Sentendo il male

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L'appartamento di Christopher Dwight era avvolto dall'oscurità. Camminavamo lentamente, nel buio. Credevamo che fosse vuoto, ma non potevamo esserne certi. Se Christopher fosse stato all'interno, ci saremmo potuti ritrovare in una situazione di pericolo. Pensai a Marianne, e al fatto che forse avevo sbagliato a permetterle di entrare insieme a me e Ryan. In ogni caso, ormai era tardi per tornare indietro.

Ci muovevamo con cautela, lasciando che i nostri occhi si abituassero al buio. Fu Ryan, dopo alcuni istanti, ad accendere una luce, mostrandoci quello che doveva essere il salotto.

Un divano, un televisore, un tavolo, tanti quadri alle pareti. Erano tutte fotografie di paesaggi. Immagini luminose, belle.

Ci guardammo intorno. Il cellulare di Christopher era sul tavolo al centro del salotto, ed era spento. Accanto, vi era il caricabatterie. Lo attaccai, anche se sapevo che, con tutta probabilità, una volta acceso avrebbe richiesto l'inserimento di un codice segreto.

Continuammo ad attraversare l'appartamento, in silenzio. C'era una camera da letto, ordinata; un bagno, pulito, e una cucina. Un terrazzino all'esterno, sul retro, e nulla di più.
Nessun accesso sotterraneo, nessuna stanza segreta.
Soltanto ciò che era di fronte ai nostri occhi.

<<Sembra tutto in ordine>> disse Ryan.
<<Già>> risposi, continuando ad osservare le fotografie appese ovunque alle pareti.

Entrai nella stanza da letto di Christopher. Anche lì tutto era in perfetto ordine. Osservai altre immagini appese alle pareti. A differenza di quelle che avevo visto in precedenza, queste non ritraevano paesaggi. Si trattava di scatti molto più personali.

Riconobbi Evelin Perth. La fotografia che la ritraeva si trovava all'interno di una bella cornice in legno sul comodino accanto al letto. Si trattava di un'immagine che ad occhio e croce doveva essere stata scattata nello stesso periodo di quella che Carlo Salviati ci aveva mostrato - quella insieme ad Evelin nei camerini del teatro di Torino. Gli ultimi giorni di vita della ballerina.

Avvicinai gli occhi alla scena immortalata.

Evelin era vestita di bianco, con un abito lungo, elegante, e sorrideva al fotografo. Rubava la scena alle persone presenti nell'immagine insieme a lei. Altre ragazze che forse facevano parte del suo corpo di ballo. Più la osservavo, più mi rendevo conto che, senza dubbio, Evelin Perth aveva qualcosa di più. Era magnetica. Magnetica in un modo totale, terribile. Ero convinto che sarebbe stato difficile per chiunque non provare fin da subito qualcosa di forte per lei, incontrandola.
Osservai la fotografia a lungo, e d'un tratto fui assalito da una sensazione strana, difficile da descrivere. Guardavo quell'immagine ed era come se fossi consapevole che qualcosa, in quel momento, mi stesse sfuggendo.

Una sensazione strana, sì, o peggio. Paurosa. Terrificante forse, addirittura. Ma non riuscivo a capire di che cosa si trattasse.

<<Ethan...dove sei?>>

La voce di Marianne mi distolse da quei pensieri. D'istinto, presi il telefono e scattai una fotografia a quell'immagine, poi raggiunsi Marianne e Ryan in salotto.

<<Ero nella stanza da letto>> dissi, <<voi avete trovato qualcosa?>>

<<Nulla. Il cellulare si è acceso ma ci chiede un codice. A questo punto non ha senso restare qui. Anche perché nessun giudice ci avrebbe mai concesso un mandato di perquisizione in base alle prove in nostro possesso. Non sono neanche prove. Si tratta soltanto di supposizioni.>>

Ryan sbuffò. Sbatté con forza un pugno contro il tavolo al centro della sala.
Rimasi immobile e lo guardai negli occhi. C'era la frustrazione di una vita intera, in quel gesto. Il dolore per il vuoto che quella caccia ai fantasmi ci aveva cucito addosso, ora dopo ora, giorno dopo giorno. Non potevo comprendere in pieno il male, l'ardore, la sensazione di impotenza che Ryan doveva sentir bruciare dentro di sé, ma gli ero vicino. Lo ero davvero, e sapevo che per Marianne era lo stesso.

<<Andiamocene da qui>> disse l'ex detective, sottovoce. <<Credo che Miller, a Virginia, possa avere bisogno di noi.>>

Annuimmo entrambi. Sapevamo che in California, almeno per il momento, non avremmo potuto fare nulla di più. Christopher non c'era, e nessuno aveva idea di dove fosse. A Virginia era scomparsa un'altra ragazza, ed era chiaro che non avessimo altro tempo a disposizione.

Uscimmo dall'appartamento e all'improvviso ebbi un flash della fotografia che avevo trovato nella camera da letto. Ancora una volta, provai una sensazione di sconforto. Fu un attimo, eppure -come prima- mi turbò.
Mi fece paura.

***

<<Melodie... Melodie. Che cosa vorresti fare, adesso, Melodie? Io so che vorrei conservare... la tua testa, insieme all'altra che già ho, così potrei tenervi entrambe con me. E quando una di voi due sarà di cattivo umore, avrò l'altra con cui parlare, non credi? Così andremo tutti d'accordo. Come una grande famiglia. Che cosa ne pensi?>>

Melodie era scivolata a terra, indietreggiando. La sua schiena nuda aveva sbattuto con forza contro la grate della gabbia, facendole male. L'uomo che aveva di fronte, che continuava a tenere le forbici in mano, le si era chinato accanto. Poteva sentire il suo respiro eccitato.

<<Oh. Ti sei fatta male? Forse...forse tu...tu hai...hai paura di queste?>> aveva urlato muovendo con forza le forbici in aria.

Lei non aveva risposto e lui si era alzato di scatto.

<<Oh, ma non devi!>> aveva gridato, con tutta la voce che aveva in corpo. Melodie aveva pianto, e pianto, e pianto.

Lui si era alzato. Era scomparso per qualche istante, poi era tornato con un sacchetto di plastica nero.

L'aveva svuotato davanti a lei, e a terra erano caduti diversi oggetti. Tutti da taglio.

C'erano dei rasoi, delle forbici, dei coltelli. Uno di questi, lungo almeno venti centimetri, era ancora sporco di sangue sulla lama.

<<Scegli tu, Melodie. Scegli tu. Sarà così bello. E ti farà così male. Ma poi passerà, sai. Guarda me. Tutto passa, sì. Sì. Sì. E le campane suonano ancora, Melodie. Per te e per me. Davvero non le senti? Non LE SENTI?>>

Melodie aveva smesso di piangere, allora. Aveva rallentato i respiri, fissando con gli occhi lucidi e ricolmi di lacrime le armi in terra.

<<Io...io...sì>> aveva detto, <<le sento. Le sento. Le nostre campane. Io le sento.>>

La ballerinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora