Dire addio

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Erano trascorse oltre ventiquattr'ore da quando avevo lasciato Norma Stone a Rose Haven.

Ero tornato a Virginia, avevo raggiunto Marianne all'ospedale e avevo trascorso la notte su di una sedia, accanto a lei.

Avevo avuto modo di pensare a quanto era accaduto a casa di Norma. A ciò che avevo scoperto.

Adesso, Ray Dwight era di fronte a me, al di là del vetro divisorio che ci separava.

<<Ethan. Ethan. Ci vediamo spesso, ultimamente. Suppongo che tu sia qui per darmi le informazioni di cui mi avevi parlato. Per mantenere la nostra promessa. È così?>>

Annuii. Ero tornato per quella ragione.

<<Tua madre Evelin è morta in seguito a un incidente, Ray. Mi dispiace tantissimo. Davvero.>>

Lui scosse la testa, poi si alzò in piedi. Appoggiò le mani ammanettate contro il vetro, chiuse gli occhi per qualche istante e li riaprì.

<<Un incidente?>> domandò ancora, senza sfumature nella voce.

Annuii.

<<Mi stai mentendo, Ethan. Io la ricordo così bene. Ricordo l'ombra nella notte. Quella che l'ha portata via da noi. È stata lei a dar vita al fuoco, Ethan. Le fiamme della morte non si sono più spente, dopo. Riesci a capirlo?>>

Esitai. Ray poteva anche avere ragione, dopotutto. Norma mi aveva detto che si era trattato di un incidente, ma era pur sempre la sua parola, nulla di più. Avrebbe potuto mentirmi. Eppure, lo stesso istinto che mi aveva condotto fino a lei adesso mi suggeriva anche di credere alle sue parole. Ero convinto, in fondo, che si fosse davvero trattato di un incidente.

<<Fu un incidente, Ray>> gli dissi. << Non esiste nessuna ombra. Soltanto quelle create dalla tua fantasia. Tua madre morì a causa dell'incendio provocato dalla rottura di una lampada a olio. Mi dispiace tantissimo.>>

Rimanemmo entrambi in silenzio. Cercai i suoi occhi ma non li trovai. Per la seconda volta, li aveva chiusi.

All'improvviso una lacrima gli rigò il volto.

Mi alzai e appoggiai la mia mano contro il vetro.

<<Ray>> dissi, <<c'è qualcosa che vuoi dirmi, per caso?>>

Pensavo agli omicidi avvenuti tra il 2003 e il 2006. Quelli per i quali io e Ryan credevamo che lui fosse colpevole. Non so perché gli feci quella domanda. Forse, stupidamente, speravo in una confessione, dato che era venuto a sapere qualcosa in più sulla morte della madre.

<<Come lo sai?>> mi domandò, <<come sai che si è trattato di un incidente?>>

Sospirai.

<<Ho svolto delle ricerche>> mentii, <<e ho avuto accesso ai dossier del caso, quelli relativi alla sera dell'incendio. Nella scuola di danza non c'era più nessuno. Soltanto voi e vostra madre. Già all'epoca vi furono delle indagini al riguardo, in ogni caso.>>

Non gli avrei mai parlato di Norma Stone. Sarebbe stato un rischio troppo grande da correre.

Ray rimase in silenzio. Non mi disse nulla di ciò che speravo circa gli omicidi di tredici anni prima, e sapevo che, se fosse stato davvero colpevole -come credevo- comunque non avrebbe avuto nessuna ragione per confessare. La mia flebile speranza era che, scoperta la verità sulla fine di Evelin, si lasciasse sopraffare dal rimorso.

Non accadde.

Mi voltai, pensando che forse si avvicinava finalmente il momento in cui mi sarei lasciato tutta quella storia terribile alle spalle. Mi incamminai verso l'uscita.

Fu la sua voce a fermarmi.

<<Ehi, Ethan>> gridò, quando ero già lontano da lui.

Mi girai e vidi che con la mano mi faceva cenno di avvicinarmi, e così feci.

Quando fummo di nuovo faccia a faccia, rimase in silenzio per una manciata di secondi. I suoi occhi erano lucidi, ma non li chiuse come in precedenza. Li incollò ai miei e per la prima volta mi sembrò di scorgere un barlume di umanità in lui. Qualcosa di diverso dalla luce tetra e folle che avevo visto fino a quel momento sul suo volto.

<<Grazie, Ethan>> disse, con la voce che tremava, quasi in un sussurro.

Annuii, senza smettere di fissarlo.

<<Addio, Ray>> gli risposi voltandomi di nuovo, tornando a camminare verso l'uscita.

Lasciai il penitenziario, oltrepassando l'ultimo cancello che mi separava dalla strada, poi mi fermai. Osservai la mia Jeep, parcheggiata sul lato opposto. Era buio e aveva ripreso a nevicare.

Rividi in un lungo flash nella mia mente ciò che era successo a casa di Norma, dopo che qualcuno aveva suonato il campanello.

Era entrato un uomo sulla sessantina, o poco più anziano. E con lui era entrata anche una ragazza sui venticinque anni, insieme ad un ragazzo e a una bimba piccola, di tre o quattro anni al massimo, che le stringeva la mano.

<<Lui è Michael, mio marito>> aveva detto Norma, <<e lei è Natalie, mia figlia. Lui è Garreth, il suo ragazzo, e lei... lei è l'amore della mia vita, vero, stellina del mio cuore? Come ti chiami, eh? Dillo a questo bel ragazzo qui.>>

La bimba mi aveva guardato e aveva sorriso. Era incantevole. Bionda, con due occhi verdi grandi come il sole.

<<Isabel>> aveva detto alla fine, senza smettere di sorridere.

Norma si era sposata e aveva avuto una figlia. E sua figlia da poco aveva avuto anche lei una figlia. Li avevo osservati a lungo. Erano stupendi, tutti insieme. Erano una famiglia. Soprattutto, sembravano felici. Norma aveva dovuto convivere per tutto quel tempo con il senso di colpa per la morte di Evelin. Non doveva essere stato facile per niente. In qualche modo, poi, la vita aveva disegnato anche per lei una nuova strada da percorrere, e forse era giusto così.

Avevo esitato a lungo, poi avevo chiuso gli occhi e avevo preso una decisone.

Quando il marito di Norma mi aveva domandato chi fossi, avevo risposto che Norma era un'amica di vecchia data di mia madre, e che avevo approfittato di quella mia visita a Rose Haven per porgerle i suoi saluti.

Non sapevo se avessi fatto la cosa giusta, ma era ciò che in quel momento avevo sentito di dover fare.

Poi avevo salutato tutti e mi ero diretto verso l'uscita. Nell'accompagnarmi alla porta, Norma mi aveva guardato con un'espressione impossibile da decifrare. Un misto di gratitudine e tristezza. Dietro di lei, era sbucata la piccola Isabel.

Nel momento stesso in cui mi aveva sorriso per salutarmi, avevo trovato tutte le risposte che stavo cercando.

"Addio, Evelin", avevo pensato, andandomene da lì.

Fu lo squillo del telefono a risvegliarmi da quei pensieri.

Era Ryan.

<<Ciao, Ryan>> dissi, dirigendomi verso la Jeep.

<<Ethan, dove sei?>>
<<Sono stato da Ray Dwight per...>>
<<Non ha importanza>> mi rispose, bruscamente. <<Devi correre in centrale. Sono con Miller. C'è una persona qui che chiede di te.>>
<<Di me? Chi è?>>
<<Lyla. Ti ricordi di lei? La ragazza rapita dall'assassino. L'unica a essere stata lasciata andare. È venuta qui in centrale e ha qualcosa da dire, ma non sta bene e vuole parlare soltanto con te.>>

La ballerinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora