Lago di sangue

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Io e Ryan salutammo Elizabeth Skin e ci preparammo a lasciare il Cogan's.

<<Dobbiamo avvertire Miller di quanto ci ha rivelato la direttrice>> gli dissi, mentre lui terminava la birra.
<<Lo farò io questa notte stessa. >>

Claire Goodway era salita più volte su un'automobile scura, ed ero convinto che avremmo dovuto incominciare proprio da lì la nostra ricerca.

Ci scambiammo i numeri di telefono, poi lui mi lasciò l'indirizzo del motel in cui aveva affittato una stanza.

Ci salutammo con la promessa che il giorno successivo ci saremmo rivisti. Mi disse che era molto stanco e che aveva bisogno di dormire, e che avrebbe approfondito insieme a me anche ciò che riguardava la prima vittima, Gloria Stewart, l'indomani.

Non gli credetti, in realtà. Aveva l'espressione di chi era ansioso di fare qualcosa, di cercare qualcosa.

Tuttavia non insistetti per farlo rimanere ancora. Lo accompagnai all'uscita del locale, pronto a tornare verso il mio appartamento, ma poi decisi di tenergli compagnia mentre aspettava il taxi che aveva chiamato.

C'era qualcosa, in Ryan Cooper, che mi piaceva. Ne ero sempre più sicuro. Sembrava una brava persona, in tutti i sensi. Ma la luce che potevo vedere nei suoi occhi mi faceva scivolare in un mondo che stava crollando a pezzi. Accadeva ogni volta che lo guardavo in faccia.

Il taxi arrivò e ci salutammo.

<<Buonanotte, Ryan>> gli dissi.
Lui mi rispose con un cenno del capo e scomparve all'interno della vettura.

Perdere una figlia.

Potevo capire ciò che lo sconvolgeva, ma sapevo di non poter realmente decifrare i suoi pensieri. Il suo era un dolore che andava oltre ogni possibile limite di immaginazione.

Incominciai a camminare verso il mio appartamento, poi, senza una ragione, presi in mano il cellulare. Il display segnava le dieci.

D'un tratto mi sentii solo.

Le dieci.

Forse non era tardi per provare a fare ciò che mi era appena venuto in mente.

Tornai al Cogan's, mi diressi alla cassa e comperai una bottiglia di vino. Sapevo che non era un buon vino, ma a quell'ora era meglio di niente. Stavo per uscire, quando notai tra i tavoli un ragazzo indiano che provava a vendere delle rose ai pochi clienti rimasti. Mi avvicinai, gli diedi venti dollari e comperai tutto il mazzo.

Poi uscii e chiamai anch'io un taxi.

Dieci minuti dopo ero davanti alla villa in cui abitava Marianne. Era tornata a stare momentaneamente con i suoi genitori. Forse aveva già cenato, ma almeno avremmo potuto bere un bicchiere di vino insieme. O forse ero lì perché ero spaventato e preoccupato per lei.

Non aveva importanza.

La dovevo vedere.

Suonai il campanello e mi aprì Caroline, la madre. Non la vedevo da un anno, più o meno. Ci fissammo per qualche istante, poi lei mi sorrise.

<<Ethan>> disse, con la sua cadenza francese. Anche Marianne era francese. Nata a Parigi, dove aveva vissuto fino alla tarda adolescenza.

<<Caroline. Come stai?>>
<<Sto bene, Ethan. E tu?>>
<<Bene. È un po' che non ci vediamo, eh?>>
Lei annuì, poi scosse la testa.
Le piacevo, le ero sempre piaciuto, a dire il vero. Ma era strano che non mi avesse ancora invitato a entrare.

<<Chi è, Carol?>> La voce di suo marito, Gerard, spezzò il silenzio che si era creato tra di noi.

<<Marianne... Lei... abita nella villa accanto. È in affitto per ora, ma sembra che sia intenzionata ad acquistarla.>>

La ballerinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora