse davvero.

Era forse così?

Non lo potevo sapere.

Recuperai dal portafoglio il biglietto da visita che il detective Hart Miller mi aveva lasciato la notte precedente e composi il suo numero di telefono.

Rispose al primo squillo.

<<Miller.>>
<<Detective, sono Ethan Welback. Mi aveva detto di chiamarla se mi fosse venuto in mente qualcosa. Beh, c'è molto più di qualcosa, qui.>>
<<Dove si trova?>> mi domandò.
<<Nel mio ufficio. Credo proprio che dovrebbe fare un salto da queste parti insieme ai suoi informatici.>>

Gli fornii l'indirizzo della sede del giornale e riagganciai.

Informai Hattinson dell'imminente arrivo della Polizia e lui volle sapere cosa fosse successo. Gli mostrai l'email che avevo ricevuto e mi parve di riconoscere un'espressione di fastidio sul suo volto. Sapevo che voleva un articolo al più presto, ma in quel momento non c'era altro che avrei potuto fare. Anche se, a dire il vero, dubitavo che Miller sarebbe riuscito a risalire a qualche traccia o a qualche indizio importante grazie a quel messaggio.

Miller arrivò in quindici minuti insieme a tre tecnici informatici. Spiegai ciò che era successo e poi lasciai loro il mio computer. Non ebbi neanche il tempo di cercare informazioni sulla prima vittima, Gloria Stewart, come era mia intenzione fare.
Decisi che sarei tornato a casa e che me ne sarei occupato nel pomeriggio.
Scambiai alcune parole con Miller, salutai Hattinson tranquillizzandolo circa l'articolo che avrebbe ricevuto a breve e mi diressi verso l'uscita.
Davanti alla porta, Miller mi bloccò, trattenendomi per un braccio.

<<Ethan>> disse <<lasci che la accompagni.>>

Annuii, quindi uscimmo dall'edificio insieme.

Salii sulla mia Cinquecento e lui si sedette accanto a me.

<<Perché mi vuole accompagnare, detective?>> gli domandai, mettendo in moto.

Lui esitò. Guardò fuori dal finestrino e poi sembrò fissare con gli occhi lo specchietto retrovisore.

<<Da quanto tempo vive qui a Virginia, Ethan?>> mi domandò, a bassa voce.
<<Da poco. Un paio di mesi.>>
<<E mi ha detto che prima abitava a New York, giusto?>>
<<Giusto.>>
<<Non è mai stato in questa cittadina, in passato?>>
<<Qualche volta, durante le vacanze di Natale, più che altro. Con la mia ex ragazza, Marianne. Come le dicevo l'altra notte, lei vive qui. Ci siamo separati ed è tornata ad abitare vicino ai suoi genitori.>>
<<Da quanto tempo vi siete lasciati?>>
<<Sei mesi>> risposi, suonando il clacson a una jeep che stava bloccando il traffico di fronte a noi.
<<Sei mesi. Quindi lei è tornato qui un paio di mesi fa per Marianne?>>
<<Già. Ma perché queste domande?>>
Lui esitò, appoggiò la testa allo schienale del sedile e mi rispose, continuando a parlare a voce bassa.
<<Perché il messaggio che ha ricevuto significa qualcosa. Sembra che la persona che glielo ha inviato la conosca davvero, Ethan. E l'ho voluta accompagnare per dirle di stare attento. Molto attento. Non vale soltanto per lei, ma anche per le persone che ama. Questa Marianne...>>
Provai un brivido a quelle parole. Non ci avevo ancora pensato.
<<Che cosa...?>>
<<Chi ha ucciso la ragazza alla scuola di ballo...potrebbe essere qualcuno che stiamo cercando da anni. Le sue vittime...se si tratta della persona alla quale mi sto riferendo... in genere sono donne. Ragazze. L'email che ha ricevuto deve essere un monito, Ethan. Siamo tutti in allerta da ieri notte. Perché in quella persona c'è qualcosa di terrificante. Qualcosa di malato che va al di là dell'umana comprensione. Se queste mie ipotesi dovessero rivelarsi giuste, farebbe bene a chiamare la sua ragazza e convincerla ad andarsene da qui oggi stesso. Insieme a lei.>>
<<Ex-ragazza>> dissi, in un sospiro.
<<Siete stati insieme, lei e Marianne, da quando si è trasferito a Virginia?>>

Scossi la testa.

<<Mai>> risposi. <<Non ho mai trovato il coraggio di chiamarla, nonostante sia venuto fin qui per lei. Non ancora.>>
<<Questo potrebbe essere un bene, allora. Potrebbe non avervi visti insieme.>>

Esitai, fermando la Cinquecento davanti al rosso di un semaforo.

<<Perché? Che cosa sta cercando di dirmi?>>

Miller si strofinò gli occhi e poi mi guardò con un'espressione seria, cuipa, come se stesse scrutando a fondo dentro di sé più che dentro di me.

<<L'email che ha ricevuto, Ethan, è molto simile a qualcosa che io ho già visto. Esattamente dieci anni fa. Un uomo che all'epoca lavorava con me... ne aveva ricevuta una identica, o quasi. L'assassino gli aveva scritto nello stesso modo in cui ora sembra aver scritto a lei.>>

Un altro brivido percorse il mio corpo.

<<Che cosa è accaduto poi a quel suo collega?>>

Miller sbuffò, sospirò, appoggiò la testa contro il finestrino. Poi riprese a parlare, fissando la strada davanti a noi.

<<L'assassino uccise sua figlia, e gli fece trovare il cadavere su una panchina, nel parco di fronte alla casa in cui vivevano.
Le tagliò la gola da una parte all'altra, poi la vestì e la truccò come una ballerina. La portò in quel giardino e la mise seduta sulla panchina, con la testa piegata all'indietro, gli occhi rivolti verso l'alto.
Da dietro, sembrava che fosse viva e che stesse guardando il cielo. Invece era morta da un pezzo.
Poi telefonò al mio partner e gli disse che qualcuno lo stava aspettando ai giardinetti.>>

Fece una pausa, come se stesse ripensando alle parole che aveva appena pronunciato.

<<"Ai giardinetti" disse. Usò proprio quel termine>> concluse Miller, scuotendo la testa.

Le mani mi si bloccarono sul volante. Il cuore aveva accelerato i battiti. Fissai il detective e per un attimo ebbi l'impressione di scorgere ciò che si portava dentro. La tenebra.

<<Ti darò del tu, perché potresti essere mio figlio. E permettimi di darti un consiglio.>>

Annuii.

<<Lascia questa città, Ethan. Lasciala subito.>>

Tornai a fissare la strada, poi ci fu qualche minuto di silenzio tra noi.

<<Come si chiamava?>> chiesi infine, quando ci ritrovammo fermi davanti a un altro semaforo <<come si chiamava il suo partner?>>

Hart Miller non rispose subito. Rimase in silenzio per un tempo che a me parve interminabile e poi, all'improvviso, i suoi occhi diventarono lucidi.

<<Si chiamava Ryan>> disse infine, in un sussurro <<Ryan Cooper. Non era soltanto il mio partner, era il mio migliore amico. Era una persona per bene. Come un fratello, per me. Ma la nostra era una lotta contro un male folle, privo di spiegazione, di logica o di pietà. Quella persona, la persona alla quale abbiamo dato la caccia per anni... alla fine si è insinuata nella sua vita, e in una frazione di secondo tutto il suo mondo, ciò che aveva costruito con fatica e pazienza nel corso degli anni... una vita intera...è crollato in pezzi. Tutto, per sempre.>>

Si interruppe, poi posò una mano sulla mia spalla. Per una volta ancora, i suoi occhi entrarono nei miei.

<<La mail che hai ricevuto... non l'ho voluto dire a nessuno al giornale, per non dar vita a timori e ansie premature... ma io so che è lui. Il messaggio ricevuto da Ryan era identico, e il contenuto non era stato divulgato a nessuno. Ci sta facendo sapere che è proprio lui, e che è tornato. Per questo te lo ripeto, Ethan>>; si interruppe, strinse le dita della mano sulla mia spalla, con forza, <<lascia questa città. Lasciala prima che puoi. Prima che sia troppo tardi.>>

La ballerinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora